Maria Luisa Bressani in Ferrero,

Nata a Trieste l’11 giugno 1942, coniugata dal 4 aprile 1964, tre figli e sei nipoti.

Laurea in lettere classiche, tesi Aristeia omerica e virgiliana, medaglia d'argento, Università di Genova, 1965, conseguita a giugno del IV anno.

Segnalata Il premio Edicola, racconto lungo "Begonza," edito Lalli 1977.

IX Sìlarus, racconto "Radici di nevrosi," pubblicato Sìlarus n°73. I Premio Massimo Bcntempelli, "leggende Arrabbiate," racconti. VIII Premio Candoni-Teatro Orazero per l'atto unico con note

di versione televisiva, Ifigenia e Achille.

I° premio assoluto teatro, Villa Alessandra 1977 per  Ifigenia e Achille

Segnalata Scrittori per la scuola, Firenze 1977, per due racconti, "Una

famiglia sexy", e "Suicidio," inclusi in Flash di luce, di

sabbia, di pensieri:

Segnalata X Sìlarus, per il racconto "Le sedie'. Medaglia d’argento  al Premio Candoni del 1978 (2° premio) per il radiodramma Rogna. Segnalata al Candoni nel 1979 per Sky-scrapers, nel 1980 per Cronicario.

Medaglia d'argento al XI Sìlarus per il saggio "Il commiato di Berto: grandezza e meschinità dell'io sono"

 

                    Ho scritto (1975-80)

(il tutto per più di kg. 3 di peso e più di cm.8 di altezza con i fogli impilati uno sull'altro. Testi datati nei riferimenti a personaggi d’attualità)

 

                  Narrativa:

Begonza,Leggende arrabbiate,Flash di luce, di sabbia, di pensieri, All'incrocio, Le frenetiche, morbide storie, Pezzotti.

                         Teatro:

Bambola di stracci, Quattro ciarle, Ifigenia e Achille, Forse te ne prego, Rogna, Sky-scrapers, Cronicario, Apolide.

Inserisco i due attestati di Controvento (primo Premio per i 3 atti di Ifigenia e Achille così classificata su più di 100 testi presentati a Villa Alessandra nelle Marche) e del Candoni Teatro Orazero (stesso testo presentato in un solo atto, medaglia di bonzo, cioè terzo classificato ad Arta Terme di Udine).

 

                        Ifigenia e Achille

 

Arta Terme in Provincia di Udine è il luogo dove Carducci scrisse il Comune rustico.

                           

                

             

Questi due premi a suo tempo mi hanno inorgoglito in quanto di qualità e nella Giuria del Candoni a presiedere era il prof. Giovanni Calendoli ordinario di Storia del Teatro a Padova. E c’era anche l’ottimo Ugo Amodeo, regista Rai  che, a Trieste, in tanti e colti ricordano con affetto e stima. C’era Ugo Ronfani che nel Giorno (pagina Cultura) scriveva di teatro giusto sopra di me: ciò mi era di orgoglio.

Amodeo, lo ritrovai a presentare a Trieste le Lettere d’amore e di guerra, epistolario dei miei genitori. In quell’occasione disse al pubblico presente alla libreria Minerva che gli erano sempre piaciuti i miei testi teatrali perché con personaggi a tutto tondo come quelli di Cechov.

In quel momento, pur incredula, crebbi dentro di me tre spanne.

Non solo Amodeo mi aveva chiesto di far rappresentare Ifigenia e Achille da una piccola compagnia teatrale da lui costituita ma non trattandosi di una compagnia Rai ed essendo io una giovane intransigente e sciocca rifiutai. Ricordo il regista Duccio Tessari che poi intervistai quando  mi disse di aver investito per il suo Una pistola per Ringo: come in un prodotto, in un’auto e guadagnò una cifra per allora esorbitante. Questo è spirito imprenditoriale,  è rischiare per riuscire, per ottenere.

Prima di mettere quattro testi del mio teatro inserisco questo articolo di Giovanni Raboni che conservai come un breviario in quanto se alle origini ho scritto a ruota libera, poi con il giornalismo ho imparato la disciplina della brevità.

Però c’è il pro e il contro: si può forse restringere a dismisura un testo teatrale pur pensato e calibrato come meglio si crede?

Ad ogni modo per rispetto a me stessa di un tempo pubblico come scrissi allora. Certe volte nella giovinezza c’è una irripetibile freschezza di sentire.

 

 

             IFIGENIA e ACHILLE (1977)

 

            

 

                                                                                     

 

                                       

                               Argomento.

(C’è un coro di donne e ci sono tre soldati che stanno giocando a carte).

Donne:

    - Accorrete! Accorrete! Hanno ucciso i poeti!‑

-Che dici? I poeti sono un esercito oggi. -

-Accorrete! Accorrete! Hanno ucciso i sacerdoti della parola. - -Non vedo sangue.-

-La parola è morta. Viviamo a metà. -

-Apriti Sesamo, questo fu parola.-

 

-Le montagne si aprirono.-

-Sono morti i poeti. -

-                I poeti sono un esercito. Ricuperiamo la parola. -

-                Dio parlò e la parola germogliò. –

-                Riappropriamoci della parola. -

-                Sia di nuovo magica, evocativa. -

-     Basta slogan. Parole senza senso. -

-                Abbiamo sete di parole vere. -

-                Parole-cose, parole-verità. Riscopriamone la sorgente.

-     Hanno ucciso i poeti. -

-                Ci hanno tolto l'identità. –

-                 Guarda quanti poeti!‑

-    Riscopriamo la parola poetica. -


Soldati:- Racconteremo una storia antica, per voi. Quando i poeti credevano nelle parole e le servivano utili, dolcificanti o graffianti.-

Donne: - Tra una guerra e l'altra i poeti raccontavano alle donne. - Soldati: - Ecco la storia per voi, donne. -

-     I Greci muovono guerra a Troia per riavere Elena sposa.   -      Sposa di Menelao, rapita da Paride figlio di Priamo. -

Donna: - Ma ... la dea impone per il buon esito della spedizione il sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone, il gran re dei Greci tutti.-

Soldato: - Agamennone per convincere la moglie a venire al campo e a portare con sé la figlia le manda a dire, ingannandola che prima della partenza vuole celebrare il matrimonio di Ifigenia e di Achille, il più giovane e prode re che si muova per Troia.-

Donne:- Il poeta antico fece sacrificare Ifigenia. -

-          Giustamente! Così volevano gli dei. –

-          E poi l'innocenza non è forse sempre uccisa?‑

Soldato:-Achille non poté far nulla per Ifigenia. -

Donne:- Era pronto a salvarla. Ifigenia scelse il sacrificio. -

Soldati:-Achille partì per Troia. -

-Un poeta ci raccontò poi che si innamorò di Briseide, dalle belle chiome. –

- Gli ricordava Ifigenia. –

- Gliela tolsero. ‑

-          Allora Achille non  volle più combattere. –

-           Patroclo, il suo amico diletto, lo pregò di dargli le armi fatate, per spaventa re i nemici, che avrebbero temuto di essere di fronte all'invincibile Achille

Donne: - Uccisero anche Patroclo.

Coro di donne e soldati:

Achille finalmente si mosse per vendicarli tutti.

Combatté contro i fiumi. Contro Scamandro. Contro Simoenta.

Grande come gigante. Le sue armi scintillarono d'oro fino al cielo.-

Saliva la luna scarlatta nel cielo di bronzo.

Achille fu uomo coraggioso e solitario.

Per uomini come lui non esiste cammino sicuro.

Fu falco dagli occhi grifagni. Era un giovane smarrito. All'improvviso fu eroe. Lo uccisero.

“L’ala strascica come vessillo

Nella disfatta.

Non più solcherà il cielo, vivrà ancora

Qualche giorno di fame e di pena.

Egli è forte e il dolore è più duro con i forti”

Patroclo morto, Ifigenia sacrificata lo ferirono per sempre. Ombra remota è il sogno di lui.

Forse su una spiaggia desolata ancora erra solitario e canta e piange sulla lira. Piange e canta per gli uomini tutti. Eternamente voce e musica.

Perché il pane e il latte, giorno per giorno, non abbiano sapore di sangue e di sopruso.

Soldato:-Pane e prosciutto, questo è il giusto mezzo. –

Soldato: -Pane e acqua, questo rende uomini.

Donna: - C'è chi ha fame di pane e non può dirlo. Chiude gli occhi affamato. -

Donna: C’è chi ha fame di parole. Muore abbandonato. -

Soldato: - Cent'anni!

Con una zuppa di pane e latte si vive felici cent'anni! Dov'è il sopruso?-

 

Donna: - Il pane si rafferma, il latte si caglia se non si può mangiare e bere in pace.-

Donne: - Dateci pane. Dateci latte per addolcire il pane. –

                -Cuoceremo il pane fragrante per voi.

             Portate un secchio di latte bianco per noi. –

           Dateci parole-vere, parole-cose. Per stare in pace. -

Soldati:- I giochi sono tutti fatti. Ubriachiamoci di parole. -

Donna:- Se tu non sei diverso da me e io sono te, siamo un mondo di eguali in cui non val la pena di muoversi più.‑

                (voce di Ifigenia in sottofondo):

         -Ma... Achille piange ancora per sé e per me.

              Piange la giovinezza perduta, la ribellione inutile. -

Donne, tutte insieme: - Piange Ifigenia, la sua donna.

Le portava una corona. Una rosa per lei ed una colomba.

La voleva fare sua sposa.

Ifigenia fuggì, si sacrificò. Che è la stessa cosa girare gli occhi lontano dalla vita. -

Coro:- Per noi restò amore, dolore, sangue versato sulle porte e nelle strade dall'eterna contesa dell'odio.

Pane e latte per cancellare l'odio. -

Soldato:

-Quando sono in guerra

apro gli occhi al mattino e dico:

Risparmiami,

Tu, padre del cielo e della terra,

     Risparmiami

questa giornata rovente.

Lasciami dormire ancora.

Chiudo gli occhi alla sera e dico:

Risparmiami,

Tu, padre del vento e degli uccelli,

questa notte insonne.

     Vedo la giornata d'oggi,

le bombe di fuoco, il sangue,

sento grida laceranti,

Tu aiutami a riposare.

     La violenza è intorno a me.

           E' dentro di me.

           Mi squassa tutto

    non conosco più né pane fragrante,

             né latte di miele. -

 

Donne: - Pane e latte per cancellare l'odio. Ubriachiamoci anche noi, come bambini che mettono il ditino nel bicchiere, lasciato sul tavolo dai grandi, per vedere se è buono.

Coro: - Pane e latte che non abbiano sapore di sangue e di sopruso.  Siano sicuri, quieti

Donne: - Pane fragrante, per non morire affamati.

latte di miele per addolcire il pane.

per non morire in abbandono. -

Coro: -E’ l'alba. L'allodola cantava verso il sole. In quella casa una giovane Ifigenia sta per essere sacrificata. Lo sa bene. Perché la storia antica, ormai dimenticata,  presto le viene ricordata.

Donne: - Il falco sì slanciava nell'azzurro. -

Soldati: -Anche il giovane Achillé è già stato a Troia. Sa già come le cose andranno a finire. Sa pure che il suo destino è di tentare sempre, di cercare di cambiare.-

Donne: - In quella casa sono due giovani. Oggi. Separati da una sottile parete di legno: cresciuti uno in una stanza, l'altra in quella vicino. -

Che faranno? Che si diranno?

Soldati: - A noi in fondo non importa.

importante per noi è sempre una città assediata, sempre una guerra, per giocare carte e dadi. Bere vino davanti alle mura. Suonare la chitarra.

FuIl d'assi. Tressette. Piglio tutto io. Questo vino è limpido e terso. Beviamo a piena gola. -

Donne: - Cantateci, soldati, una canzone di poesia e d'amore. Per non pensare alla guerra. –

                                       (Il coro si ritira)

 

                                             Prologo

 

Nutrice:

Qui sono nata. Qui sono vissuta. Qui debbo morire, in questa casa, nutrice di lunga data. Qui si sono avvicendate le brevi gioie e i lunghi dolori della mia vita. Dove potrei dove potrei vivere e morire se non qui?

Eppure oggi, giorno di gioia, perché la mia bambina si sposa e la fanno regina, vorrei andare lontano, lontano.

Il mio cuore è stretto dall'angoscia.

Mi hanno detto che il suo sposalizio con Achille è solo una finzione ed avverrà un sacrificio inevitabile.

°Cucio il suo abito di nozze, bianco e d'argento. Ogni punto è un desiderio di felicità, ogni filo tagliato è un ricordo che se ne va.

Questi luoghi sono stati tutta la mia vita per lunghi anni e la sua presenza, della l"piccola bambina, li ha fatti rinverdire per me. Ogni-angolo è pieno della sua risata di sole.

Come potrò dimenticare, lasciarla andare?

Cucio, cucio e veglio il suo sonno per l'ultima volta.—         

 

 


                                   SCENA I

La scena è divisa in due settori da una paratia.

Da una parte Ifigenia si sta risvegliando, mentre la nutrice cuce. Dall'altra Achille sta lustrando una lancia.

(Voci da fuori ritmate)


-Hailé, Hailé, Hailé Sélassié… Grande, grande…Potente, potente!-

 


A.          - Hailé, papé... Papé satàn aleppe. (Continua a lustrare la lancia).

 

Ifi (Ifigenia, destandosi): - Nutrice, di chi sono le voci là fuori?-

               -Hailé, Hailé.... Grande, grande.-

A. : - Papé, papé... bello eh? Accidenti a loro! Se la piantassero! Non fanno che gridare. Fortuna che io non debbo riposare. Mi sto preparando alla battaglia,io lustro la mia lancia. Non ho tempo da perdere, io.-

Ifi.: - Nutrice, senti che canti di gioia?

Cantano per me? Oh sono così felice, questa mattina. C'è il cielo azzurro, vero? Oggi mi sposo, oggi mi incoronano.

DDiventerò regina. Il mio sposo, me l'hanno descritto, è grande, importante, meraviglioso!

Però non mi importa tutto questo grande-importante-meraviglioso.

Importa che avrò la mia casa, i miei bambini e mio padre verrà a trovarmi e gioirà della mia gioia, lui che mi tenne sulle ginocchia e nel cui volto cercai approvazione e consenso.

Per prima chiamai lui padre e lui chiamò me figlia. Mi prese tra le braccia bambina. Felice sarò nella casa d'uno sposo e mio padre mi vedrà vivere e fiorire.    in modo degno e forse accoglierò lui vecchio nel caro asilo della mia casa, ricordando le fatiche per come mi affiancò nel crescere ed educò.

Oggi mi sposo e lo sposo è grande, importante, meraviglioso.

Che voglia infinita di rendere felici tutti!‑

N.: - Dormi ancora un po', bambina.-

Ifi,  (balzando dall'angolo dove stava distesa): Non posso dormire. Voglio affacciarmi alla finestra. Voglio vedere il mio popolo, la mia gente.  Cantare con loro.

Già applaudono a me, per la mia festa, e saremo felici insieme. Urlerei d'amore per loro. -

N. - C'è tempo, c'è tempo. Dormi, bambina...‑

-Hailé, Hailé... Tiranno, tiranno.... Ladro del popolo... Morte, morte.-

Ifi. - Che dicono, nutrice, non è gioia la loro?-

N. - E' sempre gioia, quella del popolo, per un'incoronazione o per una decapitazione Dormi, dormi, bambina... Il vestito non è ancora pronto.-

-Ifi: - Il  mio vestito bianco... Non vedo l'ora di indossarlo. E' bello come un sogno. Sarò giglio beu canoi, campanula che ondeggia al vento, canna

che tintinna ... Questa luce, di questa mattina azzurra, è cosa dolicissima.

   N.: - Sogni, sogni... 

                          -Hailé, Hailé... Morte, morte.-

A- - Hailé, Hailé... Papé, papé satàn aleppe. Evviva il ciuco di Melesecche.-

Ifi: (Appoggiandosi alla paratia)-Chi c'è di là? Chi? Nella stanza accanto? Chi parla di là?-


A. :- Evviva il ciuco di Melesecche.

Ifi.: (Ridendo)-Di Melesecche? Ci deve essere un pazzo di là. Però mi fa ridere. Sarà la rima.

Sai,nutrice, ti voglio confidare un segreto. Sai cosa desidero che abbia il mio sposo, più di tutto, sai, proprio più di tutto?... Che mi faccia ridere.

Ho tanta voglia di sorridere, di raccogliere fiori di primavera, di chinarmi su un tenero bimbo e di ridere, alla sera, con il mio sposo. La mia vita sarà una festa.-

N. - Sciocchezze, sciocchezze.

Ifi: - Perché ripeti sempre le cose due volte? Non sono stupida. Che scopo ci sarebbe a vivere per soffrire?  Credo che la gente si stanchi di essere felice e si vada a cercare le complicazioni… Il dolore nasce così, perché lo cercano. Eppoi si vive una volta sola.-

           (Elisabetta Elisabetta d’Inghilterra... Evviva, evviva la perfetta!‑

N.: (Attizzando il fuoco nel caminetto, l'eterna nonna che racconta favole).

-Aveva un mantello di porpora ed ermellino, proprio il mantello dei re.

Non la ricordi, Ifigenia? Era così graziosa e piccola e fragile sotto quella corona pesantissima, nella cattedrale immensa. Pensa che ha dovuto allenarsi a lungo per portare tutto quel peso!- I

Ifi. - Che matti! Poveretta!

Guai se il mio vestito fosse pesante, non lo sopporterei. Il mio abito l'ho scelto leggerissimo, che si gonfi al vento come una nuvola. Vorrei essere una nuvola, ma il cielo è così azzurro questa mattina ed il sole è caldo e non vorrei sciuparlo. Mi sento leggera, libera.Apri le imposte, per favore, voglio godermi ogni raggio, farmi accarezzare dal sole.-

 

A.:- Elisabetta! Poveretta! La sopportano perché gli ricorda Paperina. E' innocua.-

Ifi. - Cos'hai detto?-

A.: - Paperina, Paperina!-

Ifi.: Forse rassomiglia più a Minnie, dolce e trepida, eternamente fidanzata, eternamente in attesa.

Credi di essere così saputone, ma lasciatelo dire, non te ne intendi poi molto di donne.-

A.: -Per quel che me ne importa. -

Ifi.: - Male. Farai bene ad imparare. Potrebbe servirti.-

A. - E tu te ne intendi forse di uomini?‑

Ifi. - Oh per me non ha importanza, davvero! Oggi mi sposo e mi incoronano.-

A. - Di grazia, com'è questo sposo, così fortunato, re e sposo, tutt'insieme? Mi rendi curioso.-

Ifi. - Non lo conosco. Me l'ha dato il destino. Non so se ha occhi  verdi o azzurri, se è biondo o bruno, ma so che è l'amore. Per lui io sono nata, per lui mi hanno allevata.

Mi farà una carezza, come il padrone al suo cane, ed io lo seguirò. In capo al mondo con lui andrò.-

A. :- Mi sembri un po' esaltata. -

Ifi.: - Oh no, no. Non credere che sogni soltanto e che io non sappia quali saranno i miei doveri e i miei privilegi. Nella mia casa sarò signora e padrona e mio marito rispetterà il mio mondo. Alla sera sarà felice entrando dalla porta, al mattino sarà soddisfatto, uscendo. Sarò una degna sposa per lui. Io gli curerò...

A. :- Ah, ah, ah! I gerani forse? Naturalmente la tovaglia sempre fresca di bucato, naturalmente la tua chioma sempre ben pettinata, naturalmente te ne starai sempre in casa rintanata.


In che cósa mai accompagnerai il tuo sposo?

Oh sarà un uomo ben: fortunato! Sarai sempre pronta per il viaggetto culturale. Solo che lui, a sera,  si nasconderà dietro un giornale se tu non cambierai.

Ifi - Non essere sgarbato. Non sciupare la mia giornata.-

A.:- Sogna pure. Illusione fa rima con delusione.-

-  Annamaria, Annamaria (di Grecia): “mia tutta la giovinezza".               

N. : - Una biondina dal volto pieno e colorito ha fatto incantare il popolo. Finalmente! Ha operato il sortilegio.

Lo salverà con la sua innocenza, perché il popolo, mia piccola Ifi, il popolo non ha volto, non sa pensare, è imprigionato in un ciclone che se lo porta a

spasso. Se riesce a tirare la testa fuori dalla bufera, subito canta e vuole snebbiarsi gli occhi, ma... il ciclone lo riprende e se lo porta via.-

                -Bella, bella, dolce, dolce, giovane, giovane.-

A. - (Violentemente sarcastico) La giovinezza passa e resta la bruttezza di essere come tutti. Se il popolo si accorge che sei come lui, che non hai una corona sulla tua testa, uno scettro da sbattere sulla sua testa, se ne fa un sol boccone di te. Ha sempre fame, sempre grida: pane! pane!

Per i mortali infelici devi apparire un dio, polente e ricco, se non vuoi essere scalzato.-

Ifi: - Sai che ti dico? Non ti ascolto più.

Mi affaccio alla finestra per partecipare, per gioire, per cantare anch'io con loro. Io li amo.-

A. - Tu sei tutta Amore. Aspetti l'Amore, ti senti Amore con la maiuscola. Fa’-

                    -Annamaria, Annamaria... scappa via, via.-

A.:- Si sono già stufati. Se indugia solo un attimo le tagliano la testa.-

                                -Via via.... via via.-

Ifi.:  - Nutrice ho paura... Sono urla tremende, nutrice, sparano...- -Oh no, no... Jhon ti amo, ti amo (così disse Jacqueline mentre gli reggeva la testa spappolata).

A.: Jacqueline… Né il sorriso, né  l’indifferenza altera l’hanno risparmiata da loro.  "Immota guardi orizzonti di fuoco, ...insensibile al grido del presente, ...trasformi l'anima in pietra,... Sfinge”.

N. :- Il suo sorriso tremava di lacrime.-

Ifi. -(Nascondendo il volto in grembo alla nutrice) Ho paura di diventare indifferente anch'io.-

N. - Nemmeno l'indifferenza potrà salvarti. Distruggeranno anche te.

Respingi ogni corona, per il tuo bene.-

A. :- Amore, dovere, sacrificio, buona volontà, corone da non accogliere!-

Tieniti lontana dall'aureola se non vuoi finire mosaico. Gloria dopo, ma prima l'orrore. Non guardarli, non girarti. Se un cagnetto rabbioso abbaia, fingi di non vederlo.

Quando ti sarà a fianco diventerà un lupo, pronto a  divorarti. Non lasciarlo venire al tuo fianco.-

Ifi.: - (Canterellando, ritornata allegra): “Madama Cicoria, qui sull'uscio c'è un lupo maligno. Ha le zanne aguzze, aguzze e un famelico sogghigno! (Termina ridendo).

confitta nelle tessere d'un

 

 

 

 

N.: - Un lupo c'è ed affamato assai. C'è sempre ed aspetta.-

Ifi. - Nutrice, non spaventarmi. Che mi rimarrebbe da fare se anche tu mi spaventassi?                        

                  (Alzandosi  e andando verso la finestra),

Portami con te, vento, lassù in alto nel cielo,

voglio venire con te.

Portami con te, torrente, via sotto le stelle,

voglio venire con te.

Sarò foglia, lontano lontano, dentro la terra, con la pioggia e le bacche.-

(Una pausa. Torna ad inginocchiarsi davanti alla nutrice che continua a cucire, seduta)

N.: - Bambina,fuggi. Questo vestito bellissimo ti renderà ammirata e nascerà l'invidia.-

Ifi: - Non m'importa. E' un sentimento naturale. Sì, è scomoda l'invidia, è  fastidiosa. Però nasce dal dolore di non poter essere migliori di come si è.-

N. :- Monteranno in collera. L'invidia non sarà più così dolce e salottiera. Diverrà un uragano. Ti strapperanno il vestito, lo lacereranno.

Non tollerano esseri diversi da loro. Se hanno perduto qualcosa, qualunque cosa, vorrano toglierla anche a te.

Ti renderanno brutta come loro, misera come loro.-

Ifi: - Che parole tremende, tu dici. Parli come se io fossi su un piedestallo. Questa sarebbe una colpa vera, un peccato mortale. Non voglio vivere su un piedistallo. Sarò lacera, brutta, povera, contusa, ma amica loro.

Saremo insieme io e la mia gente. Non c'è gioia più grande.-

N. :- Ti illudi. Non ti accoglieranno mai. Ti rimprovereranno eternamente. Tu possiedi questo magico vestito, che loro hanno già perso.-

Ifi. - Creerò vestiti per loro, ancora più splendidi. Amandoli, servendoli, mescolandomi a loro.-

N.:- Parole belle e difficili da realizzare. Non ti illudere.

Diranno che tu sei una privilegiata e non ti vorrano accogliere.

Tu sei così, perché per sorte, per fortuna sei nata tale, tale ti hanno allevata. Tu non hai partecipato. Non hai alcuna virtù.


Sei un bel manichino, che porta un vedtito stregato ed abbagliante. Per vedere se sotto la luce c'è un cuore e un cervello vorranno lacerarlo, questo vestito.

Per arrivare a te.

Ma sai cosa vogliono davvero? Poter dire: c'è solo crusca sotto, paglia, nulla che conti.-

Ifi: - Ma è crudele. E' ben peggio dell'invidia. -

N.:- Scappa. Presto! Scantona dalla porticina di fianco.

Sarai all'aria libera, libera anche tu. Vai lontano. Sarai felice, sconosciuta, irgnorata, senza clamori e invidie.

Il mondo calpesta sempre i suoi fiori. Poi, quando già sono tagliati, cerca di infangarli, per crearsi gli alibi, le giustificazioni. Gli assassini gridano impuniti, sordidi come il mondo su cui camminano.

Fuggi, se non vuoi essere calpestata.-

Ifi. - Nutrice, mi è venuta in mente quella volta che mio padre mi regalò il ta- volo da ping-pong. Saltavo di gioia intorno al tavolo. Il nostro vicino mi si accostò. Mio padre se ne era appena andato. Il vicino disse:"Tutti i genitori regalerebbero il tavolo da ping-pong ai figli! Bella forza quella delle possibilità "economiche." Alla sera sentivamo che picchiava suo figlio, già adolescente, per farlo diventare uomo. Non aveva la possibilità economica lui, ma la possibilità del pugno sì. Non ho più giocato a ping- pong dopo quell'estate. A me ha rovinato il regalo quell'uomo. -

N.: - Non ti rovineranno il regalo soltanto. Apri gli occhi, mia piccola adorata. Loro vorranno offrirti pietà.-

Ifi:- No, non vorrò mai pietà.- N.: Non avrai più orgoglio. Ti piegherai. Cercherai spiegazioni e giustificazioni.-

Ifi. - Ma che posso fare?-

N.: - Fuggi, fuggi.   Oggi non ti sposerai. Achille è sogno. Uno specchietto per allodole. Non c'è nessun Achille per te. Ti vogliono sacrificare. Per Elena dalle belle chiome.-

Ifi:- E se anche così fosse? Elena è pur sventurata come me.

Paride le dice: "cagna", Menelao la rivuole solo per decoro. I qreci tutti si muovono per ben altro che per i suoi capelli d'oro e per la sua bianca gola.

                                         (Breve pausa).

Questa mattina, mentre stavo per svegliarmi, mi sono vista legata ad uno scoglio. Il mostro stava per uscire dall'acqua. Tu, proprio tu, tu parli già del lupo che mi afferrerà.

Oh sì, sì, mi vogliono sacrificare. Fanciulla di bianco vestita, legata ad uno scoglio, per cui sempre troppo tardi un Achille paladino si alzerà a uccidere il mostro.-

N.: - Mille fanciulle vergini di bianco vestite sono state immolate in un labirinto per un'idea fatta uomo o mostro. Non c'è modo di uscirne. Il mondo vuole la sua purificazione attraverso questo sacrificio

Mille Sibille, per aprire gli occhi e balbettare i misteri dell'universo, hanno dovuto prima affrontare l'orrore, prima d’ornarsi di una corona d'alloro dalla verde chioma e scomporre al vento i riccioli biondi. Ricordiamo soltanto che Cassandra disse cose tremende per sé e per gli altri, mentre prima era come una nereide dai riccioli belli e avrebbe voluto vivere soltanto facendo risuonare a terra l'orma del sandalo d'oro. Prima di capire era così!

 

Ifi: - Ecco, io credo di capire in questo momento:

 L'innocenza è un uccello spaurito che in mano non puoi chiudere.

E’ una piuma  chedeve fuggire lontano nel vento.

Eppure il mio destino è segnato.

Non posso fuggire. Non voglio pietà. Non la vorrò mai.

Io amo la mia gente, anche Elena futile e bella. La mia gente non mi farà troppo male. Sarò lacera, contusa, insieme a loro, in loro compagnia e se vorranno che di me non rimanga nulla, salvo il vestito delle illusioni, bianco per loro, lucente per loro, lo lascerò. Le tessere di mosaico di cui tu mi hai parlato forese mi aiuteranno a vivere o a morire. Brillano d’oro.

Loro hanno ragione. Chissà mai cosa c’è sotto il mio vestito? Un cuore, un cervello, crusca, paglia, stracci, strame?

Al momento del sacrificio lo capirò, ne sono certa. Qualcosa per loro lascerò.-

N. :- Bimba mia, sei un'illusa. Affonda la tua testa in grembo a me.

Non guardare, non pensare. Stiamo un attimo cosi.

Lasciati ninnare ancora un po'.

La gente che passa dirà:"Sei stata molto coccolata, sempre, Ifigenia."

Noi non vediamo la gente che passa, ora. Non la sentiamo.

Resta un attimo così. Poi deciderai.—

                                 (Silenzio).

N.: - Ecco, ora il vestito bianco è pronto. E' finito.

Ifi. - Nutrice, non abbandonarmi. Aiutami ad indossarlo. Perché te ne vai?

 


N.: - Io sono il delfino nell'acqua.

Giurammo nella favola breve di aiutarci. Tu leone ed io delfino facemmo un patto di compagnia. Tu camminavi sulla terra ed io ti seguivo nell'acqua.

Presto sarai assalita dal lupo, mi stai già chiamando. Io t'ho spiegato prima ed ora non posso uscire dall'acqua che mi circonda. Non posso uscire dal mio elemento  antico, per soccorrere te, giovane e moderna.

Non pretendere che io ti capisca al di là di quel che posso.

Sei figlia del tuo tempo.

Il limite è in me. Per l'amore che ti porto vorrei aiutarti, ma non posso. T'ho spiegato prima.

Solo tu, Ifigenia, fanciulla dal dolce sorriso, puoi salvarti da te. Fuggire, scegliere il sacrificio. questo è solo in te.

Nella mia vita tu sei già ricordo. Andrò per gli angoli di questa casa vuota a

cercare l'eco del tuo sorriso

e so bene che dall'acqua che mi circonda non posso uscire per aiutare te


Ifi: - Ma tu mi aiuti, ogni volta che mi parli. Non lasciarmi con questa grave decisione. Da sola.

N.: - Sono vecchia ormai, la mia vista si spegne.

Sono stata nell'aria, nella lucer un giorno. Poi mi sono trovata nell'acquaa  a

galleggiare sui ricordi. Presto sarò terra e non vedrò più nulla.

Tu sei nata poco fa dalla terra, sei stata nel grembo d'acqua di tua madre e ora stai per volare nell'aria, verso la luce.

Luce sia il tuo destino. Oro che riflette la luce.

Non pensiamo al dolore.

Però ricorda è dolce talvolta non pensare, è giusto talvolta pensare grandi cose. Oggi tu vuoi pensare grandi cose. Non fuggire se ne sei capace. Ne sarai capace, lo so. Bisogna aver coraggio. Addio, bimba mia. Non chiedermi quello che non ti posso dare. Solo il mio amore sarà sempre per te.

Quando sarò terra io fiorirò di nuovo per te e i tuoi occhi mi rivedranno in ogni fiore. Sarò di nuovo un atto d'amore per te.

 

(La nutrice si allontana consegnando a Ifigenia il vestito bianco con una carezza).

Ifi: - Eppure in questo momento mi lasci sola.

Ora devo decidere da sola.

Tu  mi dai due consigli: uno di rinuncia per il mio bene,

                             uno di coraggio per il tuo amore.

Com'è crudele tutto questo.

Ieri giocavo con la bambola. Oggi ho un vestito bianco in mano e mi hai spiegato che quando l'avrò indossato e loro l'avranno visto... il bianco non dura pulito neanche  un attimo... e loro me l'avranno invidiato, tutti i giorni. della mia vita dovrò chiedere comprensione e pietà, come se avessi commesso un delitto.'

Se bianco sarò il mondo me la farà pagare. Mi lasceranno sola.

Se nero sarò, mi chiameranno amica, e poi mi lasceranno sola, dicendo che tutto ciò che di brutto avviene nel mondo è colpa mia e della gente come me.

Che mai farò?

Ecco, potrei essere solo un vestito. Avrei il colore che indosso. Sarei facile da catalogare. Nessuno mi rimprovererebbe.

Se loro parleranno non saprò più cosa sono. Di me vedranno quello che per me non ha alcuna importanza. Quello che per me conta, noni lo condivideranno.

                                         (Pausa breve).

Non:voglio essere sacrificata. Ho cambiato idea. Ho paura.

Voglio fuggire da me, non sapere nulla di me. Non voglio amare solo me stessa. Bisogna che trovi un'occupazione, qualcuno di cui occuparmi, per dimenticarmi di me. Il folle che mi fa ridere, quel folle è il mio destino. Mi salverà da me.



Questa luce è cosa dolcissima vedere e le cose di sotterra sono nulla. Ed è folle chi desidera morire. Vivere miseramente, di piccole cose, è più che morire nobilmente.

 

(Bussando alla parete di legno), Chi?.. Chi sei?..Dimmi chi sei?-

A. :- Oh, questa è bella! Ti sei svegliata di colpo.

Quali sono le tue intenzioni, di grazia, signorina?-

Ifi: - Tu sei pazzo. L'ho capito. Non c'è dubbio. Allora ti parlerò chiaramente. Voglio sposare-te.

A .: - E dove hai lasciato lo sposo e re, tutt'insieme?

Per caso l'hai sotterrato?

Ifi: - Sii serio una volta tanto.-

A-:- Sono pazzo, non posso. Le donne ammazzano sempre gli uomini.

Ifi: - Ti prego, sii serio. Ti voglio sposare.‑

A. - Voglio… Ha già l'aria di un capriccio. Perché mi vuoi sposare?-

Ifi:- Ho il vestito pronto. Mi hanno allevata per questo. So quello che si chiede a una moglie-

A.-:- Quante cose sai! Mi fai paura.-

Ifi. :- Anch'io ho paura, ci rassomigliamo.-

A.: - Ecco la ragione. Hai paura. -

Ma non hai paura di me, se mi vuoi sposare. Stai per sposarti con un re che avrà

tutto il tuo amore e che non sono io. Non hai nemmeno paura di lui, quello grande i-importante-meraviglioso. Non sono certo qualità da atterrire.

Di che cosa hai paura, Ifi?-

Ifi: - Mi hai chiamato come la mia nutrice, mi hai fatto una carezza. Ti voglio sposare.-

A.- Se non hai paura del re che sta per arrivare, se non hai paura di me che sono qui, c'è solo una persona su questo palco di cui hai paura.

E sei tu.‑

Ifi:- Il vestito...‑

A. :- Non dirmi che hai paura di un vestito. Hai paura di te. – Ifi: - Sposiamoci, te l'ho già detto. Tu sei pazzo, io sono savia.‑

A.: - Sposarsi non è la pettinatura inappuntabile o la tovaglia fresca di bucato, te l'ho già detto.-

Ifi: - Anche questo serve. E' tra i ricordi belli che rimarranno.

E' educazione, è tradizione, è civiltà. ‑

So anch'io che sposarsi è ben di più. Alleverò i tuoi bambini. Sempre con loro starò, stanca e felice. Come mamma cagna o mamma coniglia che perde il pelo e non li lascia un attimo e li riscalda con il fiato e li lecca con la sua lingua calda. Ammasso di pelo, di nervi e di calore. E quando alla sera tu tornerai, sarò tutto per te. Stringerò la tua testa tra le mie braccia, la scalderò. Non piangerai per me. -

A.: - Peccato che non ti possa vedere gli occhi. Chissà come sono dolci, mentre di ci queste cose.

Amore con la maiuscola. Non basta. Illusione fa rima con delusione.

Le donne sotterrano gli uomini. Sono di un tipo solo.

C'è la mantide, c'è l'ape regina, c'è l'amazzone-femminista. Son sempre così. Non hanno il senso della misura.-

Ifi - Non essere sgarbato. Sii serio, una volta tanto.-

A.: - Vuoi che ti faccia ridere. Prendimi così come sono.-

Ifi: - Oh sì, sì...

A. :- Oh no, no, ben altro ho da fare io.-

Ifi: - Spiegami che cosa devi fare di così importante, più dei tuoi figli, più del mio amore. -

A. :- Per esempio devo far politica. Devo andare alla battaglia. -

Ifi: - La politica.  Una parola. Senza senso. Solo un parolone-. Non serve a niente.-

A. :- Tutto è politica, ormai. Vuoi forse che gli altri la facciano per te? -fi:  - Oh sì, sì. E' così comodo e riposante. Io ho fiducia.-

A. :- Li hai visti da vicino? Loro, i politici, sono saggi, sanno la storia, oppure gettano il mondo all'aria e vogliono gettare all'aria anche te. Anzi non gettaranno niente all'aria. Copriranno e concilieranno tutto. L’arte della politica è l'accomodamento, ma talvolta la terra salta in aria lo stesso.-

Ifi. - Politica non è parola per me.-

A.: - Politica è una cosa che spetta al cittadino. Non ti senti cittadina?

Cose da cittadino, da fare per la città, cose da tutti noi, da non dire con il vocino da bambina ben educata, che si scusa perché non sa parlare in pubblico.-

Ifi: - E' troppo grande per me. Non capisco. -

A:- Allora ascolta, prima di finire all'aria anche tu, non aspettare che ti insegnino la storia. Le parole degli altri prendile e ribaltale. In teoria ogni cosa puoi cantare. Le etimologie fattele tu, secondo la realtà dei fatti e certo troverai l'origine giusta. Politikòs è come boukolòs, finiscono tutti e due in os. Non c'è. differenza tra politico e pastore di buoi. Una città è una mandria ammassata. Pensa soltanto che non vuoi essere nella mandria, spinta da un qualche cagnetto rabbioso.-

Ifi: - Forse... I cani pastore sono davvero i più sgradevoli che siano stati creati, che siano nati. -

A.: – Se non vuoi aver paura tutti i giorni di un cane pastore che ti farà passare  per la via più breve o più difficile o dove piace a lui, mentre tu vuoi brucare l'erbetta in libertà, impara a reggerti da te.

Tutto lo devi trovare dentro di te. -

Ifi: - Ma io voglio fuggire da me. Vorrei essere solo un vestito. Senza volto, senza testa. Un vestito che cammina. Lo fanno camminare. -

A. :- Non farmi perder tempo. Credi che possa fare il buon samaritano delle tue paure? Si vive una volta sola e il mondo chiama.

Quel re, grande, importante, meraviglioso, non ha che da schioccare le dita e tu dovrai essere ai suoi piedi. Come Briseide in eterna schiavitù.

Il mondo dei grandi ci butta le sue leggi sulla testa, ma solo la forza della mia giovinezza può cambiare le cose in meglio.-

Ifi: - Ma quali cose? Quale meglio? Per inseguire il meglio non ti accontenti del bene che puoi avere oggi. Non lasciarmi al re. –

A.: - Noi non abbiamo dove andare.

C'è Scamandro, c'è Simoenta là fuori. Sono vorticosi assai.

Siamo cresciuti io e il mio amico nello. stesso banco. Hanno visto che non ci po tevano separare in nessuna maniera, perché la nostra giovinezza ci univa. Allora gli hanno messo un'idea in testa e lui ha creduto di doverla-seguire fino in fon do. Patroclo è morto. C'è Scamandro, c'è Simoenta là fuori.

Ma noi... Siamo giovani. Non capisci che ci divideranno sempre, noi giovani? Siamo cresciuti insieme e poi ci chiamano con il piffero o con il tamburo o con la fanfara o con l'organetto di Barberia. Tutti credono sempre di aver ragione. Ognuno ci grida la sua verità. Ma qualcuno di noi finisce per pagare questo sopruso sulla sua pelle.

Noi non abbiamo dove andare. -

Ifi: - Non ho paura della fatica e del lavoro. Se stiamo insieme nessun re ci separerà. –

A. - T'ho detto che non credo all'amore, a questo amore di un uomo e di una donna, come lo chiama la gente. Via, via, Amore, facciamo divorzio. Non voglio che tu sia amico mio. -

If. - Tu sei folle e bugiardo in questo momento. Il tuo cuore è pieno d'amore ed

è lo stesso se è più grande di quello di un uomo e di una donna. Non negarlo. Tu vuoi andare contro Scamandro e contro Simoenta per Briseide dalle belle chiome, per Patroclo il dolce amico. Anche per me, Ifigenia, che vogliono sacrificare.. Mi hanno promesso che il mio sposo sarà Achille. Ma non è vero. -

A.: - Chi hai detto che sarà il tuo sposo?-

Ifi. - Achille, Achille. Lui ha fatto quello che nessun uomo potrà mai ripetere. Sognando, lottando contro le leggi codificate a dispetto degli uomini e non per gli uomini. Lui con la forza della sua giovinezza.

Solo un giovane può queste cose. Solo i giovani l'hanno fatto nella storia appunto perché non sanno niente di storia, perché non sono saggi, perché non hanno espe­rienza, perché credono che si possa agire, che si possa cambiare, perché non conoscono delusione.

Loro, i grandi, mi vogliono ingannare. Non c'è Achille per me. Se anche tu dici che illusione è uguale a delusione, loro vinceranno sempre. Io ubbidirò. A.: ora ti capisco e tu devi capire me. Prometti di capirmi. – Ifi: - Non costringermi con le promesse.-

A.: - Devo. Sono io Achille. Sono un pazzo giovane e ribelle. Accetto il mondo com’è, però se viene fatto un sopruso mi alzo per cambiare. A rischio della mia vita. E così farò, finché avrò gioventù. –

Ifi: - La tua ribellione è pur sempre sulla punta di una lancia. Non discuto il principio, forse il modo è sbagliato. Ci deve essere un altro modo di essere giovani. Tu porti altro dolore.-

A.: L’illegalità comanda la legge e non vi è fra i mortali sforzo comune affinché non giunga la collera degli dei. Sono Achille e sarò sempre teso a soccorrere gli infelici. Tale è l’uomo morale:

 


Ifi: rischi la vita eppure questo non basta a salvarti dall'essere spietato. Priamo getterai nella polvere. Andandotene ora sacrifichi anche me. Com'è

diversa dalla realtà la favola bella del mito. Si capovolge perfino e si colora di crudeltà.

La  paura diventa più grande del vestito, più grande di questa scena.

Non si può lottare con Scamandro e Simoenta. Bisogna accettare. Cambiare il mondo èscavare come goccia, giorno per giorno. Scaldiamoci intanto con il nostro fiato dall'orrore del mondo. Andiamo avanti a poco a poco. L'impero di Alessandro,--un altro giovane re è  dissolto. Le rivoluzioni cambiano nome, non fanno storia, si perdono nello spazio. Giovani  che superarono il limite dell’umanità muoiono. Non invecchieranno mai. Dolce invecchiare!

A.- Non imprigionarmi. Cambiare è portare la mia rabbia, il mio dolore, il mio amore fino alle stelle. In lotta contro tutti e tutto.

Ifi.-La vita è fatta per gioire, per dare amore, per aiutare. La tua lancia  collabora alla distruzione. Non cambia niente.Il tuo cavallo scalpitante calpesta i fiori e la mia nutrice non potrà rifiorire per me. Ci deve essere una porta per entrare da te, ora, in questo momento, prima che si compia il nostro destino. Che non è quello di invecchiare.- 

A.:- Non entrare da me. Io devo andare e tornerò.-

 Ifi: Lasciami entrare da te, ora. In questo momento. So cosa vuol dire sposarsi e vivere in semplicità. Mi stringerai forte quando starò male, dividerai la mia febbre, mi rimboccherai le coperte alla seray quando sarò già mezzo crollata di stanchezza e te l'ho detto tante volteche non mi piacciono le coperte rimboccate. Voglio essere libera di girarmi a pancia in giù. Quando di notte sono spaventata per un tuono improvviso e giro la schiena al mondo e mi rifugio nel morbido delle coltri, la tua mano arriva a scaldarmi, diventa grande come se io ci stessi chiusa dentro. E poi di giorno sarò io a diventare materna. Ti stringo come un piccolo bambino e ti dico:"Non ha importanza, amore, se sei deluso, se non hai cambiato il mondo." Se noi, ogni giorno, fianco a fianco, umilmente, laboriosamente, viviamo vite senza storia, noi operiamo l'unica rivoluzione possibile, quella che avviene migliorando a poco a poco, senza ferire, senza distruggere.-


A.:- Dolci sono le tue parole. Ma non mi puoi legare. Lasciami andare. Anch'io ho ragione quando dico che se mi vuoi accompagnare devi cambiare. Non basta sta re in una piccola casa, in un guscio caldo. Forse non è mai bastato fare cosi. Il mondo è fatto di spazi e sarebbe un peccato non aver spaziato.-

Ifi - Ho capito che, oggi, non posso entrare da te. Temo che quando tornerai non ci sarò più ad aspettare. La tua vita è tesa ad una meta, la mia vita si deve compiere oggi, in questa scelta, oggi.

Ora fammi ridere un po'... Non essere serio. Ora sii un po' folle. Poi penserò.-

A.:- La matta sei tu. Mi dici una cosa e poi me ne chiedi un'altra. Però ti ho capito. Ifi, tu hai davvero bisogno di me?' Non ci credo.-

Ifi - A questo punto dovrei andarmene. Non c'è porta per entrare da te. Non c'è nemmeno barriera fra me e te. Non c'è questa parete. E' legno sottile soltanto e non ci divide.-

A.:-Ifi, fermati ancora un attimo. Guardiamo insieme dalla mia finestra.-

Ifi: Forse è meglio che guardare dalla mia. Fuori c'è solo gente che urla

evviva o abbasso. Per questa gente la vita è solo una corona o una testa mozza. -

A. - Anche dalla mia finestra si vedono i fiumi scatenati. Ora Simoenta scorre con vortici d'argento, ora Scamandro è azzurro. Sta sorgendo il sole.-

Ifi: La luna se n'è andata. Non ci sono più le stelle. Non voglio ricordare che sono sempre belle. Il sole sta per sorgere.‑

A.: Ifi il cielo è infinito.‑

Ifi:- Scusami. -

A.:- C'è un cielo infinito lassù. -

Ifi:- Quando sta per sorgere il sole ho ancora più paura d’incominciare la giornata. Ho voglia di piangere, ora.‑

A.:- Io sono contento invece, spero di riuscire a fare qualcosa di utile. -

Ifi: Non sono capace di aiutarti. Quando tornerai, non ci sarò più. Vorrei aiutarti. Non sono capace; Sento freddo, in questo momento. Perdonami.-

A.: - (Incominciando a recitare accompagnandosi con la chitarra):

Tanto tempo fa

Lo zigolo cantava cantava in cima alla gaggia.

Cantava ai cuccioli che una coniglia portava a giocare. Nel vento cantava e i cuccioli ruzzavano sull'erba.

Il tempo scorreva sereno sotto il sambuco in fiore.

Ifi: - Ma l'uccello volò via e il mio cuore adesso è scuro. E nessuno più non gioca in quel campo, più nessuno.

A.  :Tanto tempo fa

Le coccinelle si posavano sugli steli del loglio. Ogdeggiava l'erba al vento. Un coniglio e una coniglia correvano nel prato. Si scavarono una tana nel greppo. Facean quel che gli pareva là sotto gli avellani.

Ifi: - Ma le coccinelle sono morte al gelo e il mio cuore è scuro. E io mai più mi sceglierò un altro compagno.

Scende la brina, la brina scende nel mio corpo.

Le mie narici, le mie orecchie intorpidiscono al gelo.

A. :- Verrà il rondone a primavera gridando:"Novità! Novità! Scavate nuove tane, coniglie, e fluisca in voi il latte per i cuccioli!"

Ifi: - Io non l'udrò.

Attraverso il mio sonno corre una rete metallica per ingabbiare il vento.

Io non sentirò mai più il vento soffiare.

 

                                    (Breve pausa).

Se fossi a fianco a te mi scalderei, ma anche questa è solo un fuga. Conigli si scaldano pelo contro pelo e aspettano che crolli il mondo Sai cosa mi suggerisce il mio cervellino?

So penare soltanto le parole della nutrice, quelle adatte alla sua qualità di grillo del focolare: Fuggire, fuggire.

Il mio cervello pensa soltanto come quello degli animali braccati e spaventati.

A.: - Infatti, fuggire, fuggire. -

Ifi: - Eppure mi hanno allevato a classici e non ho imparato a ragionare.-

A.: - I tuoi zii sono Edipo ed Eschilo, i padri Omero e Archiloco. Una gran bella famiglia.‑

Ifi: - E io non so cosa fare, oggi. -

A. :- Un tempo avevi delle certezze. ‑

Ricordo che preferivi De Sanctis a Croce. Dicevi che il contenuto è più importante.-

Ifi: - Non sono la sola ad averlo detto. Ed è una sciocchezza anche questa.

Quanti errori ho fatto inseguendo queste stupidaggini e credendo di essere nel giusto. Avrei tanto bisogno di una forma cui aggrapparmi oggi che il contenuto mi sembra così labile.-

A.: - Ti piaceva anche l'oro. -

Ifi: - Come fai a saperlo? Come fai a sapere questo?-

A.: - La parete è sottile e ti ho sentito crescere. -

Ifi - L'oro perché è un segno su questa terra di luce. L'oro dei libri che quello delle miniere sa di sangue e di avarizia.

Penso quando non ci sarò più a come poco la gente mi avrà conosciuto.

                                    (Silenzio)

Non so più niente di De Sanctis e Croce. Non me li ricordo più. Sui banchi l'abbiamo creduto che fossero molto importanti.

Ora sono lontani. Io ora sono già pelo perduto e fiato umido e caldo. Sono già a livello di terra.

La nutrice è certa di rifiorire con la sua fede elementare che nulla si perde. Io invece sono solo un groviglio, un nodo di dolore.

Che fiore potrebbe nascere da me?-Sai cosa mi suggerisce il mio cervellino?

So penare soltanto le parole della nutrice, quelle adatte alla sua qualità di grillo del focolare: Fuggire, fuggire.

Il mio cervello pensa soltanto come quello degli animali braccati e spaventati.

Che fiore potrebbe nascere da me?

 A.: - Tu sei già un fiore. Ricordati che quando le cose non vanno, quando vanno male per te, sai fa male anche a me.‑

Ifi:- Mi chiami fiore. Vedi non sono già più una persona neanche per te.‑

A.: -      C’è un cielo infinito anche per noi. -

Ifi: - Oh no, no. Ora sono già fiato caldo, solo alito di vento, respiro. Ora, non c'è un giorno, non c'è domani l'altro.

A.: Oh sì, sì. Credi a me. Convinciti un poco.

Quando le cose non vanno per te, sai fa male anche a me, -

Ifi: - Grazie! Anche se sono triste e sento freddo lo stesso.

Ora vado. ‑

(Si sposta al centro della stanza ed abbraccia l'abito bianco).

 

                (Si sente la voce di un'amica).

 

Amica:-Ifi, si può?

Ti ho portato un regalo per il tuo matrimonio. -

Ifi: - Grazie!-

Amica:-Sentir Ifi, di là nella camera vicina c'è un ragazzo che mi interessa. L'hai mai visto?-

Ifi: - No. -

Amica:-Non sei di molte parole oggi. Non sarà che vivendo così vicini, tu e lui... a me interesserebbe, se è libero. -

Ifi:-Fai pure. E' libero. -

Amica:-Lo dici in un modo... Tu lo ami?‑

Ifi:  - Vedi il mio vestito bianco?

Se lo indosso e mi specchio, magari mi innamoro di me. -

Amica:-Non scherzare. Non amerai per caso quello della stanza vicina?‑

Ifi: - Forse amo solo me stessa. Ed è una cosa tristissima. Te l'ho già detto: Stai tranquilla. Sei nata incantatrice-

 

                                          SCENA II

Incantatrice:-(Entrando nella stanza di Achille). Permesso? Sono un'amica di Ifi.-

A.: - Mi sembri molto più vecchia. Quanti anni hai?‑

In.: - Sono giovane come l'acqua.-

A.: - L'acqua è antica come il mondo. Prima l'acqua o la terra, chi per prima

fu  creata?-

In: - Sono limpida come l'acqua.‑

A.      : -L'acqua contiene tante di quelle cose sul fondo... Ne è strapiena e la trasparenza è un'illusione ottica.‑

In. :- Allora sono trasparente come l'aria.‑

 A.:- L'aria è piena di polvere. –

 In.: - L'aria è libera e porta la polvere dove vuole.

La gonfia come un turbine di tempesta o la depone perché tu possa ammirare lim pido il cielo azzurro.-

A.: - Non m'incanti.-

In. :- Sono una gran fiamma lucida.-

A. : - Il fuoco diventa cenere.

Che strani capelli hai?-

In.: - Sono biondi platinati. Raccolgono e riflettono la luce.-

À.: - Poverina! Così giovane e limpida e trasparente e libera e lucida e già così canuta! Tu sei vecchia come il mondo!~

In.: - Non capisci. Ti fermi all'apparenza.

Chiedirmi qualcosa, una cosa qualsiasi. Forse la farò. Con te verrei...-

 A.: - Si’ leggeresti perfino l'elettrotecnica o Omero o il Vangelo o ti studieresti le formazioni delle squadre di calcio a memoria, pur di venire in camporella con me.. Sai come è fatta la donna?

A quindici anni, dice:"Ne dimostro venticinque, me ne sento trentacinque, mi piacciono i quarantacinquenni.

A quarantacinque anni, dice:"Ne dimostro trentacinque, me ne sento venticinque, mi piacciono i quindicenni". Questa è la donna: un paradosso.‑

 

In.: - Definizioni, parole, giochi. Giochiamo se tu vuoi. –

 

A. : Non ti arrendi mai. Cosa vuoi da me?-

In.: - Niente. Ti ho portato solo dei fiori da mettere nella tua stanza per rallegrarti un poco.-

A.: - Perché vuoi rallegrare proprio me? -

In.: - Così. Mi piaci.

A.: - Miao, miao, maramao. Gattona, miciona. -

In.: - Vedi, ti stai avvicinando a me. Mi capisci già. Capirmi è anche amarmi.-

A.: Capirti è fuggire lontano., molto lontano.-

In.: - Miao, miao. Ritornerai. Non ho paura io. La mia vita è piena. Quando tornerai, sarò pronta. -

A.: - Le vedo già le tue treccine e le scarpine basse e il collettino bianco da

collegiale che mi saprai mostrare.-

In. :- Oh no, no. Non avrò nemmeno bisogno di questo. Era l'arte di un tempo. Ora mi basta la mia sicurezza. Sarò già lì con l'abito da sposa.

La gente come te che vuole cambiare il mondo, ha il suo tallone non lo sai?-

A. :- Io combatto per un principio. La realizzazione si sporca sempre, lo so. Il principio resta.

Combatto per un amico-ucciso, combatto per fanciulle come Ifigenia, così giovani a indifese. Questo è l'uomo morale per me.-

In.: - Ifigenia è sogno. Non può resistere alla vita. La uccideranno. Quando tornerai, non ci sarà più, sarà svanita.

Io non ho paura. Le Ifigenie sono una razza di sconfitte.

Io sola rimarrò e che l'universo cambi non me ne importa niente. Ci sarà sempre un uomo ed una donna fino alla fine del mondo. E chi resisterà sarà quella di cui si parlerà, di cui si canterà. Non ti darò niente. Niente più di quello che hanno tutti. Vivere significa stare nel mondo. Tu combatterai contro dei fantasmi e tornerai sconfitto, pronto alla resa. La vedo già la tua stanchezza, mi sembra di toccarla con mano.

 Ferito, debole. Io ti verrò accanto e ti dirò:"Sono tanto sensibile, sai. Se

 piangi per l'amico morto sappi che il cuore tenero che ti può aiutare è

 proprio il mio.-

 A. :- Le tue parole sono veleno.-

In.: - E tu lo berrai. Sono maga ben abile a preparare filtri.-

A.: - Ma cosa vuoi da me?-

In.: - Voglio soltanto una pelliccia nuova, una bella macchinina, 25 contenitori da frigorifero, scarpe lustre di vernice, borse firmate e tante amiche e tanti amici per cui essere regina.

Perché nessuno è così deciso come me a prendersi ciò che vuole. Tutto quello che ho voluto, l'ho sempre avuto. Io prendo, prendo, prendo.-

A. - E vuoi certo una casa con un grande bagno. Magari con la piscina a forma di cuoricino.‑ In.: - Indovini, ti stai svegliando. La piscina mi va proprio bene.-A.: - E tu credi di riuscirci?-

In.: - Oh sì, sì. Non si può essere pazzi come te, né illusi, in un mondo concreto. Loro, gli altri, seduti là, mi capiscono. Credimi il mio è un esercito. Io sono in compagnia.-

A.: - Allora se proprio ci tieni, tiro la tenda del luogo di decenza per mostrarti il nostro, della nostra casa, un giorno. Ecco il mio regalo di nozze. Sensazionale. Grande era e maestoso e profumato il gabinetto che vidi in campagna una volta. C'erano tre gradini per salire lassù e per sedersi lassù. Le galline vi andavano a becchettare festose. E' un trono non ti pare? Lo vorrai così il tuo?

Ammiralo (Fa segno al cartellone secondo descrizione che si vede sullo sfondo, dietro una tenda. Quindi fa l'atto di andarsene).-

In.: - Dove vai Achille, ora? A suonare la lira?-

A. :- Vado a vomitare.-

In.: - Perché? Se vai a Roma ti fanno vedere il primo orinatoio. E' un segno di civiltà. Anche il w.c. all'inglese è civiltà.-

A.: - Carina lei. La civiltà del raccoglitore totale, del livellatore totale.

 Ah, pardon, miciona. Sei forse romantica? Ti dispiace che parli così?

Hai ragione dopo tutto. I primi biglietti d'amore dove vai a leggerli, perché nessuno ti disturbi? E quanta letteratura in proposito...-

In.: - Solo nei momenti disperati. O si ride o ci si chiude lì.

I raffinati ridono per nascondere la paura, fanno il "così ridevano ", invece la povera gente va li.-

A.:- Il gabinetto-trono sarà il mio più bel dono per te.-

In. - Sprechi l'ironia. Per secoli la tua categoria, quella degli uomini ha

parlato di quel luogo lì. Ma solo noi, le donne, dobbiamo pulirlo: a casa.

Eallora che sia come da dizionario:"Gabinetto, piccola stanza di uso particolare, privato... Negli antichi palazzi spesso ornata e decorata riccamente..."

Vi metteremo quattro quadri nel nostro gabinetto e l'importante sarà che resti d’uso privato.-

A.: -Carina lei. I nostri amici diranno così:"Son ricchi loro, han perfino quadri al gabinetto”.

In.: Discorsi di uomini appunto. Uso privato, ricorda, con quadri dentro per sciccheria. Non vorrai passare alla storia come colui che fece la rivoluzione del gabinetto? –

A.: - Come faccio a liberarmi di te? Forse ti accontentavi di vedere la mia collezione di stampe cinesi o di francobolli?

Forse ho esagerato a mostrarti il luogo di decenzal

Per farmi perdonare ti racconterò una storia d'amore:"Iei lasciava la loro casa nuziale, disperata, in lacrime, decisa. Lui fumava chiuso al gabinetto. Così finì una bella storia d'amore”.-

 In.: - Questo non è scandalo. E' quasi routine. Ora basta. Sono in collera. Non mi si addice il gabinetto. –

A.: - Le porti le mutadine con i pizzi? –

In.: - Non mi si addicono.-

 A.:- Non porti mutande, tu?-

In.: - Non capisci niente. (Un po’ ispirata e cattedratica).

Le mutande furono una grandissima conquista del mondo, appresa l'igiene e perduta l’innocenza dei primitivi.-

A.: - Se mai è esistita. Anche l'igiene dico.-

In.: - Mutande oggi servono per ridere un poco, perché siamo civili ormai.-

A.: -(Ironico) Cioè noi raffinati parleremmo di mutande per imparare a non prenderci troppo sul serio. Non credi che sia meglio far qualcosa di concreto per l'igiene? Sembra ancora così scarsa.-

In.: - Mutande, se così parlo, ho in mente...-

A.: - Certo un nobile scopo.-

In.: - Che sciocco, Achille! Con te non si può parlare.

A. :- Tu sei tutta un paradosso. Ho capito sai che vuoi dire “educative”. Hai fin le mutande educative. Non sapevo che ne esistessero di questo tipo.-

In.: - Sono in collera, ormai. Vai, fai pure la tua rivoluzione. Sarà già tanto se riuscirai a migliorare il gabinetto e a farne un luogo d'uso privato veramente. Nulla di più grande riuscirai a congegnare. Ogni Achille ha il suo tallone. Crescere è deporre i sogni. Sono vecchia come il mondo, sono saggia e sarò io l'ultima a ridere insieme a loro, gli altri come me.

Faremo una gran festa con pioggia di riso. Vedrai: Loro taglieranno la torta con noi. -

A. :- Oh poverina, così giovane e già così canuta, offesa in una verginità, che forse hai perso in culla. Ti ho fatto torto, lo so.

Stai attenta a non fare un patto d'odio e d'indifferenza con me.

Se riuscirai a raggiungere il tuo scopo, vivrai tutti i giorni con un manichino.-

In.: - Oggi ti fermi all'apparenza. Crescerai.

Il mondo sarà sempre uguale. Gli uomini non cambiano mai. Sognano e la realtà è fatta di tante cose concrete. Che questo luogo terra-terra della nostra conversazione sia almeno di decenza: secondo igiene, secondo pulizia e d'uso privato. E non parlarne più davanti a me.-

A. - Congedo, congedo, congedo dal gabinetto.

Nessun sonetto, se lo scrivessi mai, sarebbe più perfetto. Congedo, congedo...-

In.: -(Allontanandosi il più possibile da Achille e assumendo una posizione contraria a quella di prima, un voltafaccia anche fisico):Scherza pure. E' già venuto l'arredatore per la nostra casa.

Mi disse:"Per lei, signorina, ci vuole una camera tutta a linee dritte, francescana." Gli dissi:"Ma, almeno la tenda che si gonfi al vento, come una

nuvola, come le chiome degli alberi scapigliate."

(L'atmosfera cambia di colpo. Si fa incantata, come se fosse presente Ifigenia e non l’anti-Ifigenia).

Sai, vidi una volta i capelli di Chiara d'Assisi. Non mi dirai che li pettinano e li pitturano di notte, per farli così belli. Se sono reliquia d'oro incorrotto, vuol dire che quella donna aveva qualcosa da dire da sé.

Chiara, una donna-fanciulla, non si mosse né per amore-no di Francesco, né per amore-sì di Francesco, né spinta da un Francesco. Così mi piace pensare e mi piace credere che ci siano altre Chiare al mondo, confuse tra la gente che passa. Tante sono le strade da seguire, alcune passano 'Alte alte, altre in basso, nella polvere’.

Accetto la camera francescana", dissi all'arredatore2"ma non rinuncio alla tenda di nuvola.-

A.: - Chi sei? Perché dici queste strane cose? Sei stata capricciosa, aspra e sciocca, superba e dolce, ora. Chi sei?-

In.: - Mi ritroverai un giorno. Achille quello che credi di essere, che vorresti essere, quello che lotta contro il sopruso, è nato tante volte, ha avuto tanti nomi. La sua ribellione è vissuta in tante epoche e ancor oggi più che mai.-

A.: - Di grazia, tu che sei così vecchia e saggia, oggi come te lo figuri questo Achille?-

In. :- Sono saggia. Quindi lo vedo in balcone a piantare gerani e petunie. Lo vedo al tavolino con tanto di regolo in mano o di penna, abile e precisa, o di bisturi o con la zappa in mano per rivoltare le zolle secche. E sul tavolo c’è sempre la clessidra.

 

Il pendolo suona, giri la clessidra. E' passato un altro giorno.

Mi ritroverai.-

                         (Torna l'atmosfera solita).

A.- Ad occhi bassi, con il vestito bianco, un giorno. Fattelo almeno un po' avorio, color écru. E' di moda, è più fine, fa più chic. Meno bianco sarà, più in carattere con te mi sembrerà.

 (Pausa brevissima)

 Eppure per un attimo mi sei sembrata diversa.-

 

In.:- Incantatrice, forse?

Mi ritroverai con gli occhi dritti nei tuoi. Saresti capace di giudicarmi male per un po' d'azzurro sugli occhi. Vestita di bianco o vestita d'écru è solo una scelta mia. A te non importa. -

A. :- Ora mi fai ridere.

Ifi è un cristallo e teme di nascondere in sé cose abnormi, ferite, contusioni, fango, tu sei soltanto quest'aspetto mutevole, variopinto, freddo, non puoi avere cristalli dentro.-

In.:-Ifi non c'è più, già più.

Ti fermi giusto all'apparenza.

Io sono qui.

Essere? Credere? Sentirsi?

A te non deve importare.

Miao, miao, maramao.

(Fa per uscire).

Ah, ancora una cosa: accarezzami il cervello se proprio ci tieni. Potrei essere intelligente. Forse più di te.-

A.: - Bisognerebbe prima trovarlo il tuo cervello. Sei proprio sicura che ci sia? Míao, miao, maramao!-


                                       SCENA III

 

Ifigenia è sempre presente in scena, immobile, abbracciata al vestito bianco.

Achille continua a lustrare la lancia.

Entra il padre di Achille.

P. - Achille, figliolo caro, ecco qui due bicchierini per fare cin-cin, per salutarci. Fra poco ti sposi. Una nuova famiglia, una nuova cellula di un grande alveare. Mi sento contento.

I miei colleghi vi regaleranno la batteria di cucina. La migliore che ci sia in commercio, tutto acciaio inossidabile. Quando ci sono le pignatte è risolto il problema più grosso.-

A. - Dovresti parlarne alla sposa che non c'è. Oggi io non mi sposo, oggi vado alla battaglia.

P. - I miei colleghi hanno scelto la batteria di cucina più bella che ci sia, per voi. Mi vogliono bene, vogliono bene anche a voi.

Non vorrai far aspettare la sposa con l'abito bianco sul sagrato?-

A. --Oggi ben altro ho da fare. Non voglio essere in     un alveare.

E la batteria di cucina, più bella che ci sia, è pur sempre un insieme di pignatte.-

P. - Lo so, è la reazione di tutti. Vien voglia di fuggire. Su beviamo due bicchierini e facciamo cin-cin in allegria, da buoni amici.-

A. - Padre, tu ora non sei amico mio. Non rinuncerò a cambiare il mondo per quel che posso. Non voglio trappole, non voglio legami. Devo andate. -

P. - Che cosa mai vuoi cambiare? Sei mio figlio.

Ti ho allevato per agire come ho fatto io e mio padre e mio nonno. I sogni non cambiano niente.

Agire significa costruire.

Costruire anche una capanna, fabbricare anche un cestino di paglia, ma alla tua capanna, se fatta a dovere, al tuo cestino "carino", nella foresta, gli altri uomini una strada faranno per venire ad imparare.

Costruire una cosa grande o una cosa piccola ma che serva ad un altro. Per questo sei nato.-

A. - Non ti ho chiesto io di mettermi al mondo. -

P. - Non farmi montare in collera. Vorrei schiaffeggiarti.Cosa pensi che sia vivere? Forse passare come una farfalla o un puledro di razza tra l'ammirazione? Forse vuoi dire:"Dormiamo nudi sotto i nostri mantelli e vicino alla bocca teniamo la canna del gas?

Un mantello non difende la nudità, ma una tuta la copre, un colletto bianco la sostiene, un guinzaglio la regge. Per migliorare.

Guardati intorno. Mille sono le cose che ho fatto per te.-

A. - Padre, tu non hai fatto niente per me.-

P. - Entra in un grande magazzino. Mille cose ammassate ti rendono piacevole la vita, senza neppure fare la fatica di cercare da un posto all'altro. Tutte lì, ammassate per te. -

A. - Padre, non disprezzo queste cose, che ti costarono fatica, ma non mi servono per darmi la voglia di vivere in un mondo così.

Quei sostegni per andare avanti non coprono la mia nudità.

Nudo è Patroclo nella polvere. Le mie armi non lo rivestono più di fulgore d'oro. Nudo potrei essere io fra poco, nella polvere.

P.-Nudo non sarai mai, se entri nel tempio che ho creato per te.

Ho costruito una cattedrale, grande squadrata, ancorata a terra, che rintocca giustizia da ogni campana. Severa, incrollabile per te. Romanica.

E’ legata a terra, tutta una linea che a terra ritrona. Quando ti sentirai prostrato, a terra, quasi un verme, entra in quella cattedrale che ho fatto per te.

Pietra scabra e pietra grigia per te.

 

A.-Vuoi darmi delle pietre.

Io non voglio lasciare pietre dietro di me. Neanche pietre firmate.

Il vento del deserto può ammucchiare polvere e nascondere la cattedrale più grande, l'acqua del mare può coprire il granito più duro.

Mille uomini, forse un milione, forse un miliardo per anni portarono il granito.

Il tempo copre ogni pietra e la corrode.

  Padre, non chiedermi di trovare conforto in questo. Voglio fare qualcosa di più      rapido, oggi. Alzare una fiammata verso il cielo.-

  P. - Figlio già la fiamma del mio amore verso il cielo si è alzata. Ho costruito    una cattedrale per te: tutta linee verticali, che si getta verso il cielo. In preghiera.

Le finestre ogivali s'alzano come mani tese ed un volo di colombe nasce dalle profilature di quelle mani e la sabbia del tempo contro le colombe non può niente. Una grande,bella cattedrale gotica, dalle vetrate sfaccettate, come un diamante. Siedi su una panca e lasciati avvolgere dalla luce cangiante che piove di lassù. Non sia odio soltanto la tua fiamma.-

A.      - Ti racconto una storia, padre. Forse capirai.

André Vyd fu uno degli architetti più ammirati di Anversa. Costruiva una grande cattedrale. Pieno di orgoglio per quell'opera, pietra su pietra.

 Un giorno capitò in un antro. Gli disse un gobbo diabolico:"questa è la mia

 officina. Qui si fanno chiavi, chiavi di ogni genere e misura, per ogni serratura.

Si fanno le chiavi per le case dei potenti e dei semplici, degli artisti e dei

poveri, chiavi per le prigioni e per i castelli, chiavi per i cimiteri e chiavi per… ottenere il successo, la gloria, la potenza. Ti aspettavo, André. Il tuo

orgoglio ti avrebbe portato da me."

André si fece dare la chiave per costruire subito e più bella di tutte la sua

cattedrale. Oggi mi interessa la chiave, padre.-


P. - Conosco la storia. Il vescovo non la volle consacrare, quella cattedrale.-Vecchio e saggio:"André", gli disse," quest'opera non nasce dall'amore, ma da un'inumana fatica per la quale un popolo intero ha perduto il senno e il bene. Serve solo al tuo orgoglio."-

A.      -Se il popolo soffre, sottoposto ad una fatica inumana, è per il suo bene, per lasciare un'opera che vada oltre la sua vita. Consacra la cattedrale.

"Operai, che fate, incantati a guardarmi? Tú prendi l'ascia e squadra le travi e tu raccogli quei mattoni, e tu, presto porta i sacchi lassù e tu, e tu... Svelti, operiamo la nostra rivoluzione."-

P. - Ma, all'improvviso, la chiave era scomparsa e tutti stavano fermi. Non ubbidivano più.

André dovette ricominciare daccapo e servirsi della chiave dell'amore. La cattedrale venne su a poco a poco. Cent'anni dopo era pronta.

L'amore ha bisogno di tempi lunghi.

Vedi, la cattedrale di André, incastellata in frettolose travature, poteva sembrare un carro-armato. Con la chiave giusta, quella dell'amore, quella della persuasione la cattedrale è diventata spléndida.

Il sole scende dalle vetrate colorate ad illuminare quel povero vecchio che non ha dove andare e si riposa sulla panca, cullato dalla musica dell'organo.

La rivoluzione è stata fatta anche per lui, nella maniera giusta.

Quel vecchio è in compagnia. Troverà chi lo assisterà e all'ombra della cattedrale, a poco a poco, sorgerà un posto anche per lui, solo per lui.

Ricorda, figlio, che un limite è stato posto all'uomo. Se tu, anche per un attimo lo valicherai, la rovina su di te si abbatterà.

Che vuoi fare? Non si combatte con i fiumi. Ritorna in te.

La ribellione contro i fiumi non può far nulla. Per Patroclo potevi molto, quando invece suonavi la chitarra e ti cullavi nel tuo dolore, senza pensare a lui.-

A. - Male hai fatto, padre, a ricordarmi Patroclo. L'hanno ucciso, devo muovermi. Un uomo ha ucciso un uomo.-

P. - Un uomo guarisce gli uomini.

Ho costruito una cattedrale anche per te. Circondata di foglie verdi e rami, le palme si intrecciano e il sole filtra di lassù. Nel cuore dell'Africa un uomo cu ra gli uomini. Anche quella è una cattedrale. -

A. - Non mi importa della tua cattedrale, delle tue cattedrali. Anzi ho capito che non cerco nemmeno una chiave. La mia giovinezza non vuole briglie. Mi hanno offeso, voglio reagire. Non voglio aprire una porta, ma abbatterla. Mi toglieranno l' in nocenza, se no. Devo vincere con la fretta, con la sorpresa.-

P. - Cerchi l'innocenza ed è nell'altra stanza. Guarda nell'altra stanza. Di c'è una creatura per te, capace di farti sognare. L'ho educata per te. -

A. - Non me ne importa niente.-

P. - E' una creatura privilegiata. Sarai privilegiato anche tu, con lei.  Si chiama Ifi.-

A. - Oh che bella battuta. Si chiama Ifi. Talvolta,padre,sei spiritoso.

 Quasi mai, ma qualche volta superi te stesso. “Ifi privilegiata” per me hai allevato. Mi sembra di essere alle quotazioni in borsa. Non tutti sono abili negli affari.-

P. - Ho fatto uno stabilimento per te. Grandi macchine che non si fermano mai, là dentro. Com'era squallido, piccolo e modesto, quando incominciai a lavorare lì.-

E com'è grande e bello, ora.

Il mio cuore si riempie di orgoglio. Torno a visitare il luogo dove ho lavorato per tutta la vita e il mio cuore si allarga di commozione. Sono andato in pensione e ho nutrito solo nostalgia per quel lavoro, sempre uguale, monotono, alienante, stressante e così gratificante che ho fatto giorno dopo giorno per te. Ho amato quel lavoro.

Ti ho dato la vita due volte. Ti ho dato un po' di me negli occhi e nei capelli e ti ho lasciato la mia fatica e il mio lavoro, giorno per giorno.

Almeno questa non la puoi gettar via.

Non cianciarmi, ti prego, di uguaglianza o disuguaglianza e giustizia sociale, perché la gioia si conquista, il sole si cerca, i morti si difendono con il ricordo, con la volontà di impedire che un ciclone la prossima volta abbia ragione di noi, come di loro, e disperda anche la memoria di loro.

La vita è un ciclone. Solo se la tua casa solida farai al ciclone sfuggirai.-

A. - Le case solide si possono fare in tante maniere.-

P.- Se la tua casa hai fatto solida contro il lupo, ci sarà sempre chi ti vorrà

chie dere conto, come mai tu ci sei riuscito e lui no.

Non ricordi i tre porcellini? Io ti ho allevato per essere Tommy, per costruire con i mattoni. Getta via la lira, getta via la chitarra e lavora. Una casa solida farai...-


A.        - C'è qualcuno che vince al totocalcio o che gioca in borsa allo scoperto e raddoppia la sua fortuna o che raccoglie fin i chiodi dalla strada e diventa come Paperone. Non so se questo è morale.

      C'è chi nasce bello e chi nasce brutto, chi nasce   saggio, so per certo che al mondo c'è posto per tutti.

Anche per chi non è abile nel far fortuna. Anche per chi  vuole solo cantare e andare in guerra.-

P. - Non ti stancare mai di lavorare, di aiutare gli altri. Non fare il male, già questo è molto.-

A. - A me hanno fatto tanti di quel male! Mi hanno tradito. Chi sarà mai stato? Il re o il nemico o tu padre? Forse sei stato anche tu?-

P. - Figlio, se il dubbio su di me ti verrà, pensa a quando hai visto il mio dorso curvo di fatica per te. Non credere che io non abbia sofferto, ma il sole si cerca. Non cantare come i poeti, che talvolta sono un poco sciocchi e dicono delle cose tanto per dire.   Cerca il sole, anche tu



Insisto, la mia fatica, il mio lavoro per te ho lasciato. Non combattere contro i fiumi. Fabbrica un ponte ardito per attraversarli e per lasciarlo ai tuoi simi li, perché scavalchino i fiumi.-

A. - Padre, là fuori non vedo fiumi, ora.

In questo momento, vedo un vecchio canuto che piange disperato. Lo conosci, padre? Sei tu. -

P. - Guardalo meglio. Non lo riconosci?

Per quanto io abbia sbagliato, se tu rinunci a proseguire quello che di buono ho costruito per te, un giorno quel vecchio sarai tu.-

A. - Quel vecchio è disperato. Gli trema la mano. Lascia cadere la ciotola per terra.-

P. - Raccoglila! Il bene più grande che ti ho lasciato è quel suo dolore, quella sua disperazione.

Ti ho lasciato la mia fatica, ti ho lasciato le mie lacrime, ti lascio quell'uomo con la ciotola a terra o gettato nella polvere, perché tu sappia che invecchiare significa anche questo: aggrapparsi alla vita, supplicare per la vita.

Non consumare la tua possibilità in una fiamma che subito si spegne!

André Vyd dovette rinunciare alla chiave della fretta. Se vuoi fare la tua

cattedrale, incomincia da qui.

Vivere ne val bene la pena.-

A. - Padre, io sono disperato per l'amico, per Briseide, per Ifigenia, per quel vecchio là fuori.

Per questo, per la mia rabbia impotente, or ora gettai Priamo nella polvere e lo umilierò ancora e lo calpesterò di nuovo, ogni giorno.

Vattene, Padre, forse io voglio calpestare proprio te.

 

                                        (Pausa)


Padre, non ti accorgi che ti alzi canuto a parlare in un'assemblea e le voci si levano assordanti a coprire la tua. Ti gridano che hai sbagliato, che devi an dartene. "E' ora! Vattene!" ti gridano. "Non siamo scolaretti. Non c'incanti più!" Le tue parole sono belle e sagge. Le loro sono banali e brevi, slogan.

Non ti vogliono ascoltare, non hanno tempo per te. Il mondo rotola in fretta.

Padre, ti fanno un processo. Ricordano il tuo eroismo, i giorni bui che hai vissuto per tutti noi e i giudici fanno di sì con la testa, che è vero, che tu non: seì colpevole, ma poi... poi ti condannano. Il mondo corre, bisogna cambiare, non ci possiamo fermare. Quello che hai fatto di buono non basta a salvarti.

Se il mondo è sbagliato, una colpa devi avere anché tu, ché giovane non sei più, che certo hai sbagliato, anche se non volevi, perché in quel mondo hai vissuto, ci sei stato.

Padre, sei famoso, sei importante, sei meraviglioso e per questo bisogna che tu scompaia se un altro deve venire al tuo posto. Una scusa vale l'altra. Una

macchia si troverà, la troveremo.

Il mondo è guerra sempre, guerra di uomini contro uomini, guerra di giovani contro chi non lo è più.

Vattene! A terra ti getterò.-

P. - Se tu mi scacci, fai di me un venditore ambulante soltanto, che è passato soltanto in questa vita. Come se cattedrali di pietra ferma non avessi fatto per te.

Vendo re, vendo regine, vendo bamboline e marionette e burattini." Vado per il mondo. Giro e ritorno. Vendo vestiti bianchi, vendo lance. Vado per il mondo, giro e ritorno.

Cosa vuoi comprare, figlio?

Gettami nella polvere! Non m'importa! Ho imparato l'umiltà: Dimmi almeno che vuoi?”-


 

A.- Mio padre, non ditelo a nessuno, è agente 006, che viene prima dello 007 e quindi è più importante.

Lui si camuffa sempre, lui non s'arrende mai. Lui conosce la vita nella sua complessità. Lui si dimentica se ha sbagliato. Io pago anche i suoi errori.

Se io m'arrabbio, lui è pronto a tendermi una mano di conciliazione.

Padre, sei una vetrata sfaccettata, io sono una rozza faccia giovane, uguale a quella degli altri giovani. La vita non mi ha ancora segnato di distinzione.-

P.- Tu non vuoi capire. Tu muovi guerra al mondo intero. Tu sei sulle porte dell’odio ed io ho lottato per chiuderle, dopo averle viste da vicino. Sono atroci, credi.

Io avrò sbagliato, nemmeno io ti capisco, oggi, ma per te ho lavorato e mi sono preoccupato. Avere figli significa non avere più quiete.

Se ho sbagliato, l'ho fatto anche per amore.

Tu rifiuti tutto, rovini, distruggi, dai sfogo alla tua collera.

Io ho costruito e tu no.-

A.- Padre, mentre costruivi cattedrali, mi hai lasciato solo.

La mamma, lei sì, mi capiva.

 E’ stata la madre ideale per me.-

P.- Ideale perché ti ha lasciato fare tutto quello che hai voluto.

Ti ha dato tutto quello che ha potuto. -

A.- Oh, non si tratta di questo e neanche che mi ha servito e per me si è umiliata nel mondo.

Ti voglio dire, almeno una volta, quello che è stata mamma per me.

Corse con i piedi lucenti sull'onde del mare.

Salì al trono di Giove e lo pregò per me.

La sabbia cantava, in ogni granello gioiva. Risplendeva il silenzio.

Si tuffò nell'onde, per rendermi immortale.

Una piuma cadde dall'ala di un gabbiano, una foglia si staccò, portata dal vento

 e si posò sul mio piede.

Fui destinato a morire.

Mia madre andò nel fuoco per darmi armi di fiamma.

Mia madre perché fossi diverso dagli altri uomini, grande-importante-meraviglioso davvero, mi affidò ad un maestro che gli zoccoli scatenati portano in gara con il vento e che sa cantare canzoni di saggezza e di bellezza.

Mi affidò a Chirone, mezzo uomo e mezzo destriero, tutto uomo e tutto destriero. Perché in lui la natura operò un prodigio immenso.

Azzurre eran l'ombre sul mare. Le rive lucevan sonore. Mia madre rideva a piena gola.

Tu sei mortale, padre, tu sei canuto; lei è sorriso soltanto, è macchia di luce sull'acqua, è dolcezza tenera e appassionata, che non conosce limiti di tempo.

Padre, mia madre è stata una dea.

Tu mi lasci pietre, lei mi lascia vento, luce, nuvole.


Anche per lei mi muovo.

Per quando scoprì che tu non eri roccia, ma destinato ad invecchiare e ad avere in mano una ciotola tremante, per quando scoprì che anch'io dovevo morire e non mi sarebbero servite né l'armi, né la lira, né Chirone.

Per quando accettò tutto questo per amore di noi.

Lei sa che dobbiamo soffrire.

Ride perché è immortale e non può piangere mai.

Lasciami andare, padre.

Attraverso la distruzione e l'odio forse qualcosa lascerò che non sia pietra fredda e pietra grigia, che parli al cuore e ai sogni degli uomini, che metta radici nella loro carne.-

P. - Canuto fu l'uomo che ti cantò.

Scrisse cose di marmo e di bronzo per te.

Tu vivi per lui. Non dimenticarlo.

Se no, comprerai soltanto lance inutili e marionette per il teatrino di famiglia. Io sarò stato soltanto un venditore ambulante.

 

P.- Vai, ho fiducia, credo in te. - Rinsavirai.

 A. - Vattene!-

    P. - Ora vado. Non ci incontreremo più.-  

 

                                             (Esce).

A. - Sono disperato. Non hai diritto di commuovermi.

Tu vuoi legarmi con una pastoia. Io non voglio legami. Non li vorrò mai. Voglio libertà da tutti.

Se qualcosa non va, tu hai pronti i rimedi della saggezza, dell'esperienza.

Se non sai che pesci pigliare, invochi il deus ex machina.

Sì, ho paura che se tu guardi in alto è ancora vernice, solo vernice.

Tu, voi tutti, grandi, voi avete fatto cattedrali per orgoglio, voi vi vernicia te di Dio.

E allora voli la mia lancia, dritta al bersaglio, dritta al trono di Giove.

(Si sente un rimore di fiumi in piena, che si possono anche vedere sullo sfondo. La lancia è come un raggio di luce sottile che si congiunge all’alto).

(Nell’altra stanza Ifigenia si riscuote. Lascia cadere l’abito a terra, prima di fuggire dalla scena).

Ifi. - Achille, la tua lancia si è confitta in me.

Fuggirò nel folto del bosco, eternamente ferita.

La gente vedrà una timida cerbiatta bianca al mio posto.

Il mio sacrificio è compiuto.

Perché non ho saputo aiutarti.

Non ho fatto niente per me e per te. Forse amo solo me stessa, davvero. Sono alito caldo di vento e basta.

(Sommessamente):Rassegnazione, rinuncia, dolore per me!-

A. - (Urlando): Rabbia, odio, dolore per me. Maledetti!

 


                                  SCENA IV

A. - (Grida): Ifigenia,dove sei?-

In. - Eccomi qui. Sono pronta.

Ma che ti succede? Il tuo viso è di uno che ha compiuto un lunghissimo viaggio.-

A. - (Stancamente): Sempre tu! E che capelli canuti! Con te sposerei la storia del mondo.-

In. - Oh sì; sì. Pensa quello che vuoi. Io sono qui.


Gli inviti sono fatti.

Il fotografo sta per arrivare. Non si può tornare indietro.

In fondo è tutto un gioco e se si sanno le parti si vive meglio.

Tutto è scontato.-

 

A- Perché mai dovrei sposarti?-

In.- Perché sei un fallito.

Hai parlato, hai gridato, ma il mondo non hai cambiato. E sei già vecchio anche tu. Se ti guardo fra i capelli sei più canuto di me.-

A. - Vecchio e solo posso restare. La legge non mi prescrive di sposarmi. Perché mai dovrei sposare te?-

In. - Per convincere gli altri giovani che sei solo uno zimbello, un mito che non c'è. Così loro non sbaglieranno.-

A. - Mi sembri un verme, tu.-

In. - Anche tu verme diventerai, è la sorte di tutti.

Le parole scritte nelle pietre o sulla carta non servono a nulla.

Non l'hai gridato anche tu a tuo padre?

Non c'è illusione possibile. Neanche agire, neanche l'azione.

Tutto è fermo da migliaia di anni. Tutto è tardo, tutto è lento. Quel che si muove è solo un'illusione ottica. Il vento porta polvere e foglie in aria per

depositarle da un'altra parte, dove non faranno di meglio di quello che facevano, là dov' erano.-

A -"Dove andate foglie?" "Lontano, lontano. Dentro la terra con la pioggia e le bacche."

“Lottare, sperare, agire, non rassegnarsi mai”

“Portate anche me, foglie, nel vostro oscuro viaggio”-

 

 

In.- Sei stato a Troia e non t’è servito a niente.

Presto non ci sarai più neanche nel ricordo, perché gli altri giovani se ne

fan no un baffo di te.

Quel vecchietto,che ti ha cantato a ti ha reso famoso, fu un illuso, come te. La sua poesia ha varcato un breve tempo, pur sempre troppo breve.    Presto nessuno la ricorderà.

Hai gettato un vecchio nella polvere, volevi distruggere in nome della tua collera, della tua vendetta.

 Patroclo e Ifigenia sono state vittime tue, perché si sono fidati di te.

Tuo padre, l'hai fatto invecchiare di disperazione, rinfacciandogli la sua inutilità.


Per tua madre sei stato spina nel fianco, perché lei ha sempre conosciuto il tuo tallone. Ha fatto quel che poteva per te e per te si è umiliata per l'universo intero, ben sapendo che tutto era inutile.

Ti credi grande e rivoluzionario assai.

Inginocchiati. Tutta la vita in ginocchio devi stare. Per espiare.-

A.- Perché mai?

Dammi una sola ragione perché dovrei inginocchiarmi di fronte  a te.

In.- Perché non credo in nulla. Non ho illusioni non ho ideali.

  

So che basta essere rispettabili, per ottenere consensi.

Rispettabilità significa avere più degli altri, per fare quello che vuoi, senza dover chieder mai.

Gli altri, quelli come me sono un esercito.

Gli altri, quelli come te, bisogna cercarli con il lanternino.

Lottare con i fiumi, lottare con i mulini a vento...

Ridimensionati un po', se non vuoi scatenare qualche catastrofe.

Potrebbe anche cambiare il mondo, ma... sarebbe una gran disgrazia.

Si sta bene anche così.

In ginocchio!

 

A.   -Ma perché? Vattene tu.-

In. - Perché io sono la regina di questo mondo.

Sempre allineata dove va la moda. Se c'è una fanfara sempre pronta sarò. Per questo trionferò.

Sul collo del capobanda il coro dirigerò.

La mia arte è antica come il mondo.

Non m’importa di chi rimane calpestato sotto la folla.

$e occorrerà due lacrimucce saprò spremere e saprò crederci fin io. Sono tanto... sensibile.

Ho di buono che le idee passano solo lontano da me. Non le assorbo mai. Solo per essere alla moda.

Questa sola convinzione ben radicata ho: Sono la regina del mondo, quello che vo’ mi prendo.-

A- Ma cosa vuoi? Vattene! -

In - Rispettabilità.

Subito dammi una pelliccia, Dodò. Miao, miao. -

A.- Eccola. Ma vattene!-

In.- Subito un gioiello, miao, miao

A.- Ecco per te. Ma vattene!-

In- Subito vesti firmate da Batù, Dudù.-

 A. -Prendi. Ma vattenel‑

In.- Miao, miao. Dudù, Dedé, Dodò.

Non ti sei accorto che fin nel nome non sei un uomo, ma un gattone. Tale tua madre ti ha voluto.-

A.- Sarà come tu dici, ma... Tutte quelle cose che tu vuoi, un tempo si regala rano alle donne dei bordellii. Vattene!-

 

In. - Ti sbagli, alle regine, alle imperatrici. Ricorda pure.-

A.- Se una moglie è solo questo... Vattene!‑

In. - E' ben di più. Ma anche questo è civiltà.

Donna di modi gentili e di nitida eleganza riesce ad abituarti facilmente a passare la vita con lei.-

  A.- Vita con un manichino elegante? Vattene!‑

 

In.- Dimmi perché se posso avere il meglio, devo accontentarmi della bassa qualità. Sì, cattiva sarò, mi prenderò quel che vorrò. Dovrai ammettere anche tu che  sono nata incantatrice.-

A.- Per gli altri. Non per me. Posso cantare come tu vuoi. Non chiedermi mai

di condividere oltre la rispettabilità. Canterò per te. Non mi costa niente. Vattene!

IIn.-  Chiavistelli, chiavistelli, sono in smanie.

lQuanto vi voglio, sono in smanie e vi prego.

simpaticissimi, accontentatemi.

   Siate per me ballerini scatenati.

        (da Plauto)

    Per favore signora Henry 

signora Henry per favore

    sono in ginocchio ai tuoi piedi.

 

     presto diventerò matto

     per favore signora Henry

 Stasera sono tanto triste

Sono vecchio di mille anni    

signora Henry signora Henry per favore

 

Sono in ginocchio ai tuoi piedi.

(da Bob Dylan)

 

 

               ( Poi facendosi sognante):

In autunno le foglie, divelte dal vento, gialle e brunite,

stormiscono nel fosso. S'impigliano e s'aggrappano alle fratte.-

A.- Dove andate foglie? -

In. - Lontano, lontano.-

A.- Dimmi chi sei? Dove hai imparato queste parole?

 

In. - E' primavera scapigliata nelle canne del fossato. Il vento solleva la mia

gonna. -

 

A.- Mi sbagliavo. Le foglie non c'entrano.-

.i

In. – (Quasi gridando sarcastica):

E' primavera e i gatti innamorati vanno per tetti. Non cantano alla luna.

Vogliono la casa calda e la pappa pronta. Miao miao

A.- Dimmi fino in fondo, cosa vuoi di più?-

  In.- Non devo andarmene?-

A. - Dimmi cosa vuoi?-

In.- Voglio due bambini: un maschio e una femmina.

Il maschio per la dinastia, la femmina per farle tanti bei vestitini come una bambolina. Le metterò due rose in testa. Diranno come sono belle madre e figlia. Sono due sorelle. -

A.- E' faticoso allevare bambini, partecipando con loro. Vattene!‑

In.- Oh no, no è molto facile. Alla sera li mettermo a dormire presto per andare a teatro e migliorarci culturalmente. A teatro, s’imparano le idee.

A. – Stando con te non me ne ero accotto. Vattene!

 

 

In. - Se ti ho insegnato la verità più grande: Allinearsi sempre, intrupparsi, stare allo stadio in cinquecentomila o alla passeggiata di domenica fra tanto prossimo.

  Il prossimo è importante, bisogna amarlo, perché non ci dia fastidio e farsi amare      perché non ci rompa le scatole.

A.- Miciona, che ne faremo di giorno dei bambini?

E poi... vattene!‑

 

In.- Al parcheggio della pubblica istruzione. Affidati a tradizione e sperimentazione.

Intanto lavoreremo per un buono stipendio, per fabbricare oggetti di consumo Armi per eliminare il troppo prossimo. Il mondo è sovrappopolato. Il mezzo più giusto per ristabilire l'equilibrio è un po' di decimazione.-

 

O. - Ma... i bambini? Lo siamo stato anche noi.

A.- La prima ingiustizia ci ha fatto versare lacrime sul cuscino. Vattene!-

1n.- I bambini sono mostriciattoli scocciatori e un po' noiosi. Non dico che

non ci vogliano. Sono un segno di prosperità come le pellicce; i gioielli, la lucidatrice che lava per terra. -

A.- Se non puoi andartene, fermati. Rinsavisci un poco. Non sono stato a Troia niente. Ti insegnerò.

In.- Oh no, no, no. Ora sono in collera e non mi puoi fermare.

Se rinsavissi al grido della parità o della mano tesa, tutta la vita la schiena piegherei per raccattare bambole da terra o soldatini e striscerei sotto i cespugli di more. Ci sono tante donne striscianti al mondo e strisciano così rapide. Deve essere molto umiliante essere sorprese a strisciare alla luce del sole, allora cercano di nascondersi. Ma non ci sono sempre cespugli di more a portata di mano!-

 

A. - - Oh, era capisco! La prima cosa che mi chiederai di fare per la nostra casa sarà di cambiare la tappezzeria, perché non ti faccia insorgere nevrosi.

Vedrai nella carta, che c'è già, teste strangolate e occhi bulbosi e  squillanti derisione, bianco d'orbita rivoltato delle donne sacrificate, sempre costrette a strisciare a terra, perché il maschio le opprime. Proprio come hai letto nella tua amata Carta gialla.

Questo non sarà che un pretesto per avere di più: una tappezzeria nuova di carta o di seta o di iuta come usa adesso. Pur di essere alla moda.

Eegante manichino.

Capisci che non c'è solo questa contesa infantile fra uomo e donna, che c'è un mondo, là fuori, e che può saltare all'aria da un momento all'altro?-


In. -Sei o vorresti essere o ti illudi di essere la dinamite del mondo. Ma tu non hai cambiato niente e niente cambierai.

Cosa significa un tallone? Che ogni Achille contro l'ingiustizia niente potrà fare, che, bambino, piangerà in un cuscino, che, grande e adulto ormai, morirà a terra ucciso. E la morte ti viene alle spalle e ti allenta le membra e la terra nera ti riempie la bocca e gli occhi si oscurano e il nulla ti afferra. Non ci sono più i dolci amici, né i cari familiari.

Quanto a me so bene che il mondo in aria non salterà.

Il mondo è tondo, al massimo rotola in là. Se io un passo nel vuoto farò, il mondo sotto il mio piede correrà. E se il cielo cadrà, un po' più in là mi farò.

Nell’ acqua di Scamandro e di Simoenta mi bagnerò e le acque mi culleranno. Dolci e azzurre.-

A.- Qualcuno non resiste a vivere così e piange gettato eternamente in un letto, regredendo all'età infantile, quando il primo schiaffo senza ragione, a torto ricevette.

Quella creatura piange e tende le braccia ai visitatori che ombre soltanto le sembrano, gridando:"Stringimil stringimi, cullami, cullami. Cullami un poco."

Nessuna mamma può cullare il figlio che bambino non è più.

Viviamo sotto il sole.

Abbeveriamoci di sole!

Basta pensare se è bene o male. E' tutta una convenzione. Gli antichi concili pattuirono soltanto il compromesso tra bene e male. Si fecero per conciliare.

Pensiamo a chi soffre lontano dal sole. Cerca il sole se lo vuoi. Pensa alla pancia e sorridi. Ridi a gola spiegata. E canta l'eterna canzone dei gatti, non vanno sui tetti a cercare la luna! A.- Preferisco cose di volta in volta, da possedere e da non ricordare.‑

-             Si sono integrati gli sposini.- ,

-          Presto diventeranno produttivi-

 

A.- Sì, cin-cin, carissime. Andate, andate! Abbiamo fretta di stare un poco soli.-

(Spingendole verso la porta). Sì, cin-cin, ma un'altra volta.

Basta  foto. Vogliamo stare soli.

In.-  Gli preparerò la mia prima pastasciutta di mezzanotte. A mezzanotte saremo re affamati noi.-

- Strano costume! Voi non mangiate alla sera, all'ora solita?-

 

In.- Presto sarà mezzanotte. L'ora è incantata. Uscite per favore.

E’ l'ora delle incantatrici.-

A.- Loro sono fuori. Sei stanca tesoro?‑

In.- Oh sì, si, ti vedo ragionevole già.-

A.- Loro sono fuori. La rispettabilità è salva.-

In. – Che vuoi dire?-

A.- Niente, solo che me ne vado in balcone.-

In.- A piantare gerani e petunie. Voglio avere un balcone meraviglioso a primavera!- A.- Quante cose vuoi!-

In.- Oh sì‑

A.- Oh no, sai che ti dirò sempre di no. Te lo urlerò nel cuore, ogni momento della mia vita.- Dodò, Dedé, Fuffì...

Pelliccia, gioiello, questo o quello, crociera o viaggetto culturale.

Non vivere tra il prossimo, ma comandare al prossimo, perché si ha rispettabilità.

Fare politica per moda, consiglio di classe per moda, catechismo o handicappato per moda. Basta cianciare e miagolare.

Di quelli che parlano chi è preparato davvero, chi critico davvero, chi si interessa davvero?

Basta solo miagolare, te l'ho detto.

Miao, miao!‑

 

(Entra il fotografo seguito da un gruppo di invitate).

- Eccomi qui. Sono pronto per la foto.-

Invitate : -Oh che bella coppia!

Era scontato che finisse così. Con un bel matrimonio.‑

Si amano tanto.-

Lui è un po' birichino, ma lei la testa a partito gli farà mettere.

La moglie è madre del marito.-

-  Hai detto? Amante del marito?-

-Madre, madre. In ogni donna c'è una madre. La moglie tiene sulla retta

via.-

- Che bella festal‑

In. - (Tirandosi a fianco Achille): Sorridi, caro, o ti do uno schiaffo. Sorridi al flash. I ricordi devono essere sorridenti.-

 I ricordi sono quelli che nessuno ti può portare via In.- Ma la tua vita, la passerai qui con me, chiuso in balcone.-

 

A.- In balcone. A respirare aria. Aria. Posso andare, ora? Per favore? Non resisto più.-

In.- Vedi mi chiedi per favore e posso. Sei in ginocchio.-

A.- Vado a sognare là fuori.-

In.- 0h sì, sì. Fai pure. I sogni non cambiano niente.-

 

A.- Oh no, no. Vivrò in balcone pensando a Ifi. Il vento mi porterà il suo sorriso.

Nei fiori la  ritroverò.

Ogni giorno la vita, quella con te, mi schiaccerà, ma ogni sera sognerò per lei. Vivrò con lei.-

In.-(Che ragazzone) Vedete bene la sua onestà:sposa me e sogna un'altra. Però l'ultima parola è sempre la mia.-

Il coro delle donne:

          Abbeveriamoci di sole.

      Di luce. Nelle fronde e nell'erba.

      Suoni tesi e cavi cembali intorno.

Suoni e cantorrauchi-corni, flauto-forato. Furore. Rock.

          Suoni eccitati. Ritmo. Jazz.

L’erba gemmata di fresca rugiada c'invita. Gli agnelli sazi giocano e cozzano dolcemente fra loro. Sembrano lontani sulla verde collina, mentre il rivo scorre e il fruscia sulle spodde."

Il sole grande lassù, palla di fuoco, brucia e s'avvicina.

Siepi ardono, messi s'incendiano e cavalli scatenati rovesciano Fetonte nel

rivo.

Noi sorelle vediamo i suoi occhi che si riempiono di sangue, man mano che fissa il cielo.

Voleva guidare il sole. Era troppo giovane e inesperto.

Male fece suo padre a dargli i cavalli scatenati che scuotono la pianura con impetuoso  galoppo.

Tutto appare così confuso, non abbiamo più certezze.

Voleva guidare il sole.

Come fa il sole che è tanto piccolo a circondare di luce tutti i mari e le terre e il cielo?

Il sole non si può guidare. E' troppo grande. Come fa il suo caldo alito, carezza di primavera, a diventare fuoco che brucia negli occhi di Fetonte immemore. Apre piaghe nelle pupille dilatate e le copre di sangue e vi versa il buio.

Nostro fratello, voleva guidare il sole. Noi sorelle piangiamo nel fossato, divenute canne, e le nostre chiome si scapigliano al vento disperate.

Vedi le pietre venir sopraffatte dal tempo, alte le torri crollare,  sgretolarsi le rocce? Non vedi i templi e le statue degli dei sfasciarsi?

Ogni cosa invecchia.

Rocce si staccano dalle alte montagne. Cadono nel fossato sotto la violenza dura del tempo. Breve è il tempo.

(In questa pagina e nella successiva cenni da Lucrezio e da Teocrito)

Noi sorelle piangiamo nel fossato, divenute canne e le nostre chiome si scapigliano al vento, disperate.

E’ a terra la cattedrale di nostro padre sconsiderato. Ebbe troppa fiducia.  Pietra grigia e pietra nera.

Le nostre lacrime fanno nascere l'erba nuova li in mezzo. Tenerissima.

L’alloro di fianco al fossato ha pallide foglie nuove. Come bambine convalescenti.

Pietra grigia e pietra nera. L'erba nasce lì in mezzo per le lacrime di noi, noi  non riusciamo a scordare gli occhi insanguinati di Fetonte.

Era buio nelle pupille di nostro fratello ma noi abbiamo visto che ci chiedeva aiuto.

Il sole,raccolta l'eterna lampada del mondo, riportò i cavalli sbandati e li attaccò ancora tremanti al carro dei brevi giorni.

Ora viene la notte buia, lampade appese, incoronate di bagliori guizzanti, torce sinuose, che spandono densa caligine, s'affrettano con la fiamma che arde a ridare nuova luce.

    Pensa alla tua statica luce elettrica, prova a guardarla con occhi bagnati

   di Iacrime o densi di sangue e capirai.

Ardano i fuochi a rischiarare la notte. Sono segno di progresso. Oggi sembra abbiano paura. Le strade tremano spaventate da un mazzo di luci.

Non siano fuochi di bivacchi di fronte ad una città assediata.

Raccogliamo le lampade riflesso del sole.

Luce brilla nelle nostre lacrime.

Silenzio.


 

Soldati, spegnete i fuochi. La terra vuole riposare.

Ha bruciato con Fetonte, ha pianto per lui, ha sudato di lavoro, giorno per giorno. Siamo stanche stasera. Vogliamo chiudere gli occhi in pace.

Vogliamo asciugare le nostre lacrime. Per un attimo riposare anche noi.

Quieta è la notte e senza vento. Lasciateci riposare.

In.- E' mezzanotte. E' l'ora delle incantatrici.

Sul mare tacciono i venti, ma non tace dentro di me il dolore. Sono sua sposa ed egli non sa che cosa è una sposa.

Mescolo filtri nel mio crogiolo.

Lingue di rana. Lontano gracida una rana tra i fitti spini dei pruni.

Nidi di allodole e di cardellini. La tortora geme lontana. Ali di scarabeo. Le bionde api volano intorno alle fonti. Code piumose di gatto. Le cicale non si stancano di cantare, bruciate dal sole.

Sterco di rondine. E' brutto, lo so, ma serve a schiarire i capelli.

Una lisciva di cenere di bosso, prendo paglia d'orzo e faccio bollire per un giorno. Una seconda lisciva con quest'acqua e questa cenere.

Fiore di noce galleggia sull'acqua scura e qualche foglia d'albero. a la notte l'intruglio dorme e borbotta.

Domani mi lavo la testa e i miei capelli risplendono d’oro.

Cani abbaiano lontani. Lacrime, dolore, luci di speranza. Imparerai, crescerai.

Non ho voglia di confidarmi alla luna.

Sono figlia del mio tempo e non mi piace sognare.

Orione sta per lasciare il cielo. Presto sarà di nuovo l'alba.

Aveva due stelle per spalle e tre alla cintura e la spada brillava…di fiamma. Il suo cane lo seguiva per le vie del cielo.

Orione se ne è andato, è tramontato già stanotte.

A.-Chi sei?... Chi?... Chi c'è nella stanza?-

In - Furono più saggi gli antichi di noi.

L’amore rende sciocchi e strampalati. E la più pazzesca scempiaggine che si possa è quella di andare a cacciarsi sotto la tenda dell'Amore.

Va via, Amore, facciamo divorzio.

Non costringermi a preparare filtri. Maga ben abile sono, lo sai.

Questo ti dico: se una stella raggiungerai, forse la rivoluzione avrai fatto davvero per tutti. Se una stella raggiungerai, tu certamente saprai guarire la fame del mondo e quella dell'anima. La gente non piangerà nella polvere, non soffrirà nei ghetti. Mai più.

Se tu guardi soltanto le stelle per sognare, ricorda che quella stella che attraversa il cielo, quando cade a terra è pietra nera, pietra grigia e pietra nera.

Alza gli occhi dai tuoi maledetti gerani, guarda un poco in casa nostra.

Le stelle sono belle, ma son di fuoco. Sembrano solo eterne all'uomo che vive tanto poco. A.- Da quando Ifi se ne è andata, ho camminato e camminato, la testa china fino piedi. No posso cancellare quello che sento, quello che porto dentro, di lei.-

In.- Non hai capito che tu sei stato solo l'illusione di Ifigenia e di un vecchio re che rimpiangeva i sogni di giovinezza. Non ci fu nascita né principio della terra e del cielo e sempre esistettero

eterni, perché di là della guerra Tebana e dello sterminio di Troia, altri poeti non cantarono anche altre vicende? Dove mai tante volte disparvero tante imprese eroi?

   Perché in nessuno luogo fioriscono affidate all'eterno ricordo della fama?    Muoiono anche i poeti. Non dimenticarlo. Ifigenia, anche lei, è tua illusione. Forse è nata dal tuo cervello con il mal di testa.-

A.- Non ti voglio ascoltare. Presto i gerani cresceranno rigogliosi.-

In.- Non lasciare che crescano fra me e te, come un bosco che ci impedirà di fissarci negli occhi.

Guarda! Da dietro senza far rumore, il bosco si è

avvicinato e gli alberi han formato un

cerchio fosco.

Il catenaccio scorre nei passanti..."

I chiavistelli non risuonano scatenati. Presto sarà sera.

  Noi senza sognare, guardiamoci negli occhi.

Mi spiego, te lo grido. Ribelle anch'io sempre! Io non sogno, però…, pensa quel che vuoi, prendi come vuoi. Non me ne importa niente.-

Coro delle donne lontano:

-Da dietro senza far rumore, il bosco s'è avvicinato. Fuori c'è il furgone dei traslochi, nero.

Il demone della fretta ci incalza.-

In. - Cerca, cerca la mia verità e non solo la mia. Cerca di capire.-

A. - Capire che cosa?-

In.- Tutto! Non accontentiamoci di filtri, né di ridurre il mondo a pietre, come volevi far tu con la tua ribellione inutile. L'erba nuova non nasca dalle nostre lacrime disperate.

Amore, lo sappiamo entrambi, è solo una fanfara.

Anche io fossi incantatrice, un giorno Paride mi direbbe certamente "cagna", Menelao mi rivorrebbe sempre e solo per decoro.

Guardiamoci bene negli occhi, per sapere quello che voglio io, davvero, e quello vuoi tu, davvero.

... che non sia sogno, parola senza senso. Divenga realtà.

Una piccola realtà, una povera realtà, una modesta realtà, fatta da noi. La parola diventi un : “Apriti Sesamo!” e germogli cosa fatta.-

Coro lontano:-"Il fuoco liquefà il bronzo e stempera l'oro, ma il cuoio e la carne  li restringe e contrae. L'umore dell'acqua indurisce il ferro tolto dalla fiamma, ma ammollisce il cuoio e la carne indurita al calore."

Molte son le vie per fare una realtà e spesso passano attraverso i contrari. L’olivo selvaggio piace alle caprette, ma nulla è più amaro all'uomo di questa fronda."

Al mondo c'è posto per tutti e dobbiamo viverci insieme.

Piccola cosa è l'amore di un uomo e una donna. Un gradino soltanto. Infinito è l'universo, ma pur sempre insieme dobbiamo camminare nello spazio. Forse al di là dei bisticci e delle contese vuoi dir questo?-

In.- Ti sembravo smaniosa di cose da possedere. Ora ascolta quel che ti dico: una povera veste copre i corpi nudi tanto bene come una veste di porpora e d'oro. Porpora e corona non danno serenità felicità. Perché invidiarle o desiderarle? Di più... l'uguaglianza e la giustizia non passano attraverso la distruzione di porpora e corona.

E’ facile anche essere disincantati. Troverai sempre chi lo è più di te, sempre   po' di più.-

Coro lontano:

 Ed ecco che, pieni di fretta e allarme, vengono donne con gli occhiali scuri/ chirurghi gobbi/ l’uomo dalle forbici.


In- Cerca, cerca, non ti fermare. I fiori in balcone non farli diventare una foresta tra me e te. Cresciamo insieme,ti prego.

Se io non ci fossi più, quanto poco di me avresti saputo.-

A.- Chi c'è di là?... Chi? ... Chi nella stanza?-

Coro di donne, tornando sulla scena:

Ti ha lasciato l'ultima parola.

Spenti i bivacchi dell'assedio, noi aspetteremo ancora.

Cucineremo pane fragrante per voi, nell'attesa.

Quando sarà l'alba portateci latte per addolcire il pane.

mangeremo tranquillamente insieme.

Parleremo con parole-vere, parole-cose. “Luna di bronzo cala già nel livido cielo.

Presto sarà l'alba.

Di nuovo l'allodola canterà verso il sole.

Il falco in alto, ad ali tese, ruoterà grandi cerchi nell'azzurro”.-

 

 

                  

 

 

 

 

                 BAMBOLA DI STRACCI (1976)

 

Inserisco ora il primo testo teatrale che scrissi ed inviai al Premio Eleonora Duse ad Asolo.

 

Tardavano a comunicare i vincitori e impaziente telefonai: dalla segreteria mi risposero che la discussione ferveva dato che il mio testo era piaciuto molto a Diego Fabbri. Ne avevo letto Barabba  e Processo a Gesù. Lo consideravo un cattolico scomodo, convinto ma che pone domande insidiose che esigono risposta.

Sono grata a quel segretario (di cui ignoro il nome) per ciò che mi disse.Qualche giorno dopo però uscirono i nomi dei vincitori ed io non c’ero.
Però che Diego Fabbri (senza mai conoscerci)  abbia  creduto in ciò che scrivevo mi rende ancora  orgogliosa.

 

 

 

         ATTO I

                                La scena

 

La scena in questo atto deve essere caratterizzata: una casa dei nostri

tempi, una casa giovane, per due sposi giovani, con una vetrata attraverso cui si possano vedere luci, vedere passanti, arguire un mondo esterno.

Devono esserci oggetti precisi, accurati, in questa casa, perché gli sposi giovani non hanno posseduto generalmente nulla di personale e cercano di esprimersi anche attraverso le prime cose che scelgono.

Si deve vedere un "teatro" anche di oggetti, un teatro di oggetti novecento. Nel secondo atto invece c'è il teatro dell'anima, quello che non ha bisogno di circoscrizioni, che è il nulla intorno alle persone: teatro di spazi, teatro di tragedia greca.


                                         SCENA I

 

Presenti la giovane sposa Marta, la domestica ad ore Teresa, l’idraulico che sta aggiustando il rubinetto sotto il lavandino e che, esaurite le prime battute esce subito di scena)

M.- Teresa come si fa a tritare l’aglio? Mi scappa sotto la mezzaluna.

T.- Ma ci si dà una pestatine sopra è così che si fa.

E’ che queste sposine moderne non sanno proprio niente, (ammiccando all’idarulico) io e la signora siamocome due sorelle. Le devo insegnare tutto.

   (Entra il marito di Marta)

Mi guardi, mi guardi, ingegnere come sono bella questa mattina! Questa maglietta l’ho comprata alle bancarelle, prima di venire qui. Mi sono decisa in quattro e quattrotto. E mi sta veramente bene. Mi piaccionii colori, i colori mi donano.

M.- E’ vero ,Teresa, è molto vivace, le sta proprio bene.

Ing. – Un giorno o l’altro scappiamo insieme se mi gira per casa così provocante. Allegria e pranzetti buoni. L’idea mi attira.

M.- Vengo, vengo aggiusto la fiamma e metto il coperchio.

Ing.- Tanto prima della cottura a puntino è scontato che lo bruci.

Teresa, sorvegli mia moglie che non dia un pizzicotto a Sergio. E’ successo proprio così. C’era scritto sul giornale. Una sposina, passando davanti al lavandino ha visto l’idarulico che sporgeva con il sedre ed ha creduto che fosse il marito, così gli ha allungato un pizzicotto. Quello per la sorpresa ha sbattuto la testa contro il lavabo ed è finito all’ospedale. Con i tempi che corrono, la libertà di costumi, non si sa mai. La sorvegli.

M.- Ma dai, smettila con queste storielle da quattro soldi. Sono da popoli sottosviluppati. Qui, ormai si sono raffinati tutti. Il pizzicottto non è più lo sport nazionale. Ci vuole troppa allegria così alla mano. Troppa semplicità. Ti assicuro che non usa più neanche sugli autobus. Ormai siamo tutti dei cerebrali.

Ing.- Non sarà che stai già invecchiando e che nessuno ti pizzica più?=

T.- L’ingegnere è di una simpatia unica.

Ing.- Solo mia moglie mi trova noioso. Lei ha Omero, capisce Teresa?  Lei e Omero sono così: (alzando indice e medio insieme).

T. - E Lei permette?

Ing. - Bisogna essere moderni.

T. - Omero...

M. - Scherza, è un lihro.

Ing. - Vieni, noiosona, non sai nemmeno tenere un po' di suspense. Vieni a vedere se troviamo l'enciclopedia tecnica in biblioteca.

M. - Teresa, ci aiuta anche lei? E' un libro rilegato in blu.

T. - Ah, ingegnere, giri, giri il mondo ne troverà di meglio di sua moglie! Con la testa sempre nei libri!

Ing. - Sarà, noiosona, ma non ci provo nessun gusto a girare il mondo. Girare il mondo come lo faccio lo, per lavoro ... Sono strade deserte percorse a sera da passanti frettolosi che rincasano nelle loro cucce, è gente che si va a divertire mentre io sono impregnato del sudore della giornata, della polvere delle macchine, che ho controllato alla ricerca del guasto. Alla sera…questa sporcizia, il pensiero dell'ingranaggio che non funziona e che devo trovare mi pesano addosso come macigni. Non ho nemmeno fame. Girare il mondo è grasso rancido di panini di prosciutto, divorati in fretta, a morsi rabbiosi, al bancone di un bar, con la tazzina di caffé nell'altra mano. Sempre di corsa. Con davanti agli occhi l'orario del treno e dell'aereo da riprendere appena possibile per tornare a casa, finalmente.

T. - Possibile, ingegnere, non ce la racconti. E poi sua moglie non è un affare, non sa nemmeno schiacciare l'aglio, ha la testa sempre nei libri, ne troverà di meglio in giro.

Ing. - (Sogguardando la moglie ironico). Ha proprio ragione è un pacchetto d'ossa, che sua madre dice di una finezza sopraffina, rilegata con nastro d'argento ed

etichetta di classe. Manco buona da far brodo, però gli aeroporti e le stazioni sono così squallidi che fanno passare la voglia di avventure, se no, mi getterei a pesce.

M. - (Un po' acida) Teresa, non abbiamo più bisogno.

T- Vado in cucina a scopare. In questa casa non si finisce mai, non si fa a tempo a fare niente. Incomincio un lavoro e mi disturbano. E poi mancano gli orologi in questa casa.

T. - Quello è un orologio? A me piacciono quei bei cipolloni dove si leggono le ore belle grosse. Altro che queste diavolerie moderne! Io voglio sapermi regola re sull'ora, perché se no, qui mi si fregano i minutt e non mi si paga il dovuto. Mi si paga di meno. Lo so come fate voi capitalisti!

M. - (Conciliante). D'acordo, d'accordo, Teresa, le compreremo il cipollone. T. - Sarà sempre troppo tardi. Mi avrete già imbrogliato. Bene, vado a scopare.

M. - (Rivolta al marito, non appena Teresa si è allontanata). Io non pretendo che tu mi difenda. Non ho sposato un paladino. Però avAti potuto essere un po' più gentile; quando ti ha detto di girare il mondo che ne troverai di meglio di tua moglie...

Ing. - Ah, lo sapevo. Qui ti volevo. Avrei dovuto dire: Mia moglie è perfetta, io non ho sposato una moglie, ho sposato Cristo in terra! Mia moglie è meravigliosa, ce le ha tutte, le doti. E' come il pozzo di S. Patrizio!

Ma lasciala dire, non te la prenderai per cosi poco!

M. - Io no, proprio no. Solo vorrei sapere perché Teresa ha detto così. Ad esempio la camicetta... Se fosse stata una giovane Teresa, se fosse giovane potrei dubitare che tu le dia corda.

Ing. - E smettila, sai, sei proprio stupdda certe volte.

M. - Quando si entra nel tema della mia stupidità meglio far marcia indietro. Da quando ti ho sposato è una certezza. Il tuo amico mi ha detto che ti ho sposato perché ho l'abitudine di far di sì con la testa. Passava di lì un prete e ci siamo ritrovati sposati.

 

Ing. - Canaglia, il migliore amico.

M. - (Civettando) E smettila sai, sei proprio stupido, sai, certe volte. (Scherzano, poi Marta accompagna alla porta Teresa che ha finito le sue faccende.)

M. - Teresa, ha bisogno di qualcosa?

T. - (Scontrosa) No, non ho bisogno di niente. M. - Questa mattina non era dell'umore solito. T. - Non ho bisogno di niente.

M. - Grazie per l'aglio, Teresa, c'è sempre da imparare. Anch'io ho qualcosa da

in segnarle, una cosa buona che si fa alla svelta. Prende un po' di mascarpone, Teresa, un po' di prosciutto, lo taglia a pezzettini e fa un sughetto che è una

squisitezza. Lo verga sulla pastasciutta ben calda... Un piatto al bacio. Lei si lamenta sempre che non ha testa per far da mangiare, che tutti i giorni deve pensare sempre alla stessa cosa, perché suo marito e suo figlio non fanno che mangiare, che è stufa… Invece in quattro e quattrotto è pronto. Vedrà come piacerà a suo marito e a suo figlio!

T.- Signora, ma per chi mi ha preso Lei? Per una capitalista? E dove lo piglio il mascarpone e il prosciutto, costa, sa? Come fa a fare certi discorsi?

M.- (Mortificata) E’ vero, Teresa, non ci avevo pensato. Anche noi non usiao tanto spesso prosciutto e mascarpone e poi noi siamo solo in due e allora, magari, si fa meno fatica ad arrivare a far bastare i soldi.

T.- Eh sì, è facile volersi bene quando non si hanno problemi. Se avesse passato quello che ho passato io… Ho avuto mio marito in sanatorio ed ho dovuto tirare avanti da sola con un figlio piccolo.

M.- Non lo metto in dubbio, le cose bisogna passarle se no come si fa a metersi nei panni degli altri? E’ un’altra pele.

Non ci pensi, per oggi non pensiamo. Ci vediamo lunedì?

T.- Va bè, se ne avrò voglia. Se mi vede, arrivo, se no, mi aspetti.

M.- Perché fa così?

T.- Io non ci ho testa. Ha capito? Faccio i cavoli miei, perché questa è l’unica maniera di essere liberi. Fare i propri comodi.

M.- Ma non è educato, non è resposabile! Lei fa un lavoro. Deve venire in orario e se io ho da andare da un’altra parte? E se ho un appuntamento?

T.- Un appuntamento? E quell’uomo di là, l’ingegnere…

M.- Ma cosa ha capito? Un appuntamento con il professore all’Università. Anch’io devo lavorare.

T.- E bé, s’arrangi. Se mi vede, mi vede, gliel’ho detto e se non mi vede, mi aspetti.

M. –Ma io posso stare in pensiero, credendo che Lei sia ammalata, che abbia bisogno.

T.- Non si preoccupi per me, non ho bisogno io. Arrivederci!

M. Va bene, arivederci! (rivolta al marito che sta riponendo i libri consultati). Lo sai che è difficile trattare con le donne di servizio. Non credo che ne farò venire mai più in casa nostra. Passata Teresa, guarda, in questa casa non ne mette più piede una.

Ing. I soliti discorsi! Li ho sempre sentiti fare. E quando c’è bisogno, corri di qui e corri di là e ringraziare il cielo di avere un aiuto e di poterselo permettere.

M.- Hai anche ragione, ma la tranquillità… Non ho voglia di fare tutti questi discorsi, Preferisco essere tranquilla, per conto mio. E’ così banale, così soffocante.

Ing.- Non ti precoccupare, mettiti il cappotto e andiamo fuori che oggi è la vigilia di Natale. Domani è Natale.

Questa sera finestre illumiate, negozi ricolmi, alberi decorati, luci, colori. A me piace andare per la città, per le strada la vigilia di Natale.

M.- Piace anche a me. Le vedi quelle ragazze allegre con i sorrisi stanpati a festa tra i neri capelli tirati a lucido e i tacchi che battono sul selciato? Vanno allegre e festose a coprare l’ultimo regalo, ad aspettare l’ultimo regalo. Tutti comprano.

Ing.- Mania consumistica.

M. – A Natale se uno non può comprare niente, se uno non può regalare niente si sente escluso. E’ come una gran festa a cui uno non partecipa. A che serve essere vivi fra gli altri se non si può partecipare alla festa degli altri? Eppure per me comprare è solo una fatica in più, mi fanno quasi invidia.

Ing.- La mia noiosona, vecchietta centenaria e saggia. Intanto questo Natale noi non è che abbiamo molti soldi per fare i regali. Con quello che abbiamo già speso per parenti e amici restano pochi spiccioli.Se ne è andata tutta la tredicesima. Ma i regali sono di là ben impilati e luccicanti. Domani li distribuiremo.

M.- La tredicesima serve solo a questo per fare i regali, credo.

Ing. -E’ rimasto così poco che non so cosa potrò regalarti, oggi.

(Incomincia un monologo-riflessione di Marta sul Natale, assecondato solo brevemente dal marito, Nel terzo atto c’è una parte in parallelo con questa, in cui il Natale è motivo ricorrente. In essa però il dialogo scivolerà tra marito e moglie, rimbalzando dall’uno all’altra. L’intesa infatti in questa prima parte deve essere messa in risalto da una recitazione affettuosa ma epidermica, basata sulla gioia di due sposi di essere fisicamente vicini, spensieratamente giovani, mentre i loro discorsi rimangono distinti, superficiali. Nel terzo atto la maturità, la consuetudine dovrebbero portare (e questo è stato il mio intento) un’unione a livello di linguaggio. Marito e moglie si fonderanno anche nelle parole, due bocche per un discorso solo).

M.- Zitto, l’hai già detto e non me ne importa niente. Mi basta uscire così, mano nella mano. A vedere la festa degli altri atraverso i vetri illuminati. Anche noi siamo in allegria, partecipiamo. Poi questa sera torneremo a casa.

In salotto ho nascosto un alberello, tutto addobbato a festa. E’ chiuso di là, per non farlo vedere a Teresa. Avrebbe detto che è uno spreco, che l’albero non si prepara. Teresa è comunista, le cose le fa seriamente. Non le andrebbe di vedere queste sciocchezze consumistiche, ma io senza l’albero di Natale non posso starci.

Ing.- Perché invece non l’hai chiamata ad aiutarti? Avrebbe apprezzato una cosa che forse non ha avuto mai.

M.- Mi sarebbe spiaciuto se non avesse capito, se avesse criticato.Mi sembra di tornare bambina con l’albero. Mi piace sentirne il profumo e che sia solo nostro. Mano nella mano, con i gingilli luccicanti e le luci accese che si riflettono nei nostri occhi. Finché non avremo figli nostri saremo ancora un po’ bambini. Ci sono delle persone che rimangono bambine fino a tanti, tanti anni. Un giorno cresceremo, avremo bambini piccoli di cui prenderci cura e ci sarà l’albero per loro, sempre. In questa casa ci sarà sempre musica e luce e fiori e colori.

Ing.- Non si può vivere solo di questo. Anzi per queste cose che tu sogni, bisogna guadagnare di più. Ci iscriveremo a qualche circolo tra persone importanti e diventeremo importanti anche noi.

M.- Niente persone e niente circolo. Io e te soli, questa è la nostra vita. Fiori aria luce sono gratis. Che ce ne importa degli altri? Girare per le strade, essere in festa tra la gente, ma poi chiudiamo questa porta per restare soli, noi due. Tu sei già così lontano, sempre, per il tuo lavoro che se restassi fuori anche alla sera o se ti dovessi accompagnare tra gente estranea… Ci perderemmo. La sera ti voglio qui con i nostri bambini, quando ci saranno, a raccontare loro le favole, ad esercitarli, a costruire giorno per giorno nelle loro menti come in un grandissimo puzzle. Cosa andremmo a fare noi tra le altre persone, a parlare con discorsi idioti? Le teorie sono tutte belle, le ideologie sono tutte affascinanti, ma a che ci servono nella vita pratica? C’insegnano forse a schiacciare l’aglio, a tritarlo sotto la mezzaluna? Vale più un po’ di pratica, un po’ di buon senso alla Teresa.

                                   

 

                                         SCENA II

                     (Marta è seduta in una poltrona)

T.- Signora, quelle mutande bianche, le ultime che le ha regalato sua mamma, le ha già indossate?

M.- Ma Tresa, cosa le importa delle mie mutande.

T.- Non le trovo mai da mettere in lavatrice. Non sono mai nella biancheria sporca. Non le mette quelle mutande?

M.- (Irritata) Non è una novità che me le sono sempre lavate io. Almeno la biancheria intima, mi sembra una questione di educazione.

Teresa, è già la terza volta, in questi giorni che moi chiede delle mutande, perché?

(Rivolgendosi a sua madre, mentre Teresa esce brontolando dalla porta).

Sono precossupata, è già la terza volta che mi fa questa domanda. Non ti sembra che si sia presa troppa confidenza. Capisco che bisogna aver pazienza, che in fondo non è cattiva, che poi i lavori li fa anche bene e che io ho bisogno di lei, perché mi posso muover poco a causa del bambino che apsetto e del fatto che non sto niente bene e che dovrei stare a riposo assoluto. Ma questa mania di chiedere sempre queste cose intime, mamma, proprio non ce la faccio più, mi preoccupa quella donna, mi sembra morbosa. Perché ridi?

Mamma – Vuoi che te la racconti la storia?

M.- Quale storia? Io sono irritata non trovo niente di ridicolo, sono quasi scandalizzata.

Mamma – Prometti di non arrabbiarti?

Le tue mutande, Teresa, le ha portate a benedire.

M.- A benedire? Da chi? Dove?

Mamma – Sai qualche mese fa sembrava che tu dovessi perdere il bambino, ci siamo preoccupati tutti e Teresa, è anche affezionata, tu lo sai bene, ha pensato che tu lo potessi perdere perché hai il malocchio, capisci? Sei una sposina giovane, carina, hai tutto e la gente c’è che t’invidia e allora ha pensato che se succedeva che tu perdessi il bambino senz’altro era colpa del malocchio. Perché avresti dovuto perderlo? Non si sono mai sentite queste cose. I bambini non si perdono. Devi pensare che sua sorella ha partorito il figlio sul greto del fiume, mentre andava a raccoglie legna e che sua madre Teresa l’ha fatta nascere ai piedi di un vigneto, durante la vendemmia. Insomma ci sono degli esempi in quella famiglia…Allora ha preso le tue mutande e le ha portate a benedire.

M.- Adesso vi mettete anche con le fattucchiere?

Mamma- Dai frati, frati non…

M.- Ma siete impazziti tutti? E le mutande come gliele ha portate, impacchettate oppure a vela spiegata? A questo punto mi preoccupo ancora di più: che adesso anche i frati sappiano che mutande indosso. Meno male che ha preso quelle castigate, se avesse preso quelle con i pizzi e trasparenti…Magari si rifiutavano anche di benedirle. Per fortuna che ha portato quelle che mi hai comprato tu, quelle che sono quattro volte la mia misura. Anzi sai cosa faccio? Le tengo fino a quando finisco  di aspettare, ma sono convinta che anche alla fine, anche se aspettassi tre gemelli, sarebbero troppo grandi per me. Poi le regalo. Teresa si è già prenotata, ha detto che sono giusto della sua misura, che le mutande che porto io sono mutande da bambola, che non sa come faccio ad entrarci e che sono ridicole. Quelle invece saranno sempre dei mutandoni, troppo grandi per me, come anche il reggiseno che mi hai comprato tu. E’ ora che tu la smetta di farmi questi regali, sono abbastanza cresciuta per comprarmi almeno gli indumenti intimi, non credi? Almeno saranno della mia misura. Capisco che tutto va bene, perché non ho ancora bisogno di sostenere o di comprimere, ma, perbacco, almeno sentirmi a mio agio. Quelle mutande lì, le perderò per strada.

Mamma – Non pensare a queste stupidaggini. Pensa che c’è della gente che ti vuol bene. Cosa t’importa del resto? Ormai sei quasi una mamma, la tua bellezza non conta più niente. Conta il bambino. Hai mangiato la minestrina, mangi verdura?

M.- Detesto la minestrina.

Mamma – E la mela grattugiata l’hai presa? Devi mangiare frutta e verdura se vuoi che tuo figlio nasca bene.

M.- Non  vedo l’ora di finire di aspettare, perché poi non mangerò più né frutta né verdura. Un toast, tutti i giorni un toast, per colazione, a pranzo, a cena. Un toast, un toast, un toast che si fa in fretta, non si cucina. Il mio sogno, con una coca-cola e basta.

Mangiare di nuovo un giorno qualcosa di decente perché ho le nausee da sei mesi… Ieri fino a mezzanotte abbiamo passeggiato sul terrazzo mano nella mano. Faceva un freddo. Appena tornavo a letto mi veniva il mal di mare. Che nausea spaventosa!

Mamma – Pensa che presto nascerà tuo figlio  e vedrai che questi non sono stati sacrifici, ne vale bene la pena.

M.- Sarà. Spero sia come dici tu perché comincio a disilludermi prima ancora che sia nato.

                    (La scena si oscura)

Un altoparlante amplifica il canto natalizio. E' nato, è nato alleluia, alleluia...

 

Un'altra voce risponde: Vanno allegre le ragazze

con sorrisi stampati a festa tra lucidi-neri capelli. Vanno allegre

bocche rosse, occhi sfavillanti

per mano piccoli bimbi tutti in festa.

Guarda l'elegantone

con la pelliccia nuova, guarda vesti sgargianti... I tacchi battono alti

sul selciato grigio. Nebbia nell'aria,

odore di ceppi accesi. E' festa, è festa:

Natale umido

in un paesino d'Emilial malinconia d'austerity:

Vorresti che fosse diverso questo Natale d'Emilia

che non. ti lasciasse solo voglia di piangere un poco, ancora un poco.

 

 

E' nato, è nato....

 

Si sente anche la vooe di Marta: Non sarò più giovane, mai più.

 

(Torna: la luce.)


SCENA III

(Marta sta seduta in una poltrona, di fianco c'è un tavolino apparecchiato. E' in attesa dell'arrivo di un'amica che viene a congratularsi. Anzi la prima ad arrivare è la suocera (=S)

S - Ciao cara. Sei stanca? No, hai una buona cera. Non ti pare che il bambino

pianga?

M. - No, mamma, non si sente assolutamente, non mi pare che pianga.

 S. - Ti sei comprata qualche vestito nuovo?

M. - Non ho fatto a tempo, non ho comprato niente.

S. - Male! Si tratta di un po' di rispetto per tuo marito, di decoro.

M. - Non mi sento di pensarci di nuovo, ai vestiti, in questo momento. Mi sembra frivolo.

S. - Sei un po' aumentata di peso e non sta neanche bene che una signora vada in giro con i vestiti che tirano da tutte le parti. Poi ci sono quegli operai che lavorano là fuori. Magari, così tutta attillata li distrai.

M. - Oh, non sono neanche tanto in forma per distrali, cosa ti credi?  Sono uscita tre volte sul terrazzo e nessuno ha fischiato. Ormai ho capito tutto. Sono invecchiata di colpo.

S. - E io sono convinta che il bambino piange. Non ti preoccupi? Io sento il bambino che piange. Di là tutto solo, povero stellin. Si può anche soffocare.

M. - Ti assicuro che l'ho lasciato che dormiva, nella sua culla. Ben fasciato, con il pannolino, con il pancino all'ingiù.

S. - Io sento piangere.:.

M. - Lo vado a prendere, cosi vedrai con i tuoi occhi che dorme, però, se dorme, non prenderlo in braccio. M'han detto che i bambini li si allevano coricati nel lettino. Stanno meglio. Se li tiri su, diventi una schiava, si abituano. Il pediatra ha insistito molto in proposito, ché, se no, vivrò sempre con il bambino in braccio. Quindi per favore non prenderlo su.

(Marta esce un attimo e rientra spingendo una culla a rotelle.Subito la suocera prende il bambino in braccio).

S. - La mamma è una sciocchina. Non ci sa ancora fare. I giovanotti come te si allevano a tenerezza. Vuoi lasciarlo come una larva nella culla, nella carrozzella?

Il bambino deve guardarsi attorno. Più vede, più impara, più crescerà sveglio.

E poi tenerlo nascosto nelle lenzuola... E' un portento. E' bellissimo. E' tutto suo padre!

M. - Sarà tutto suo padre, però io penso che un po' rassomigli anche a me.

S. - Di te non ha proprio niente. E' tutto il padre.

M. - Vedi che manine delicate. Non ti sembra che siano un po' le mie mani? Hai visto però che belle orecchiette. Insomma l'ho fatto anche bene!

S. - Sì, però le orecchie non vorrai dire che sono le tue. Il  tuo lobo non si vede quasi. Invece il bambino ha le orecchie accostate ma con un bel lobo ben disegnato, proprio come il mio e come quello di suo padre. Di te non ha niente... M - Mamma, gli occhi, almeno gli occhi.

S. - Ah gli occhi gli vengono azzurri come a suo padre. Tutti i miei nipoti avranno gli occhi azzurri. Gli occhi azzurri sono i più belli, quelli marrone valgono niente.

M.- I miei non sono marroni. Tuo figlio li definisce nocciola con le pagliuzze , d'oro.

S. - Nocciola forse sì. Di pagliuzze d'oro io non ne ho mai visto. A me sembrano degli occhi spenti.

M- Perché sonostanca. Tuo figlio li chiama i dolci occhi sognanti i miei


S. - Cosa ti dice? Dolci, cosa? E' istupidito, un tempo non ragionava così. Si è rammollito. Che sciocchezze.

M. - Ti ripeto che a te non sembrano tanto belli forse perché ho sonno. Non ti sei mai accorta che erano belli? Tutti mi dicevano ... A suo tempo...

S - Tesoro, quando si incomincia a dire  “ ai miei tempi”" è la fine. Cara la mia figliola comprati tre vestiti nuovi, perché qui va male. Te lo dice tua suocera. Pensaci, finché sei in tempo. I mariti bisogna tenerli con il fascino e mai, mai trascurarsi. Sei proprio un po' patitina... Guarda che occhiaie... Sei stanca. Mai trascurarsi...

M.- Prima mi hai detto che avevo una bella cera.

S. - Non ti avevo visto bene. Non alla luce. Se continui così finirai per dimostrare vent'anni di più. Conservati. Mio figlio è giovane, lui non invecchia. Ha gli occhi azzurri lui. L'occhio chiaro fa giovane.

Adesso vado, devo andare.

M. - Non puoi fermarti ancora un pochino? Lui ormai si è svegliato. Vuole stare in braccio ora.

S. - Adesso se mai lo rimetti in culla e poi se mai lo prendi in braccio tu, perché io devo proprio andare. Lo sai quel proverbio: “Santa Catarena prima se li fa e poi se li nena”.

M. - I proverbi sono la saggezza. Peccato che per me non è molto piacevole. Ti accompagno alla porta.

S. - Hanno suonato, aspetti visite?

M. - Credo che sia Silvia, aveva promesso di venire a trovarmi.

S. - Quella che faceva gli occhi dolci a tuo marito? Io diffiderei, le amiche tienle fuori dalla porta di casa.

M. - Per Silvia non mi preoccupo. E' fatta così. E' sexy di natura, senza malizia, apertamente.

S. - Questa è bella. Mai sentito che esista il sexy sportivo, senza malizia.

Non ragioni troppo bene. E' il dopo-parto e quella tua maledetta cultura libresca. Sono fanfaluche quelle della sensualità aperta del Boccaccio e di quella morbosa di Moravia. Lascia perdere che in realtà, dove c'è il sexy, se fossi in te starei attenta. Lascialo fuori dalla porta il sexy. Quella Silvia non invitarla troppo

M. - Silvia è amica mia, io non mi sono mai tirata indietro di fronte alle amiche.

 S. - Ebbene io ti ho avvertito. Ciao-ciao.

 

SCENA IV

                                  (Esce la suocera ed entra Silvia).

M.- Silvia come sono contenta di rivederti, carissima! Come stai bene, come sei elegante! L'ultima volta che ti ho incontrato avevi i capelli neri, lucidi, pettinati alla gatto. Ora invece che caschetto ramato…Sembri un'altra.

Mio marito invece ha detto che non ho fantasia, che non cambio mai pettinatura. Gli ho risposto ohe le donne come la Marlene Dietrich e come me portano la stessa pettinatura per trent'anni di seguito. Certo che ho detto cosi per tenermi su e a vedere te mi viene soltanto una gran voglia di cambiare, di essere diversa.

Sl. - Non ti sarai fatta capire , spero. Mai arrendersi con gli uomini anche se si ha torto.

M. - Gli uomini... Lui è solo lui ormai. Gli ho detto che è un marito frivolo e un po' cretino e che lui si occupi dei fatti suoi, che io la mia pettinatura me la tengo cosi.

Ma cosa vuoi che me ne importi. Ci sono le pappe del bambino e prima di dargli da mangiare bisogna pulirlo e subito dopo pulirlo di nuovo, perché se si riempie di sopra si svuota di sotto.

Sl. - E tu puliscilo una volta sola, dopo mangiato.

M. - Non è solo questo è che c'è il bagnetto e poi la pappa e poi di nuovo…Non ho più tempo. Non faccio altro che vederlo mangiare e poi mangiare io e poi rincominciamo daccapo. E' già tanto che riesca a dormire di notte... Ho sempre un sonno.

Sl. - Mai trascurarsi.

M. - Per ora mi accontento di guardare te. Mi sembra d'aver perso lo smalto, la vernice. Una volta quando uscivo per strada mi sembrava di essere verniciata a festa, contavo gli sguardi. Se due passanti su tre mi guardavano vuol dire che andavo bene, se no mi rattristavo e mi riempivo di complessi. Adesso la vernice non ce l'ho più. Mi sento in tutta semplicità, come in una vestaglia. E vivo così bene in questa!

Sl. - Caruccia, le vestaglie stancano i mariti, lo sai? Cerca di rinnovarti un po'r pitturati, verniciati. Guarda che belle unghie, è la tinta di moda! Mi sento una tigre. Guarda il mio vestito: ultima-moda, proprio come usa quest'anno. Vedi qui, stretto sul fianco e poi le pieghe che si allargano più in basso. Per portare questa foggia ci vuole l'anca sottile. Ho fatto tre mesi di esercizi a terra.

M. - Non parlarmi di ginnastica,ti prego. Dopo il figlio ho i vestiti che mi tirano e sono troppo stanca per fare ginnastica. Spero di tornare come prima. Lui mi ha detto che ogni chilo che perdo mi regala un vestito.

Sl. - Lui chi?

M. - Lui, mio marito.

Sl. - Sei proprio insolita, fuori moda anche nel pensare.

M. - Io credo che non perderò più i chili. Mi rimpinzano da mane a sera. Sai io devo far latte. Giù torta e birra e baccalà e di nuovo torta. E' un circolo chiuso. Non credevo che sarei diventata una rivendita di latte.

Sl. - Però ti ha fatto bene la maternità. Prima eri proprio piatta. Ti è venuto un seno!

M. - E' poco prima della poppata. Lo sento crescere e mi fa un male. Se sto in piedi non mi vedo più la punta delle scarpe. Un fastidio! E pensare che mio fratello ..

Ti ricordi mio fratello? Mi chiamava “la piallata”, mi diceva che ero piatta davanti e di dietro. Anzi per essere più efficace mi definiva piallata da S. Giuseppe. Un Santo ci mette più impegno. Non era una pialla normale quella sotto cui ero passata.

Ing. - Quali cose succulente? Forse, Silvia, vuole che io e te andiamo a mangiare al ristorante. Lì ci sono le cose succulente.

Hai capito, Silvia,a che punto siamo ridotti? Non posso più guardare una donna che quella mi cava gli occhi. E' gelosa anche delle ombre, di tutto. Se io rovescio una tasca ne salta fuori un'amante. E' allucinante.

M. – Sì, sì, si crea gli alibi, perché poi dirà è stata colpa di mia moglie. Era talmente gelosa, mi ossessionava. Io sono giustificato, posso fare tutto quel lo che voglio..Lei è la colpevole, lei. Cara Silvia,torna quando sarai imbruttita.

Sl. - Non mi aspettavo di sentirti parlare cosi, nemmeno scherzando. Io ho l'aspetto della ruba-mariti e non è piacevole. Le mogli sono così paurose. Gianni mi ha detto che sono come una coppa di champagne e che per questo preferisce aspettare un poco prima di trasformarmi in moglie. Champagne tutti i giorni può ubriacare, meglio quell'innocuo vino da pasto, casalingo.

M. - Oh Silvia, allora aspetta tu. Non sposare un marito così poco coraggioso. Gli uomini qui da noi hanno sempre tante paure, aspettano sempre il consiglio di una madre, di una sorella...

Sl. - O di una moglie. E' il dopo-parto ma questa sera non ti sei comportata bene. Eravamo tanto amiche, le ombre allontanano.

M. - Torna Silvia, ti prego.

Ing. Ti preparerò un pranzetto con i fiocchi, io proprio io.

Sl. - Tornerò ma quando sarete un po' meno “voi due e fuori il mondo”: (Accarezzando il marito) Ho dei programmi su di te.

(Rivolta a Marta) Non diventare la schiava di tuo figlio. E' un bel bambino, ma è tutto suo padre. Non fidarti.

                                SCENA V

In questa scena sono presenti tre bambini, i figli, e per di più devono essere bambini da circo, scatenati, sempre in movimento. Devono saltare alla corda, parlare tutti insieme, fare ginnastica, piroette, capriole. Come piccoli aorobati.

I tre, figli, si chiamano Marina (Mr.), Matteo  (Mt.), Sandro  (Sd).

Mr. -Mamma, mamma m’infili l'ago. Voglio cucire un vestito alla bambola. E vorrei le forbici.

M. - E' pericoloso ti puoi far male.

Mr. - Ma io sono ragionevole.

M. - Lo so ma io ho paura, (Sta avvitando una lampadina).

 Mt.- (Entra saltando alla corda) Mamma, quando torna papà?

M. - Torna, torna stai tranquillo. Sempre troppo tardi, per me. A cosa mi serve aver sposato un ingegnere se poi devo aggiustare tutto io: cambiare le lampadine, aggiustare le prese di corrente e cosi via. Questa casa è piena di fili scoperti.

Sd. - (Sta trafficando gattoni vicino ad una parete, intanto canterella) Se non torna papà, io picchio papà.

M. - (Lo guarda attratta dalla voce, corre a prenderlo gridando spaventata): Lascia stare quella spina! Ti puoi prendere la scossa.

Mt. - Anch'io, anch'io voglio prendere la scossa. Cosi se mi elettrizzo

divento più cattivo. Io sono il diavolo.

Mr. --Cosa dici i diavoli stanno all'inferno.

M. - E' il posto per i conformisti come tuo fratello.

 Mt. - (Urlando offeso) Io non sono un concertista.

M - Cosa hai capito? Impara le parole, prima.

Mt. - Io sono il diavolo perché l'altro giorno ho fatto morire di paura Teresa. Le sono saltato addosso da dietro la tenda, come Tarzan.

M. - Matteo, per favore portami il sacchetto del pane, l'ho lasciato di là sul tavolo. Su, Tarzan, svelto.

Sandro distratto dalla spina si è messo a far capriole.

M. - Sandro, vuoi star fermo un attimo, devo allacciarti la scarpa, fra un momento arriva il dottore. Dovete essere in ordine.

Sd. - Io non sto fermo, salto, salto.

M. - Vuoi uno sculaccione?

Mt. - La zia dice che con gli sculaccioni fai tremare i vetri delle finestre.

M. - Li faccio tremare urlando se mai, perché di sculaccioni non ne so dare. Qualche volta, ma non abbastanza. Sono troppo pacifista e la zia farebbe meglio a star zitta. In fondo le piace tanto il teatro d'avanguardia dove

tutti urlano e saltano, mentre ha la fortuna di averlo qui a portata di mano. Spettacolo continuato.

Mt. - Se tu fossi nata severa come la zia non ti avrei scelto come mamma.

Sd. - (E' il più piccolo dei bambini, ha una voce infantile e cantilenante) Mamma, lo sai che il gallo del nonno ha beccato tre pulcini sulla testa e gli ha fatto uscire il sangue.

Mr. - Che sciocco! Gli sta spuntando la cresta e lui dice che è sangue.

Sd. - Taci tu, gallina-.

 M. - Rispetto, non avete rispetto neanche fra di voi. Ed è l'unica cosa che vorrei insegnarvi.

Il pane, Matteo, il pane, quante volte te lo devo ripetere?

Mt. - Uffa!

M. - (Prendendolo per le mani ed obbligandolo a fermarsi e a guardarla negli occhi.) Non ti chiedo altro, solo un po' di ubbidienza.

Te la chiedo ordinando, con gli sculaccioni, forse?

Mt. - La supplente giovane, oggi, ci ha detto di sederci sui banchi, chepossiamo fare quello che vogliamo, che lei non ama la disciplina all'antica.

M. - Non esistono tante discipline: all'antica, alla moderna, alla mezzo e mezzo. Disciplina non deve essere che io ti mortifico; disciplina deve essere qual cosa che vuoi tu, perché capisci che così aiuti, che sei grande. Disciplina è obbedienza è crescere, è maturare, è diventare uomini.

Il tuo cuginetto piccolo dice sempre no, poi quando diventerà più furbo

imparerà a dire anche sì.

Mt. - Ma mamma, io ti ho già dato retta per sette anni e dovrò continuare sempre cosi?

M. – Però se tu  capissi che certe cose te le impongo per aiutarti a crescere bene e non per darti dispiacere. Portami il pane Matteo

Mt. - Perché le chiedi sempre a me le cose? Comandi sempre ...

M. - Aspetto che tu mi dica che ti ricatto anche con il mio amore. Oh, scusate.. Tu non capisci niente: non le chiedo solo a te le cose. Credi di avere una madre polipo, con 100 braccia? Aiutami ti prego.

Sd. - (Chiamando da lontano) Mamma, ho finito, ho finito di far popo'.

M. - Quando imparerai a pulirti da solo?

Bambini, presto, sta per arrivare il dottore. Salutate e zitti e fermi. Salutate e zitti e fermi.

(I bambini si ritirano un attimo dalla scena ed entra  il dottore)

M. - Come sono contenta che abbia potuto venire, /lei, lei è di una gentilezza unica.

D. - So cosa vuol dire camminare con tre figli piccoli per gli ambulatori, fare le code, tenerli buoni e quando posso vengo di persona.

M. - Non ho parole per ringraziarla.. Non faccio altro che girare. Non ho ancora finito di pensare alle scarpe correttive che già ci vogliono le macchinette per i denti e poi i corsi di nuoto e di ginnastica.

D. - Ma lei non si spaventa per così poco. Perfino le sue piante, quelle verdi, sono sempre splendenti. Lei ha il pollice verde.

M. - Vede, mi attribuisce doti che non ho.

Io le curo soltanto quando non c'è mio marito. E' lui il giardiniere di casa, quando può. Lui taglia, pulisce le radici, lega i germogli ... io mi prendo i meriti.

D - Non si trovano spesso case accurate, oggi.

 M. - Lei crede in un'immagine che non c'è più. E' tanto che non ci vediamo, perché i bambini hanno avuto un periodo fortunato, di buona salute. Sapesse come sono cambiate le cose. A volte mi sembra di non farcela. Mi chiamano sempre, chiedono sempre e io non riesco a rispondere, vorrei abbassare delle saracinesche nel mio cervello per isolarmi o per rispondere ad uno per volta. Tre figli oggi sono tanti. 

(I bambini rientrano sulla scena sempre in pieno movimento, come saltimbanchi).

M.- Su, Matteo, prepara il sederino che il dottore deve farti l'iniezione, anche tu per aria come per mettere la supposta, non disteso, così... Un attimo. Tiro le tende, se no tutto il vicinato ammirerà questa esposizione di sederini.

D-(Facendo l’atto di fare l'iniezione ad un bambino): Tu sei generale. Tieni la siringa, te la regalo. Adesso tu. Tu no, non così, ti faccio solo caporale. Benissimo colonnello!

M. - (Intanto chiama) Marina, Marina, dove ti sei cacciata? Si è nascosta, Dottore, ha paura dell'iniezione. Eccola là dietro! Vieni, Marina, vieni, ti prego. E' per rispetto, il dottore non ha tempo da perdere. Un attimo e poi non ci pensi Più.

(Si deve assistere ad una vera e propria colluttazione, con la bambina recalcitrante, il dottore che cerca di metterla in braccio alla mamma, che tenta invano di tenerla ferma)

D- (Rivolto a Matteo e Sandro che intanto si stanno accapigliando) Buoni, voi due, se no, vi riprendo le siringhe.

M. Andate a giocare da un’altra parte, per favore, per favore.

(i bambini si schizzano con le siringhe come con  pistole ad acqua)

La bambina urla in maniera agghiacciante.

(I fratelli escono, torna il silenzio)

 La bambina sta seduta per terra, raggomitolata. Deve essere illuminata in pieno, Il dottore ansima per la fatica.

M. - Mi scusi, dottore, mi scusi, mi sembra di non farcela più.

D- Signora...

 M. - Lo so, ci vuole lo sculaccione.

D. - In questi casi non serve. Ha una paura patologica del dolore. Sei una fifona, Marina.

Mr. - Solo in questo campo.

(Mentre il Dottore si allontana seguito dai “mi scusi, mi scusi, sono mortificata, mi scusi" di Marta , la luce è concentrata solo su Marina).

Mr. - Mamma, mi dispiace. Se il dottore non viene più, tu dici che lo troveremo un altro che mi curi? Mamma, perché sei pallida?

M.- Mi dispiace vederti così, con tanta paura e pensare che soffri. Vorrei aiutarti sempre nel dolore fisico e in quello morale e invece sarai sempre sola a soffrire.

 

                                             ATTO II

In questo atto la scena è spoglia.

C'è solo un letto in un angolo, su cui la donna sofferente sta come sul

cavalletto di un ginecologo.

Tre donne, vestite di nero, stanno ritte lungo una parete. Hanno la funzione di coro, cioè spiegano, commentano, accusano. Non hanno però funzione di sagezza, sono personaggi irridenti. Esse imbastiscono il processo dei ricordi. Accanto al letto c'è la madre, che talvolta diventa l'ostetrica, cioè la presenza femminile consolatrice, la donna che è a fianco nel dolore morale e nella sofferenza fisica, che ha la possibilità di cullarti indipendentemente dal buono e dal cattivo che ciascuno ha in sé.

Dall'altra parte del letto il Dottore.

Anche in lui sono compendiati due aspetti: bene e male, dottore curatore di anime e donatore di salute, dottore "mercante di carne umana". Questi aspetti si scoprono a seconda delle parole e dovrebbero essere sottolineati dalla luce. Ora mentre le donne dello sfondo sono vestite di nero, mentre la madre-ostetrica è vestita di bianco, la luce può darci ora un dottore chiaro, ora un dottore oscuro, a seconda dell'intenzione buona o cattiva con cui parla.

La donna può recitare quasi tutto l'atto nel letto, può essere voce soltanto. Ella fa una rievocazione di momenti viscerali della sua vita. C'è infatti un periodo della vita di ogni donna che si può chiamare viscerale. La donna diventa soprattutto un'entità fisica, soffre e vive a livello fisico e questo le porta delle ripercussioni psicologiche, perché il suo spirito rimane come ingabbiato. Lo spirito non può agire se la donna accetta il sacrificio della dipendenza: il darsi alle persone che dipendono da lei e che la tengono legata.

In questo atto l'atmosfera diventerà tesa, allucinante, di processo, quasi in un'inutile ricerca di colpevolezza. La scena in penombra, effetti luce nei momenti-verità devono aiutare la creazione di questo clima. La musica è assente. Talvolta si inserisce l'altoparlante, ma con effetto di dissonanza. Fino alla fine dell'atto, all'aprirsi alla speranza, alla volontà di risollevarsi, con la presenza del marito in scena la musica deve essere assente. Deve risaltare l'atmosfera desolata, pesante, da incubo.

Nel periodo viscerale la donna dà di sé quello che non darà più in tutta la vita. Nella bilancia tra il dare e l'avere, il primo piatto è il più pesante. Aiutare la donna significa non metterla sul cavalletto di un ginecologo e fil.mare il suo travaglio di partoriente, ma porre in risalto il travaglio psico logico di questi anni intensi da cui scaturirà la personalità matura, la personalità pensante.

Aiutarla significa insegnare il garbo che spesso manca in queste esperienze in cui la donna è considerata un numero, aiutarla significa crearle intorno. questo rispetto che le è dovuto.

La storia ci parla della vita delle regine più che delle donne comuni. Usa frasi nobili e altisonanti, ma questa storia umana-viscerale che è di tutte la donne, anche delle regine, è relegata nell'ombra, come se togliesse dignità il parlarne. Il parlarne può costruire dignità, se è fatto responsabilmente, per educare, se è fatto, come ho cercato di fare nel testo teatrale con la trasposizione poetica, con la trasfigurazione del caso particolare di Marta, una donna comune, attraverso la parola.

Eschilo disse:

Quella,che madre appellasi,

del figlio non è,

non è generatrice: essa

è del feto nutrice.

E' l'uom soltanto generator:

serba la donna a lui,

come ad ospite suo, l'accolto germe,

se un iddio nol diserta.

E di ciò prova io recherò,

che aver può figli un padre,

senza la madre: testimon qui presso

ne sta la figlia dell'olimpio Giove,

non nelle cieche tenebre dell'alvo sorta e nutrita;

e nondimen tal prole, qual niuna diva partoria giammai.

Il poeta tragico greco seppe usare un linguaggio crudo a sostegno del suo pensiero. La mentalità della famiglia patriarcale non esiste quasi più, residui ad esempio ce ne sono nell'atto I, scena III; ma nessuno, oggi,(per quello che mi risulta) ha il coraggio di parlare così realisticamente e nello stesso tempo di trasfigurare la sua idea, giusta o sbagliata che sia, con linguaggio drammatico-poetico-teatrale, come osò il poeta greco.

(Indico le tre donne nere con le cifre romane I, II, III, il dottore con D., il padre, che compare brevemente con P., la madre è ora Mamma, ora Ostetrica, cioè una sola attrice interpreta i due personaggi).

M. - Guarda, guarda... Mi pare di veder spuntare qualcosa, là in fondo, Le vedo, le sento. (Grida): Cosa vogliono da me queste donne nere?

I - Queste sposine... Quando si ha tutto è facile essere felici.

Cos'ha da lamentarsi questa donna? Cosa le manca? Non riesce ad essere

felice? Allora la colpa è sua. Certo ha qualche colpa da scontare.

E' il rimorso, qualche rimorso che le si agita dentro.

II - Andava per la strada ondeggiando lunghi capelli sulle spalle,  si accontentava di essere fiore, di essere ammirata. Voleva gli sguardi su di sé. Si accontentava di essere bella, di dare serenità, di fare di sì con la testa, sempre. Aspettava l'amore, un amore solo di tutta la vita. E' possibile vivere in questa maniera così futile, così vuota, così inutile? Questo deve essere il suo rimorso, questo è il suo rimorso.

III - Non aveva mai preso in braccio un bambino. Un suo pretendente si sposò e divenne padre. Un giorno la vide passare ed alzò il piccolo figlio verso di lei e lei girò il capo. Non le interessava quel piccolo coso con la testa calva, raccapricciante fra le braccia di quell'uomo. Non le era mai in teressato quell'uomo e non le interessava quel piccolo coso di cui lui era così fiero e per cui si credeva importante. Girò il capo perché le dava fastidio quell'esibizione d'orgoglio.

A lei nun interessavano i bambini. Non aveva senso di maternità. Le

sembrava che troppe donne si facessero belle attraverso i figli. I figli e le

rinunce che si consumano per essi erano l'alibi più diffuso alla pochezza dei troppi.

I - Un figlio dietro l'altro. Che scoperta! Cosa credeva di mettersi alla pari? Di sorpassare gli altri?

II(Riecheggiando in tono di parodia il canto di Natale)-  E' nato, è nato

III - E' nato il sovrano bambino.

(Entra il padre che sta sulla scena soltanto il tempo di pronunciare le sue battute. Potrebbe anche essere interpretato dallo stesso attore che interpreta il marito.       

Egli, il padre-educatore, egli, il marito-padre (a sua volta) dovrebbe essere presente al massimo, protagonista insieme a Marta. II periodo in cui la donna è costretta a vivere solo a livello fisico, il periodo in cui si sente soltanto viscere" non è purtroppo condiviso dall'uomo che preso neIl'ingranaggio del lavoro non può esserle vicino.

Dalla fragilità e anche da questa solitudine nasce lo scompenso psicologico di ogni Marta.)

P. - Questo bambino è fuori serie. Mia figlia ci ha pensato un poco a fabbricarlo, ma è carrozzato fuori serie, Guardate che portento

M. - Papà, aspetto un altro bambino.

P. - Un altro, disgraziata!

M. - In fondo non è nemmeno un illegittimo.

P. - Mettiti una pietra al collo e gettati in un fiume. Con tutto quello che ti è costato il primo nato! In questi tempi in cui il mondo è attossicato, è di assenzio, che avvenire vuoi dargli? E' incoscienza la tua, è follia.

Mettiti una pietra al collo, pesante come una macina da mulino e gettati nel

fiume, finché sei in tempo. Tuo figlio sarà molto più pesante di quel macigno.

M. - (Canterellando una ninna-nanna): Uno, uno bambino nella culla, la luna e il sol, due due l'asino il bue, la luna e il sol, tre tre... (S’interrompe);

Papà, aspetto un altro figlio. Perché non dici niente, papà?

P. - Cosa vuoi che dica a questo punto?

M. - Il dottore mi ha consigliato di abortire. Dice che sto rovinando la mia giovinezza. Quando sarà nato il bambino io sarò una vecchia. Dice che non ce la farò a portarlo fino in fondo, sana; che sono già troppo provata e anche se lo porterò fino in fondo, non ce la farò a farlo crescere, sana.

P. - E tu che gli hai risposto? Abortire non è semplice, né salutare.

M. - Gli ho detto che lo ringraziavo per la sua premura, che son volevo.

P. - Bene, è sta una risposta logica.

M. - Papà dove stai andando?

P, - Fuori, al lavoro. Il mondo si regge sul lavoro. Non ci possiamo fermare. Un uomo ha la famiglia e il lavoro.

M. - Fa freddo là fuori, mi sento sola.

P. - Il lavoro è un grande motore caldo e noi siamo gli ingranaggi ben

oliati, noi uomini. Tuo marito, anche lui, è un ingranaggio. Questo ci piace, anche. Noi amiamo il nostro lavoro.

Perché parlare? Non contano le parole. Contano i fatti; agire con il rispetto di sé.

                            (Il padre si allontana.)

M. - Aspetta, papà. Peccato! Dovevo raccontarti perché ho detto al dottore che non volevo abortire.

I - Era in ospedale. Aveva appena abortito, spontaneamente ed era naturale, dato il suo utero ipoplasico. Venne il professore con i suoi assistenti. Alzò le coperte e spiegava e lei, quella sciocca, che si sentiva una donna, arrossì di vergogna. Guardava le sue gambe bianche, affusolate, estenuate e si vergognava…

M. - Ricordavo quando giocavo a palla sulla spiaggia con quegli stessi assistenti, amici fin da bambina. Le mie gambe allora erano abbronzate, non erano nude. Mi sentivo nuda. Mi vergognavo.

II - Non capiva di essere soltanto “aborto-1966”, causa ipoplasia uterina. Il professore doveva spiegare perché, per una causa così banale, lei era stata per morire.

M. - No, quella volta non stavo per morire. Non c'eravate voi,donne nere, strumenti di morte, odiose.

D. - Rifiutavi di vivere. Non è forse la stessa cosa? Quando una persona non vuole vivere più, il medico non può far altro che prendere la cartella per segnare i dati del caso. Poi si studierà.

Ostetrica- Coraggio, Signora; coraggio! Non vorrà andare avanti tre giorni con i dolori.. Coraggio, deve nascere questo bambino. Sarà un maschio.

Soffre molto? Lei mi piace, mi piace la sua pulizia, il suo ordine, questi capelli raccolti. Ci sono donne che urlano con la bocca, con i capelli scarmigliati sul cuscino.

M. - Capisco ohe mi vuole distrarre, però mi fa piacere raccontarle che mia nonna, quando era vecchia, se usciva si metteva sottoveste e biancheria pulita. Aveva paura di morire per strada. Voleva essere in ordine, pronta. (Tutto il discorso è fatto a fatica, come durante il travaglio del parto, però senza gemiti o scompostezza.)

Anche Teresa, la mia donna a ore, porta sempre 5000 lire nel portafoglio, per ché se sta male per strada, con 5000 lire la portano via. Prima ne bastavano 1000. Non voglio lamentarmi, non voglio,..

D. - Ecco è nato. Cosa non può fare lo spirito! Brava, Signora! Che bel bambino! quanti capelli neri!

M. - Io lo volevo biondo, da sempre.

D. - Crede che Dio li faccia biondi per premiarli? (In questo momento il dottore è divenuto irridente, nero.)

M. - No, è che a me piace il biondo naturale, come negli angeli.

 D. - Li ha visti?

M. - Cosa vogliono da me queste donne nere? Vogliono impedirmi di parlare.

La stanza balla, è come un treno in corsa. . Luci gialle di stazione nella nebbia

Si inserisce l'altoparlante: Fischi di treni. Annunci.

M. - Luoi rosse di semafori.

L'altoparlante continua: Non si passa, non si passa. Proibito, proibito! Non ce la farai, non ce la farai. Muori! D. - Ostetrica, che intestino ha questa donna. Non è riuscita a farle il clistere? Non poteva pensarci prima?

Ostetrica. - E' stato tutto cosi rapido. Pensiamo al bambino, sta per nascere.

M. - Mio figlio deve nascere in questa maniera? Tra questi discorsi?

Ostetrica. - Buona Signora, buona, si rilassi. Su su, un piccolo sforzo. Spinga, spinga come per fare popo'. Spinga su. Ci siamo, ci siamo quasi.

D. - Povero professore... Mi dispiace che sia morto, così all'improvviso, ieri mentre stava operando. Eravamo della stessa scuola, allievi del grande maestro. Eravamo in tre. Due sono già morti, il terzo sarò io.

M. - Accidenti a questi discorsi. Dovrebbero servire a distrarmi, a rompere il ghiaccio, perché questo ginecologo è la prima volta che lo vedo in faccia, chiamato d'urgenza in sostituzione del mio, ma io non li sopporto. Come lo odio questo uomo! Come può parlare così? Sta nascendo mio figlio.

Ostetrica. - Coraggio signora, sarà un bel. macchiette.

M. - L'ostetrica capisce. Parla di mio figlio come di una creatura. Mi dice che sarà un maschio ed io voglio un maschio.

Ostetrica: è nato, è nato.

 M. - Il mio medico, quello dai bianchi capelli, il curatore d'anima, non solo del fisico, così lo chiamavo, il medico-sacerdote, quello che mi ha infuso la fiducia per diventare mamma, è morto. Non è qui, mentre nasce il mio terzo bambino.

E' morto ieri.

Il primo figlio l'ho desiderato come un completamento, il secondo è stato la naturalezza, il terzo era la mia testardaggine, la mia maniera di dire grazie a questo medico che ha onorato la sua professione. Non è qui, purtroppo, mentre il mio bambino sta nascendo.

Questa stanza non è asettica. Si parla di intestino, di morte e si scherza e mio figlio sta nascendo. Nasce così come in un balletto.

Ostetrica. - E' nato, è natol

M. - Che freddo! Eravamo insieme al caldo, io e il mio bambino. Piange. Che freddo! Tremo, tremo.

I - I figli sono la cosa più importante. Che te ne fai di una laurea con cento e dieci? La laurea è fatta per le persone medie, con media volontà e tutti possono prendere una laurea. Tu avevi un professore anziano. Si sa, i professori anziani sono facili ad intenerirsi davanti ad un bel faccino. Te l'ha tirato dietro il cento e dieci, te l'ha regalato per il tuo faccino, non perché tu vali. La vera vita è quella di allevare i figli. Santa Caterina, io dico, prima se li fa e poi se li ninna. Coraggio che i figli sono tuoi. Io non te li curo, però li devi fare, perché io devo essere nonna. Una parte di me deve andare ai miei nipoti. Io  ne voglio tanti di nipoti. Coraggio. Così sopravviverò tutta intera, in loro.

M. - Io non posso continuare così. Per me c'è qualcosa d'altro che conta,

Omero, ad esempio, che conta. A me piace leggere Omero, tenerlo sulle ginocchia, a me piace studiare. Conta il figlio. L'ho voluto.

Il - Omero era un poeta aristocratico e per questo va buttato al rogo. Esiodo è il poeta-lavoratore-onesto- popolare.

M. - Io amo anche Esiodo, quando canta la calda estate, ma amo soprattutto Omero. Non mi piacciono questi settarismi, neanche in letteratura. Omero è grande perché ha parlato dell'umano dolore. E' questo che è importante! Con le sue donne vinte mi sento in compagnia, non mi sento più sola, accomunata in questo dolore. Io e loro siamo figure oome su sfondo di livido vaso di bronzo.

Le donne di Omero hanno subito violenza ad opera degli uomini e violenza ad opera del destino. La loro vita  per questa duplice violenza è diventata disperata. Omero l'ha avvolta di luce, l'ha conservata per noi con il ricordo.

Io mi sento simile a queste donne, anche se la mia esperienza di donna, oggi, sbiadisce al confronto dell'umiliazione antica. Anch'io però subisco violenza in ogni momento della mia vita. Non esiste serenità, né tranquillità, in questa vita di corsa, in questo mondo crudele.

Subì violenza la giovane madre, sposa del principe.

I - E forse un giorno in Argo tesserai per un'altra la tela, porterai l'acqua della Mèsside o d'Iperea, ben, tuo malgrado, sotto l'imperio di dura necessità.

M. - Violenza ha subito la madre con il figlio regale, quando le Troiane sono diventate schiave.

II - Esse di certo se ne andranno in fondo alle concave navi, io fra di loro; tu, mio bambino, con me mi seguirai a fare avvilenti cose,

penando sotto gli occhi di un padrone senza dolcezza.

M. - La vergine, figlia di un sacerdote, ha subito questa sorte di violenza, costretta a divenire ancella di un uomo e non più della dea a cui era stata destinata.

III - Non la restituirò. T'avrà prima sorpresa vecchiezza nella mia casa d'Argo, lontano dalla sua patria,

a correre innanzi al telaio, a muovere verso il mio letto.

M. - Omero sapeva che "non vi è certo qualche cosa in qualche luogo più    sventurata dell'uomo, fra quante cose sopra la terra respirano e ai trascinano."  Sventura per l'uomo.

I - II - III - Luce in alto per gli dei.

“Preparò sotto il cocchio due veloci-volatori, destrieri pliedi-di-bronzo, di criniere d'oro chiomanti, ed oro egli pure rivesti sul corpo, afferrò la frusta d'oro perfetta e salì sul suo cocchio. Pieno di gioia il mare s'aprì e quelli volavano impetuosamente davvero, né di sotto si bagnava bronzeo asse.

E il dio verso navi-d'Achei i cavalli stupendi-nel-balzo portavano”.

M. - Qui, intorno a me, io non vedo alcuna luce.

 

                  (Una pausa, poi Marta riprende a lamentarsi).

M. - Le vedo, le vedo crescere, là in fondo ... Vogliono soffocarmi.

Mamma, mamma!

Mamma: Riposa, bambina, riposa.

Quando ti ammali mi siedo vicina al tuo letto e tengo la tua mano tra le mie e ti leggo favole e ti passo pezzuole bagnate sulla fronte che brucia e quando ti assopisci e non vedi, piango di paura. Paura di perderti, di non poter calmare la tua febbre, di non poter lenire il tuo dolore.

Tu mi credi forte ed io so di essere così debole, di non poter fare nulla per te; altro che stare a fianco del tuo letto e piangere con il viso girato.

D. - Ha una costituzione nervosa fragile. La febbre non è altissima, ma per lei è violenta. Sta delirando. Il morbillo alle soglie dell'adolescenza è più preoccupante che per un bambino piccolo. Quando sono piccoli hanno la febbre alta, i visi come mascherotti infuocati eppure hanno tanta vitalità e voglia di giocare che si fa fatica a tenerli fermi.

M. - Tutte queste donne nere si mettono fra me e voi. Queste donne mi inseguono, non mi danno più pace. Entrano e si fanno cenno e le altre che sono nel corridoio del treno entrano e mi vengono attorno e bisbigliano e bisbigliano.

Sgranano grani di rosario, come in una veglia funebre.

Quando è morto, il vecchietto del piano di sotto sono entrate nella sua stanza. La moglie taceva in un angolo, con il bel viso contratto sotto il velo nero e il fregio dell'armadio sembrava sovrastare ogni cosa. Era così alto quell'armadio, imponente, sicuro. Due volute si incontravano al centro, protese l'una verso l'altra. Si erano fatte compagnia per tanti anni. Erano come i becchi di due uccelli innamorati che si sfiorano tra l'arruffio delle piume morbide.

Una donna nera alzò la mano e il fregio cadde a metà. L'armadio era cosi desolato. Questa è la mia morte. Mi sento sola. Le donne si frappongono fra me e voi.

I - II - III - (Come un'eco): Morte, morte.

Mamma - Cosa dici mai bambina? Se una mamma sta a fianco al tuo letto e nasconde le lacrime a volto girato, tu non puoi morire. Ben altre battaglie abbiamo passato insieme e vissuto insieme e continuato a vivere dopo.

Il morbillo finirà.

Eri ancore più piccola. Ti avevano fatto la vaccinazione antivaiolosa, quella per cui solo adesso si fanno tante discussioni. Incominciasti a star male. La febbre saliva e mille papule si accendevano sul tuo corpo. Venne il dottore, prese il mio sangue e te lo iniettò. Aveva gocce di sudore alla radice dei capelli. Mi chiese se c'era un po' di caffé in casa. Ti ascoltava il cuore e si aggrondava in volto. Era tempo di guerra non ne avevo. Il dottore andò a prenderlo. Uscì con il coprifuoco e tornò con il caffè. Era Ebreo.

M. - Devo dire grazie ad un Ebreo. Mi piacciono gli Ebrei con la loro abitudine al libro, con la loro cultura, con il loro orgoglio di perseguitati. Mamma - Tu devi dire grazie ad un medico.

M. - Perché gli uomini hanno creduto nelle distinzioni di razza più che nell'essere uomo e nell'avere questo in comune?

Mamma - L'esercitare lo stesso tipo di mestiere, la stessa professione, amare le stesse cose, impegnarsi per le stesse mete, questo è il fondo dell'uomo, prima del colore dei capelli o degli occhi. Questo oi accomuna tutti.

M. - No, non è questa concretezza che ci accomuna, è la dignità in ognuna di queste cose. Le cose si possono fare con dignità o senza.

Mamma - Un medico ti aiuterà, ti salverà.

M. - Anche quello che voleva che io abortissi?

Mamma - Anche quello in fondo si preoccupava della tua salute. Il medico è lì vicino al tuo letto, quando nasci e…

M. - E quando muori. Spesso ti sta a guardare mentre muori.

Devo dire grazie anche a quello dissacrante, irridente, che parlava con ironia della sua morte da venire, mentre mio figlio stava nascendo?

Ridere sulle cose. “No problem”, è la fuga più vigliacca a cui assisto ogni giorno. Il problema è la partenza. Un, due, tre e via... Correre lontano, arrivare ad una meta senza problemi e ridere tra le ovazioni della folla. Flash al sorriso da cannibale, stampato a tutto volume. Così si cammina impavidi nella vita.

Mamma - In fondo ad ogni medico rimane quel dolore, io credo, quel dolore che ha visto, per cui spesso non ha potuto fare niente e che si porterà come un fiore all'occhiello dovunque, anche sotto il sorriso. Un purpureo fiore di sangue.

Mamma - Tu devi aver fiducia.

M. - Io credo, tu hai detto, e ancora: tu devi aver fiducia, ma io non posso, non posso. Non mi bastano le radici che hai fatto crescere per me con le tue lacrime. Io sono disancorata, straniera a voi, anche se vi amo, anche se mi amate, sola.. tra queste orride donne.

Perché aver fiducia? Anche il mio medico,quello dai bianchi capelli,è morto.

(Una pausa) (Marta riprende a parlare)

M. – Viscere, viscere…Non sono più una donna. Intestino, viscere, sangue, dolore.

Devo dir grazie a quell'altro, il professore che mi assicurò di risolvere il mio caso e mi disse: Ora la visito. Salga sul lettino. Mi puntò un riflettore tra le gambe; forse era miope. Non ricordo se avesse gli occhiali.

La luce esplose nei miei occhi ed io avrei voluto scendere da quel lettino che sembrava di tortura, mentre il volto di mio marito sbiancava al disopra delle mie gambe.

Viscere, viscere... Non ne posso più.

Anche il professore dai bianchi capelli mi visitava. Mi visitò molte volte come se volesse farsi perdonare l'intrusione delle sue dita nel mio grembo. Mi metteva un asciugamano bianco di fiandra, con lunghe frange, sul basso ventre.

I - La chiamano visita alla francese, ma pochi la praticano,

II - Un piccolo asciugamano di fiandra basta a creare dignità? Hai paura di guardare in faccia la realtà. Dignità per te è solo la fiandra, il bianco, il lino morbido?

III - Il riflettore voleva accertare, indagare, salvarti la vita se tu ne avessi avuto bisogno o quanto meno sanare i tuoi disturbi. A te importa solo la forma.

I - Visita alla Francese fa tanto Versailles e la dignità della corte.

C'è voluta la ghigliottina per rendere giustizia di quella dignità di apparenza.

M. - Troppo facile per me. Giustizia ai re non è ancora stata resa. Li hanno solo ghigliottinati.

II - Spogliati di queste stupidaggini. Deciditi a crescere, bambola.

Cosa credi ancora? Di poter sempre andare per la strada ondeggiando lunghi capelli? Guarda! Vuoi solo far parte delle vanità al balletto?

(Due delle donne nere a questo punto si incrociano danzando e cantando. La luce le veste di colori, creando l'illusione di ricchi abiti).

                                        Vedete,

                         che bel vestito mi sono messa,

                       ha le maniche con il volant.

                                Guarda le mie unghie laccate

                                 così lunghe, così lunghe.

                               Guarda la mia veste

                                  che fruscia per terra,

                         Guarda lo spacco abissale

                           pantalono sfrangiati

                         jeans inchiodati all'ultima moda

                                   jeans jeans libertà,

                              gioia di vestire uguali,

ma io ho sopracciglia depilate

    dalla mano sicura

      del grande coiffeur.

Jeans jeans vestiamo uguali,

ma io ho al collo la catena lavorata

nella grande oreficeria

che ha il marchio della qualità.

Jeans jeans jeans

   ma voi restate belli e miseri

e noi cantiamo dalla nostra casta

 noi portiamo jeans sfilacciati,

ma noi siamo un'altra razza”.

M - Non ho mai amato queste cose. quando ero attratta dall'eleganza ero molto giovane o la ritenevo una forma di educazione. Proprietà è parola giusta. Non ho mai accettato l'eleganza come esibizione, ostentazione, coma specchietto per allodole.

Voi, donne nere, siete pronte a costruirmi una colpa che non possiedo, solo perché mi piace  l'ordine e mi piace esprimermi anche...

I - Sentila! Aveva un abito bianco a piegoline. Un compagno le disse che sembrava una martire cristiana e lei ci ha creduto. Si è immedesimata nella parte.

(A questo punto si sentono voci di bambini, i figli. Però con la loro presenza di movimento continuo creerebbero un elemento di disturbo per l'unità di quest'atto per adulti, con problemi di adulti. Il ricorso all'altoparlante  appare quindi più armonioso, più in carattere.)

B. --Mamma, quanto fa 7 x 8?        Io so la tabellina del 9, quella del 10, del 5,

dell'1 e del 2, che sono molto facili.

B. - Mamma, mi vieni a spiegare questa frase? Il vento è buono, il vento soggetto, è verbo, buono... che cos'è buono? ,non capisco

B- Mamma, sai quella parola italiana dove ci sono cinque vocali tutte di seguito?

B. - Mamma, quando sei morta me lo lasci il tuo motorino? Così faccio prima ad arrivare al cimitero per portarti i fiori.

B- Mamma, perchó le statue le fanno sempre nude?

B. Mamma noi siamo la tua allegria.

B. E' vero quanto siamo simpatici, divertenti…

B. Mamma cosa faresti senza di noi?

Le vooi si incrociano; Mamma, mamma, mamma, mammaaaa

M. - Basta per favore. Mi viene una confusione in testa non ne posso più di

sentirmi chiamare. Non potete stare zitti? State zitti!

B. Mamma, vieni subito!

(Interviene il marito che è comparso sulla scena.)

Ing. - Lascialo dire. Non andare.

M. - Ha paura del buio.

Ing. - Che se la tenga, deve imparare a superarla. M. - Appunto se se la tiene non la supererà mai.

B. - Se non vieni divento isterico.

Ing. - Imparano da te, stai attenta a come parli.

B. - (Esasperato). Vieni subito, subito. Vieni, vieni, vieni, hai capito. Scema, cretina, schifosa!

M. - "Che schifo" lo dice sempre mio padre. Ha imparato dal nonno.

Ing; - E tu ti lasci dire di queste cose?

Guai a te se ti muovi. Devi insegnare loro a rispettarti.

M. - Mi chiama. Se non lo calmo .... Per me è al limite di rottura. Può succedere anche ai bambini. Noi gli facciamo fare delle cose da adulto, non pensiamo se ha sonno, se ha fame. Lui deve sempre seguire, fare la nostra vita di corsa. Io vado.. Adesso vado.

Ing. - Allora queste cose mi viene voglia di gridartele anch'io. Te le grido.

M. - Grazie mio Signore. Non sei gentile, ma sei stanco.

Ing. - E' per il tuo bene e per il suo. Cosa ne sarà quando sarà grande se gliele dai sempre vinte così.

M. - Il mio amore non lo dimenticherà.

Ing. - Marta, non sono riuscito ad arrivare. L'aereo aveva un motore guasto, è tornato indietro.

M. - Perché non mi hai telefonato? Ing. - Ho provato. C'era lo sciopero.

M. - Era mezzanotte e tu dovevi arrivare alle undici. All'una non ne ho potuto più ed ho chiamato l'aereoporto. Finalmente mi hanno tranquillizzato. Mi hanno detto che l'aereo era tornato indietro.

Ma se io avessi dovuto aspettare, senza sapere...

La mia vita è fatta di attese.

Aspettare, sempre aspettare, aspettare.

Tu devi sempre partire. Mi telefoni di prepararti la valigia. Mi chiedi se ho pronte tante camicie, i fazzoletti, i calzini. Io non ne posso più. Passeranno gli anni ed ho capito che non potrò abituarmi.

Ha telefonato la moglie di quel tuo collaudatore anziano e mi ha chiesto, mi ha pregato di far rientrare suo marito, perché è vecchio, perché non sta bene, perché lei non ha mai potuto abituarsi a vederlo girare sempre per il mondo. Adesso che è vecchio è ancora più in pensiero che per il passato.

Tu mi hai risposto sicuro che è una stupida donna, che suo marito è bene che questi ultimi mesi di servizio li passi in trasferta il più possibile, perché così cresceranno liquidazione e pensione e non so che cosa, ché non capisco questi discorsi e non me ne importa.

 Ing. - Voi donne non capite mai, però alla fine del mese lo volete lo stipendio. Allora si che vi interessa e guai se mancano le dieci mila lire e vi abituate subito ad ogni aumento e come toccate i soldi li avete già spesi. M.- A volte credo di aver infilato un anello per sbaglio. Certe volte mi chiedo se domani non mi sveglierò tanta è l'inconsistenza di questo marito che forse ho sposato, ma forse ho sognato. Non è gelosia.

Scherzavamo con Silvia e ridevamo, perché era troppo bella, troppo sexy ed era scontato che tutti i mariti tradissero le mogli con lei.

Invece il nostro terzo figlio era appena nato in quella maniera che tu sai e mi sentivo depressa. Entrò quella nostra vicina insignificante, quella che

incontravamo sempre sulla nostra strada e si facevano due chiacchiere in amicizia. Aveva una rosa in mano ed era tremendamente a disagio. Ho pensato che se tu mi hai tradito, lo hai fatto sicuramente con lei. L'ho sentito, l'ho visto.

Ing. - Fantasie, immaginazione.

M. - Eppure era vero, sai. Per me era vero. Ho lasciato perdere quando ho capito che lei è un non-problema per noi.

Il problema sei tu, sempre lontano. Io mi chiedo perché. Il lavoro è necessario, lo so, ma anch'io ho bisogno di te e allora penso che forse il tuo lavoro è soltanto la fuga da me, da noi.

Penso che sono stanca tra un figlio e l'altro e lagnosa e spettinata e fuori moda e vedo ombre e fantasmi nascere dovunque. Vedo la vicina ambigua e penso che è sfuggente. Poi penso a te, che sei leale, e mi pento.

Ing. - Ma cosa vuoi? Non ti basta che ogni mio atto, nella mia vita, è per te? Tu sei la mia vita!

M. - Perché non me lo dici mai?'

Ing. - Ti accontenti di parole?

Vuoi parole?

Ecco: Mi piaci il mistero incomincia

         ti voglio bene il mistero s'accende

            ti amo il mistero s'infiamma

           sei la mia vita il mistero si compie.

Ma sono parole ohe un altro ha già detto, che ha già scritto.

Io non ti ho mai offerto parole. Ho voluto darti ogni gesto della mia vita. Questa vita che noi facciamo, giorno per giorno, è solo nostra.

Tu non vuoi capire, tu ti rifugi nei sogni e nelle malinconie. Sei tu che scappi lontano da noi.

M. - Eppure io lo sento questo vuoto, io la sento questa mancanza d'appoggio.

Tu sei assente dalla nostra casa, dai nostri figli. Noi discutiamo soltanto alla domenica pomeriggio dalle due alle due e mezzo, perché poi c'è la trasmissione speciale di sci o la partita di calcio.

Poi la decisione la devo prendere io al lunedì mattina e correre di qua e

correre di là e fai questo e fai quello.

I - Bamboleggia. Le dà fastidio decidere. Non capisce. Eppure c'è della gente, anche senza laurea che capisce, lei no.

   M. - Le vedo, le vedo crescere.

  Mamma - Cercati un lavoro. Il lavoro responsabilizza. Perché non ti cerchi un    lavoro?

M. - E poi dovrei dividermi ancora di più. Casa, lavoro, figli, le scadenze da rispettare, cercar di far bene questo, cercar di far bene quello.

E poi anche se trovi un lavoro e  te ne accontenti le donne nere ti vengono intorno e ti chiedono quanto guadagni con il tuo lavoro. L'importante è guadagnare.

Una volta ho provato a scrivere un libro, non era ancora uscito che già

quantizzavano in cifre se avrei guadagnato e cosa avrei guadagnato. L'importante non era il libro e ciò ohe vi avevo messo di mio, di dolore e di amore. L'importante era se ne avrei ricavato dei soldi.

Il - Cos'è una donna se non guadagna? E' una donna inutile.

Una donna per aver peso deve guadagnare o almeno come si diceva un tempo deve avere una dote. Il valore di una donna si misura sempre in soldi. Non vale che tu abbia splendidi capelli, occhi dolci e sognanti, cuore immacolato, che tu abbia tenerezza da donare ai figli e canzoni da spargere per la casa, non vale. Quando vedono questo, questa immagine pulita, ecco che subito ti chiedono:

III - Soldi? Soldi? Quanto vale in soldi questa donna. Quanto può valere una canzone che non partecipa ad un festival, una promessa di speranza, un atto di fiducia nella vita? Un segno di pace?

M. - Le vedo, le vedo crescere quelle piante dannate, perché voi, voi volete tutto giudicare, voi volete solo imbastire un immenso asfissiante processo.Volete accusare e poi condannare. La sentenza sarà fiore purpureo di morte.

I - Venne un cavallo impazzito sulla terra, sterile come il ventre di una veccchia e i cieli erano nebbiosi come gli occhi di un uomo sul quale stia calando l'ombra della morte. E tra cieli e terra l'uomo tendeva la mano, ma non trovava che acqua marcia, che pane di cicuta, e mostri che mangiavano l'aria e la voce di un angelo ammoniva che mancavano 444 lune ai nuovi cieli....

M. - Non è l'inquinamento ohe avvelena l'aria, che rende il pane di cicuta. (Le donne nere sono sempre state allineate sullo sfondo, lungo una parete. Hanno acquistato movimento soltanto nella scena della canzone ballata, canzone a ballo. Ora invece devono diventare aggressive anche con la presenza.

Mentre prima le parole indugiavano quasi sulle loro bocche, passando simmetricamente dall'una all'altra donna, ora devono acquistare una movenza sempre più concitata, ossessionante. Il ritmo stesso di recitazione deve diventare incalzante, ossessionante, senza soste.)

I - Quattro sono i cavalli che devono passare nel mondo prima del cavallo dell'Apocalisse.

Il - E' venuto un cavallo bianco, cavalcato da un uomo che portava un arco, simbolo di lotta e di vittoria.

III - E l'uomo lottava per il progresso e le sue conquiste. I - E' venuto un cavallo sauro che portava un cavaliere a cui era stato dato il potere di togliere la pace sulla terra accioché gli uomini si ucoidessero gli uni e gli altri.

II - E gli uomini si gettarono in guerre senza fine.

III- E' venuto un cavallo morello. Portava un uomo con la bilancia in mano, per pesare il giusto e l'ingiusto.

Il - E questi tempi noi li stiamo attraversando.

I - Quello ha fatto il furto delle mele. Dice che aveva fame (Ironica)

II - Quello possedeva azioni riciclate.        Dice che non ne sa nulla "

III - Quello ha fatto concussione.   Dice che non è vero.

I - Quello ha favorito. Dice che è una macchinazione.

II - Quello ha omesso. Dice che ha fatto solo una buona azione.

III - Dicono di essere innocenti?

I - I giudici prolificano e pesano con la loro bilancia il giusto e l'ingiusto.

Il - Non solo essi hanno il oompito di giudicare. Anche l'uomo della strada è pronto ad approvare e a condannare.

III - Egli ha la competenza.

I - II - III - (In coro, sono proprio davanti al pubblico.) E i nostri tempi sono diventati più amari e più tristi.

Ed ecco viene il cavallo fulvo, il nostro cavallo fulvo e colui che lo cavalca ha nome Morte.

M. - Si, vi ho visto quando deliravo per il morbillo, ma voi non cavalcavate. Eravate a piedi. Ora vorreste ammantarvi di dignità, di grandezza, vorreste arrivare a cavallo. Voi siete soltanto l'ipocrisia, voi siete soltanto la calunnia. Voi siete soltanto la maldicenza, voi siete soltanto la sciocchezza e il conformismo.

(Le donne continuano parlando e muovendosi come in un balletto. Una gavotta una danza più moderna, purché si incrocino andando avanti e indietro.)

I - Guarda quella donna: vuol far qualcosa, vuol impegnarsi per il mondo

II - Vada a fare la calza!

I - Guarda quell'uomo: vuole le domestiche giovani. Non perché lavorino. Lo sappiamo noi perché.

Il - Guarda quella bambina

III - Sua madre sarà brava sì, ma lei non si lascia nemmeno fare un'iniezione.

I - Guarda quei due…

II - E' facile volersi bene e fare gli sposini.

III - Con il loro lavoro cosa vuoi che guadagnino, certo ci sono i genitori a

mantenerli.

I - Guarda quel bambino

II - E' come acqua chiara. Di santi stupidi in Paradiso non ne sono mai saliti.

III - L'ha mandato a scuola un anno prima. Prende dieci, ma non ha importanza.

I - Prima o poi lo si vedrà che è un testone. Non è furbo, è troppo semplice.

II- Anche la mamma ha tanta buona volontà, ma intelligenza...

III - Noi sole sappiamo giudicare di intelligenza, di genio e di virtù. Noi, noi sole!

M. - Voi siete soltanto delle streghe, streghe maldicenti e pettegole.

Tutto quello ohe avviene sulla terra di male è colpa vostra, perché voi siete

pronte a raccogliere i semi di delusione, di infelicità, di insoddisfatto dolore.

Voi mescolate pozioni avvelenate. Le vostre parole sono gragnuola di fuoco, mescolate a sangue e voi aprite ferite insanabili e voi inaridite i cuori e voi smuovete le montagne che sembravano radicate.

All'improvviso le vostre gocce di cattiveria, una dopo l'altra, le vostre saette avvelenate, una dopo l'altra, riescono a scuotere intere montagne e a far divenire sangue la terza parte della terra.

Voi e non l'inquinamento avvelenate le acque e i cieli e le terre e molti degli uomini sono morti e moriranno ad opera vostra.

Voi siete germe di pazzia che sembra piovere, oggi, giù dal cielo!

I - II - III - Arriverà giorno nel quale l'uomo si sentirà tremendamente solo. Potrà abitare tra migliaia, milioni di persone, ma morirà miseramente di solitudine. Sarà diventato un vuoto otre senza più desideri.

Ing. - Scendi da quel letto. Cosa fai lì? Ho sentito e ti dico che è solo egoismo. E' facile fuggire, sottrarsi ai propri compiti, dire non ce la faccio più.

Noi ti amiamo, ti abbiamo sempre amata e per questo ti abbiamo chiesto di capirci, di aiutarci, di sacrificare con noi.

Non si dà solo, si riceve anche. Questo è amore. Imperfetto, difficile, ma amore. Dimentica quei fantasmi. Scendi da quel letto.

M. - No, mi hanno tolto il desiderio di vivere e di morire, mi hanno inaridito dopo avermi tolto la pace.

Mamma - Le donne non si stancano mai di essere madri: cullerebbero anche la morte, se venisse sulle loro ginocchia, ma il nostro tempo può ridurre una donna a non cullare più nessuno, divenendo di pietra. Però io ho continuato a cullarti Io ti sto ancora cullando.

M. - Non voglio essere cullata. Non voglio più dolcezza, né tenerezza.

Voglio essere sola, con il mio dolore, con la mia infelioità. Perché la verità è ohe io sono disperata.

I - II-III- Bambola, bambina!

M. - Sì; sì avete ragione. Io sono soltanto una bambola, una grande bambola di stracci per quello che mi avete chiesto sempre o per amore o per sopportazione. Di voi ho accettato la vostra goccia di meschinità che scava ogni giorno depressioni abissali. Nel mio cuore ci sono rivoli di sangue, le mie membra sono piene di piaghe che nessuno potrà più risanare.

 Di voi ho accettato il vostro amore che m'ingabbia. E l'ho voluto, anche. E' stata

                                 la mia conquista. Ora mi soffoca.


 

Io sono qui disperata, ferita, come una lebbrosa e non posso più risollevarmi2 non posso più guarire.

Ing. - Taci, cosa dici?

M. - Si, sì. Io sono soltanto una grande bambola di stracci nelle vostre mani: scema, cretina, schifosa. Salo una bambola di stracci. E non sento più speranza, né illusioni. Non sento più amore.

Ing. - Bella scena!

Hai mai pensato a quando ti accompagno per la strada con due borse della spesa piene di roba. Io non voglio che tu le porti, che tu ti affatichi. Tu cammini con gli occhi assorti, senza curarti di ciò che ti sta intorno.

Ed io ti seguo... così. Sai cosa penso allora, qualche volta? Che sono un servo. Noi siamo il servo e il suo straccio. Non credi che questo basti a salvarci? Ora, scendi dal letto.

I - Prima del grande tramonto spunteranno dal pantano tre piante velenose.

II - Una si chiamerà la soffocante, l'altra si chiamerà la delirante e l'altra ancora la mendicante.

III - Quando spunteranno nessuno se ne accorgerà.

I - Cresceranno nel giro di una notte e l'uomo se le troverà di fronte, grandi come colonne di templi. Proverà ad abbatterle, ma ad ogni colpo d'ascia si sprigioneranno fiamme e scintille.

II - La soffocante avrà poche foglia appassite e la sua corteccia sarà fumo.

M. - La soffocante son loro quelle donne nere che mi soffocavano con la loro meschinità, con la loro mentalità sola depositaria di perfezione, mentre tutto quello che è  all'intorno è criticabile. Solo loro hanno ragione.

III - La delirante avrà tante foglie verdi, ma poca vita.

M. - Vedi la delirante sono quelle donne là, fuori, quelle con i vestiti fruscianti e le mode e le smanie di primeggiare sempre, di cambiare, di rinnovarsi, in una eterna gara di vanità. Per loro io non vedo più lungo avvenire. Crescere significa deporre gli abiti festosi della giovinezza.

I - La mendicante non avrà più foglie perché tutto sarà stato strappato dai bifolchi impazziti.

M. La mendicante è intorno a me. La mendicante siete voi, miei bambini, ogni volta che fingo di nons entire la vostra voce, voi che mi chiamate perché avete paura del buio o perché vi aiuti a fare i compiti.

Sei tu mamma, accasciata nel tuo dolore per me, accanto al mio letto, per cullarmi ancora, anche se avessi i primi capelli bianchi. Il mio dolore è entrato in te, è diventato la tua disperazione ed io non ho mai voluto vederti invecchiare infelice. La vecchiaia dovrebbe essere serena.

Sei tu, amore, che ti senti un servo. Il mio mendicante d'amore.

Mi sento così triste e se non vi aiuto vi strapperanno tutte le foglie.

I -La soffocante dirà: io ti avveleno l'aria.

II - La delirante dirà: io ti avveleno la vita.

III - La mendicante dirà: Io ti avveleno ogni progetto.

M. - Loro con la loro mentalità chiusa e meschina mi hanno tolto l'aria, non mi hanno più lasciato respirare.

Loro con la loro follia, con la loro esibizione sfrontata e smodata di frivolità, mentre il mondo è fatto di lacrime e di sangue, mi rendevano inutile la vita. Voi, voi con il vostro bisogno d'amore schiacciate ogni mio progetto, mi togliete Omero dalle ginocchia.

Voi mi chiamate sempre, avete bisogno delle mie cure ed io devo essere pronta.

I - II - III - Un giorno verrà in cui le tre piante danzeranno un perfido sabba. Si uniranno e il loro esercito sarà l'esercito del malcontento e dell'amarezza.

M. - Io mi sento in agonia, mi sembra di non poterne più.

Ing. - Scendi da quel letto e dammi la mano, insieme, mano nella mano, compagna come nel giorno in cui dicesti sì. Hai promesso.

Mano nella mano: occhi fiduciosi, stellanti di speranza, con le luci dell'albero di Natale riflesse dentro, oppure servo e straccio, ma compagni nella vita, perché loro se ne vadano lontano e noi possiamo proseguire, giorno per giorno.

Lo donne nere si trasformano in strilloni di giornale.

I - Vana caccia agli evasi di Treviso.

II - La babele delle leggi.

III La lira resiste condifficoltà.

I - Due guardie in ostaggio.

II - Restituito ai polacchi l'argento dei patrioti.

III - Dopo 37 anni.

I - Rubò per curare la figlia, afflitta da oligofrenia.

II - Auto bruciate di notte.

Così incomincia il nuovo anno.

III - Volete titoli? Non avete che da scegliere? Tutti per voi in egual

responsabilità. Volete che taccia? Le cose più drammatiche è meglio non dirle?

E la voce di un angelo ammoniva che mancavano ancora 444 lune ai nuovi cieli.

Ing. Vieni, Marta, per favore. Mano nella mano. Insieme.

 


ATTO III

Si apre in campagna, dove Marta e il marito sono andati ad abitare, nella casa dei genitori di Marta.

La scena deve risultare divisa in due partir in modo da evidenziare interno ed esterno. Si deve vedere l'esterno in quanto, oggi, non si può chiudere il

mondo fuori di casa. Esso si insinua violentemente nelle nostre vite, indipendentemente dalle nostre aspirazioni. Anzi la porta deve essere bene in evidenza.

I personaggi fuori dalla casa hanno un atteggiamento, dentro sono come assorbiti dall'ambiente, incapsulati dall'atmosfera che vi regna, in un certo senso

modificati. Se quella porta non ci fosse e se non fosse evidente l'esterno si perderebbe in spontaneità. L'abilità dell'attore potrebbe sottolineare, creare questo pre-ingresso.

In questo atto conclusivo è necessaria tale divisione in modo che risulti chiaro il raggiungimento di una sorta d'equilibrio tra fuori e dentro.

Nd primo atto il mondo esterno indipendentemente dall'aspirazione al "noi due so li" entrava in casa con le persone in visita, con la presenza di Teresa la

collaboratrice famigliare che era l'eco di questa vita di fuori, con l'esigenza stessa dei due sposi di mescolarsi al "fuori casa". Nel primo atto la parte di scena

riservata all'esterno doveva essere presente, piccolissima, simbolica, ma presente. Nel secondo atto la scena era unica. Il mondo esterno con tutte le sue brutture

e difficoltà era l'origine dello scompenso di Marta ed era presente in maniera soffocante con le tre donne nere.

In questo atto c'è l'equilibrio raggiunto. Il mondo che non può essere escluso: è sempre brutto, minaccioso, anzi ha già avuto un peso determinante nello

sviluppo di questa vita familiare. La paralisi che prima aveva afferrato Marta solo a livello psichico è divenuta paralisi fisica, proprio a causa dell'ingerenza

di questo universo cattivo.

Ora, con i figli grandi, Marta ed il marito sono riusciti a costruirsi un angolo di pace, nella reciproca comprensione. I figli che vanno in città, a lavorare, a studiare, che tornano da loro nella ricorrenza più familiare, cioè il Natale, sono il loro tratto d'unione con gli altri, con il tutto che è fuori dalla casa.

La visione di questo tutto attraverso gli occhi puri della giovinezza, attraverso gli occhi saggi della maturità non è più tetra, ma calda.

In questo atto si dovrebbe cogliere il vero calore della famiglia, di cui anche Teresa è ormai parte integrante, ancella-custode.

Nel fuori-casa ci dovrebbe essere il tradizionale albero natalizio, un simbolo che presto potrebbe diventare favoloso come le storie che incominciavano con “c'era una volta…” e che tutti abbiamo amato.

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All'esterno s'incontrano il Sacerdote e il lattaio che sta raccogliendo il suo cestello con le bottiglie.

Sc. - Come sta la Signora?

L. - E' di buon umore, è sempre di buon umore. Sembra ritornata ai tempi in cui era ragazzina.

Sc. - Ricordo. Andai a trovarli, in città, si erano appena sposati. Uscii da quella casa con il cuore pieno di invidia, un'invidia sana. Erano così gioiosi, così assorti l'uno nell'altra. Sembrava che il mondo cominciasee con loro e finisse con loro. Rientrando mi sembrava ohe mi fosse stato tolto qualcosa e sono sempre stato un Sacerdote convinto. Ero un po' malinconico.

Poi avvenne la disgrazia, anni dopo. Quella mattina quando passai dall'ospedale per visitare i malati, come faccio sempre e parlo sempre con loro, l'infermiera mi spingeva verso una camera, mentre io volevo passare subito a trovare i due vecchi ricoverati, sempre in attesa di quei cinque minuti di chiacchiere dall'esterno con me. Mi diceva: E' fuori pericolo, ma forse non camminerà più. Le dica una parola, gliela dica lei.

Entrai. Era là; immobile, bianca nel letto, spenta. Mi vide e girò il capo,

lentamente a fatica. Piangeva e non voleva che io vedessi. L. - La gente può essere molto cattiva, si fa fatica a crederci. Le stava passando l'eaurimento e si sarebbe ripresa. Anche mia moglie, dopo i bambiniv  era sem pre depressa. Se io penso a quella telefonata, se io penso che esistono degli sciacalli ohe possono fare di queste cose. Hanno veleno nell'animo e lo riversano attraverso il filo nero del telefono, lo riversano su chi non se lo aspetta. B000 io credo che queste cose non dovrebbero esserci nel mondo.

Sc. - E' sempre dolore tramutato in veleno, però essi non sanno il male che fanno. La prima telefonata arrivò a sua madre che corse subito, sconvolta da Marta, non camminava neanche più diritta. Diceva: “Un uomo dalla voce roca, spaventosa, mi ha telefonato. Una voce senza volto, rauca, indecifrabile e mi ha detto: Sua figlia è in pericolo, i bambini, i bambini sono in pericolo’.”

Marta si avvicinò alla madre e cercò di calmarla e scherzò e rise, perché i bambini erano lì nella loro stanza. Disse che in tempi così difficili telefonate del genere fioccavano in ogni angolo della città, che i bambini erano tutti lì,

uno per stanza, che non c'era nessuno che potesse voler far loro del male, se già tanto avevano sofferto e il dolore era passato sulla loro casa in maniera

tremenda. Stavano appena raccogliendo i pezzi rotti dei loro vasi e stavano cercando di ricomporre le loro vite. Certo un pazzo, un infelice, uno sciagurato in qualche angolo della città, infelice anche lui, da qualche angolo buio della città aveva telefonato e non bisognava preoccuparsi.

La madre se ne andò. La telefonata agghiacciante arrivò anche li.

Dice Teresa che quando suonò il telefono e la signora alzò il ricevitore sbiancò in volto e teneva la cornetta lontano dall'orecchio, come se fosse pietrificata. In quel momento entrò il bambino saltando alla corda e cantando come faceva sempre una poesiola che gli avevano insegnato a scuola.

         (S'inserisce l'altoparlante con la voce di bambino)

Chiccolino, dove stai?

Sotto terra, non lo sai?

E là sotto non fai nulla?

Dormo dentro alla mia culla. E se tanto dormirai

Chiccolino che farai?


Allora Marta lanciò un urlo disumano e si aggrappò al telefono e cadde per terra e quell'urlo sembrava propagarsi agghiacciante. Cadeva e urlava, era a terra e urlava ancora.

Il bambino rimase con la corda penzoloni in mano.

Chiamarono il dottore, ci fu la corsa all'ospedale. Per un attimo il sangue non era arrivato al cervello.

L. - E così non ha potuto più camminare. Ha sempre avuto bisogno di Teresa..

Un tempo sembrava che dovesse fare progressi più rapidi, invece non ha più camminato, se non con l'appoggio di Teresa o del marito.

Anche questa mattine, stava facendo gli esercizi alla spalliera.

Quasi tutte le mattine quando porto il latte, lei sta facendo gli esercizi.,

Uno, due, tre ... per la mano, uno due tre... per il piede. Mi saluta festosa e mi dice che un tempo la sua vita era scandita dai numeri delle ninne-nanne, ora dagli esercizi alla spalliera. La mia vita è ritmata sui numeri, mi dice.

Sc. - Per anni il tempo di quegli esercizi l'hanno scandito i bambini. Sono diventati grandi di colpo in quel giorno.

(Ancora voci di bambino per altoparlante) B. - Uno, uno ... la mano, due due... il piede.

B. - Coraggio, mamma, noi siamo la tua allegria.

L. - E intanto crescevano.

Anche Teresa è stata unica. La sua famiglia sembrava non esistere più, esisteva soltanto quest'altra casa. Un tempo era sempre malcontenta e poi è cambiata, è diventata più serena. All'improvviso la sua disgrazia. Non se lo meritava quel dolore.


Sc. - Il Signore conosce i figli più generosi e ad essi domanda sofferenza, un po'i più. Il figlio tornava a casa in licenza, nell’abbordare una curva uscì di strada. La macchina era sfracellata in un campo.

L. - E lui, sembra impossibile, stava seduto su una pietra, proprio seduto, con

la testa appoggiata ad una mano, come assorto nei suoi pensieri, senza una scalfittura, morto.

Sc. - Per Teresa l'unica maniera di sopravvivere è stata quella di continuare a

lavorare, ad offrire il suo braccio alla Signora.

L.- Questa mattina sono tutti contenti, aspettano i figli.

Sc. - La vita deve continuare.

Non entrerò oggi in quella casa. Forse riproverei quell’invidia sana. “A” come Amore è un tetto con un'asta ad unire le pareti spioventi e per far appoggiare piccoli uccellini, in attesa che crescano.

Oggi si sente calore di gioventù. Gli uccellini tornano al ramo.

(Si salutano. All'interno della casa il marito accompagna Marta a sedersi in una poltrona accanto alla finestra. Marta è vestita di chiaro. Risaltano le alte scarpe da paralitica, alte e nere, che si sentono risuonare materialmente. La donna avanza strascinando i piedi, appoggiandosi al braccio del marito.)

L.   - Lasciami provare. Guarda, riesco a sedermi da sola, è quasi un miracolo Invecchio e dal mese scorso stranamente mi sento un'energia che prima non avevo. Riesco a sedermi da sola, a mettermi in piedi da sola.

Ma non ci penso nemmeno ad andare a prendere un oggetto su quel mobile. Avrei paura che mi venisse un capogiro, di cadere per strada, di rompermi qualche cosa. Sarebbe troppo pericoloso. Vi creerei troppi problemi. Però il pensare che ce la posso fare, che se voglio posso prendere quell'oggetto, che non debbo sempre chiedere il braccio tuo o di Teresa, vedi, questo è un conforto grandissimo. Mi sembra di tornare a rinascere.

Il bambino con i primi passi soopre un'indipendenza che non aveva e gli piace. Io ritrovo un bene che possedevo e non lo sapevo, non ne facevo alcun conto.

Ing. - Sempre l'indipendenza. Un tempo era la tua ossessione. Non volevi dipendere da me, né dai tuoi genitori, né esser legata, in un certo senso, neanche ai tuoi figli. Era un circolo di dipendenze che ti soffocava. Eri proiettata verso sogni che tutti questi legami allontanavano. Ora ritorna l'indipendenza.

M. - Viviamo di rioordi e di cose presenti che portano il nome di quelle di un tempo e che sono totalmente diverse. Essere indipendenti, oggi, per me è quell che ero allora, quando mi sentivo prigioniera.

Essere indipendente sarebbe non dover sempre dire “per favore e grazie”. Eppure se non potessi dire queste parole sarei di nuovo sola e mi sentirei soffocata, alienata.

Ing. - Ricordi? Vivere nel cuore della città: rumore di macchine, voci di strilloni, luci, incrociarsi frettoloso di passanti. Sembra di non essere soli, mai. Ora mi piace vivere in campagna, su questa collina.

M. - Questa è la casa dei miei genitori. Qui trovo radici, comprensione con la visita quotidiana di don Marino, con Teresa, con te.

La città è lontana: polvere, fumo di scappamenti, nero di gradini e di serrande che si abbassano su vetrine stanche.

Ho bisogno di quiete. Mi piace questo inverno nevoso. L'inverno è la più chiara delle stagioni, la più silenziosa.

Ing. - E' sera. In città le luci rendono il cielo sbiadito. Qui invece il cielo è scuro, greve, colmo, come un grande grembo materno in cui affondare.

M. - Quando ci sonolle stelle sembrano fiori di fuoco.

E' sera ormai e il cielo è chiaro, per il chiarore dalla neve, è un cielo

cittadino, ma pulito, nitido, senza polvere.

Ing. - I pini d'argento hanno ombre quiete e dolci.

Per la prima volta forse stiamo vivendo quello che desideravamo appena sposati.

M. - Stare noi due soli.

Ing. - Aver bisogno così profondamente l'uno dell'altra.

M.- Soli.

Ing. - E in compagnia dei nostri figli.

M. - Un attimo non farli entrare ancora. Un attimo per noi. Sono passati tanti anni, da quando sono stata poco bene...

Ing.-Poco bene...

M. - Raddolciamo anche le parole. I ricordi sono prima e i ricordi sono dopo.

Non bisogna più parlarne, non bisogna ricordare quei momenti. Quell'intervallo di pazzia lasciamolo fuori della porta.

Ing: - Lasciamolo alla città dove le macchine questa sera sono tutte incolonnate, ferme ai semafori e gli uomini pestano pugni rabbiosi sui clacson.

 M. - Dove è una corsa dietro l'altra e polvere e sporcizia e fango.

Ing. - Mi sento sereno in questo momento come un navigante che ha trovato il porto, che ha trovato la pace. E tu?

M. - Zitto, non domandare mai. Le domande sono per chi vuol apparire intelligente, non per chi deve vivere giorno per giorno e cercare le risposte.

E' facile domandare. E le risposte a che servono? Conta solo questo: vivere giorno dopo giorno. Fai entrare i ragazzi, ora.

Ing. - Senti che fermento là fuori. Queste cose che io e te sappiamo loro devono ancora cercarle e faranno molta fatica, come a noi è costato molta fatica. E molto dolore.

                                                                       (Entrano il figlio Sandro e la fidanzata Lucia)

Sd. - Mamma, siamo un po' in ritardo. Qui è a due passi dalla città, ma è come andare in capo al mondo. Ha incominciato a nevicare nel pomeriggio e le strade si sono subito ingorgate. Domani gli spazzaneve riporteranno l'ordine, spazzando via tutto.

L. - Sono tutta infreddolita. Sandro sulla salita si è bloccato e per far ripartire la macchina ha voluto che io, Marina e Michele salissimo sul paraurti di dietro. Un freddo!

Ing. - Hai un faccino bianco e rosso come una mela.

Sd. - E per di più non sperare di riscaldarti. Quassù non solo è difficile arrivarci, come guadagnarsi il Paradiso, ma la casa riscaldata a camini è anche fredda.

L. - Come il Paradiso?

Sd. - Impertinente. Con questo freddo però le fiamme dell'inferno mi sembrano calde, allegre. Sono rosse come il tuo vestito.

L. - Io non ho bisogno dell'inferno, mi accontenterei della città. E' così viva la città stasera! Tutta una luce e gente in festa, carica di pacchetti, le vetrine sono piene di bellissime cose morbide e calde. Sd. - Mamma, te l'ho sempre detto che la casa dei nonni avreste dovuto modificarla. Invece l'avete sempre lasciata uguale. Mai praticato uno sport più emozionante della caccia agli scarafaggi, uno più allegro. Ma ora, guarda le mattonelle, comerano cent'anni or sono ed un unico camino per stanza e grandi stanze, piene di fessure. Il freddo entra dappertutto.

Hai ragione, Lucia e dovrai fare a lungo a meno della mia compagnia, perché come al solito quando vengo qui d'inverno passerò tre quarti della giornata per riscaldarmi sotto la doccia. Un'ora fuori doccia e poi altri tre quarti d'ora sotto l'acqua bollente.

L.- (Estraendo un pacchetto). Per non perderti te lo do subito il regalo: una bella pipa che scalda la mano. E io sono qua vicino. Non lasciarmi sola.-

 

Sd. - E sulla porta d'ingresso c'è il vischio. Hai per caso fatto sosta lì? (Marina tace.)

Non fare il broncio, io a Lucia il bacio gliel'ho dato.

M. - Marina, aspettavo che tu mi telefonassi, da questa mattina. Ero un po' in pensiero. Se avessi saputo che era con te, Michele, sarei stata tranquilla.

Mr. Oh, mamma, l'abbiamo dato tutti e due l'esame. Una cannonata. Trenta e

trenta. L'ultimo esame! Sai cosa vuol dire?

Mi sembra che il mondo non debba finire più, che non ci sia mai stato un Natale più bello.

Ing. - Infatti. (Scorrendo i titoli dei giornali). Anno nuovo giustizia vecchia, la Cina sotto l'incubo della guerra civile, agente ferito durante la cattura di un evaso, indebitati fino al collo, ucciso...

M. - (Interrompendolo subito). Lasciali fuori dalla porta. E' un patto, il nostro patto per continuare. Marina, dì a Teresa di aggiungere un posto a tavola e vedi di offrire qualcosa a Michele. Sandro e Lucia si sono già serviti. Vuoi un bicchierino di ...

Mi. - Preferirei un caffé caldo. Sul paraurti si intirizziva un po'.

M. -faccio venire Rosella, che questa sera è venuta ad aiutare Teresa.

Mc. - Non ci puoi pensare tu Marina?

M. - Non la conosci bene Marina. Non sa fare il caffé in maniera decente. Prepara sempre delle cose nerastre e brodose, con la scusa che lei non ne beve.

Mc. - Perbacco, Marina, e quando aspetti a imparare. Io due uova al tegamino le so fare e se tu sapessi preparare il caffé, dopo la laurea potremmo anche pensare a metter su casa.

M. - (Guardando il marito) Questi discorsi mi sembra di averli già sentiti. Una volta, tanto tempo fa, mi pare proprio di avere incominciato così.

-Mamma, mamma! -  (entrano Matteo e Barbara)

M. - Mi sembra di tornare indietro, quando mi chiamavate tutti, cari i miei sposini.

L. - Matteo ha sempre pensato a sposarsi presto.

M. - Con Barbara si sono fidanzati proprio in prima elementare.

Ing. - Soltanto che allora non avevano le idee molto chiare ed hanno rotto la pro messa nella stessa mattinata. Tu, Marina, lo chiamavi il divorziato e lui come

si arrabbiava.

B. - Mi rioordo. Marina si irritò moltissimo perché Matteo mi regalò come pegno di fidanzamento un anello che le apparteneva, che aveva trovato nell'uovo di Pasqua e venne a richiedermelo, ma io l'anello l'avevo già regalato al mio nuovo fidanzato, Alessandro, che mi donò un orsacchiotto di pelo di suo fratello. Non si può negare che avessi senso degli affari.

Mt. - Infatti, dopo essersi fidanzata ed aver subito rotto la promessa con tutta la parte maschile della classe sembrava Babbo Natale. Era carica di doni.

B. - Purtroppo mia madre mi fece restituire tutto.

Mt. - E fece bene, perché ci eravamo messi d'accordo tutti per darti una solenne lezione.

B. - Tu avresti dovuto difendermi. In fondo sei stato il mio primo fidanzato e sei il mio primo marito.

Mt. - Grazie, obbligato!

B. - Purtroppo credo ohe non avrò occasione di cambiare. Siamo cresciuti insieme, ci conosciamo così bene, che il matrimonio non potrà riservare alcuna sorpresa per noi. Vivremo dieci, vent'anni insieme, trenta, cinquanta, cosi senza scosse.

M. - Barbara, io te lo auguro che sia cosi. Eppore credimi possono sempre venire lo sorprese in un matrimonio. Anche quando ci si conosce da sempre, anche quando si è fatti l'uno per l'altra.

Ing. - Anche quando si crede di non poter desiderare niente di più di quello che si ha. Non si può ipotecare la vita.

Adesso, ragazzi, andate a prepararvi? Teresa vi ha preparato un albero favolo so in giardino e quando è cessato di nevicare ha portato fuori i regali, uno pe* ciascuno, come quando eravate bambini.

M. - Voi vi siete ricordati, vero, del regalo per Teresa?

Sd. - Certo, mamma, io e Lucia le abbiamo portato uno scialle di lana. Glielo ha fatto Lucia. In cucina val poco, ma per lavorare a maglia è bravissima.

Mr.- Io, mamma, invece le ho preso un profumo di quelli chic. Teresa qualche volta è un po' vanitosa.

B. - Invece noi due abbiamo una sorpresa, una sorpresa per tutti.

Mt. - Se la dici non è più una sorpresa. Ve la diremo soltanto sotto l'albero di Natale, deve essere un segreto.

Sd- Ve la daremo, si spera, che noi non ci accontentiamo di parole.

B. - Interessato!

Ing. - Andate, ragazzi, andate di là a dare una mano. La mamma deve prepararsi per la cena, deve stare un poco tranquilla. Anzi vengo anch'io.

(Rivolto alla moglie) Ti mando Teresa.

(Escono tutti ed entra Teresa)

T.- In questa casa non si finisce mai, sembra che il lavoro cresca, mette semi. Un tempo erano piccoli, adesso sono grandi ed è peggio.

M. - La mia brontolona.

T. - Che allegria questa sera! Se ci fosse anche mio figlio! M. - E' qui con noi. Vive in noi.

T. - Io non dimenticherò mai, come fosse quel giorno, quel giorno quando l'hanno trovato in quel prato, senza una scalfittura, così sereno.

M. - Parla, parla Teresa. Loro non devono sentire, ma noi possiamo parlarne, ci fa bene.

T. - Era come seduto su quella pietra, con la testa appoggiata ad una mano, calmo, tranquillo ed era morto.

La macchina era tutta accartocciata e lui invece non aveva un segno. L'avevo cresciuto così forte, calmo e sereno.

M. - Però tu lo vedi, Teresa, tu gli parli, non ti ha lasciato sola. E' qui vicino. Gli altri non lo sanno. Non ti ha lasciato sola. Questo conta.

T. - Questa è una cosa che sappiano solo io e lei, signora. Di notte, quando mi sveglio e sono disperata e lo chiamo, ecco che all'improvviso lo vedo vicino a me. Mi parla e mi dice che devo stare tranquilla che non vuole che io pianga. Lui sta bene, mi dice. Mi fa vedere la catena che gli regalò lei, quan do si diplomò e credevamo che i nostri sacrifici fossero finiti. Credevamo di essere in porto.

Mi dice: Non aver paura, mamma, sto bene, mamma, e ti sono vicino. Non aver paura, mi ripete sempre queste parole.

M. - Cara Teresa, non so cosa avrei fatto senza di te. A un certo punto ho avuto tanto bisogno del tuo braccio che sei diventata per me come una gemella siamese. A volte mi sembra che noi abbiamo un solo cervello diviso in due, un solo dolore.

T. - Quando ho avuto bisogno lei sola mi ha dato una mano.

M. - Tutti ti vogliamo bene, tutti ti vogliono bene. Io ho sofferto con te, perché tu venivi nella nostra casa. Noi non avevamo segreti per te e tu sei diventata una di noi.

Quando tornai dall'ospedale e non potevo più camminare, tu avevi ancora tuo figlio; io avevo mia madre. Ti vedevo lavorare umilmente, senza risparmio e ti ammiravo, nello stesso tempo sentivo come una ruggine antica. Quand'ero sposina bisticciavo sempre con te. Ci son voluti molti anni per capirsi.

Ora quando al sabato mi accompagni in bagno e mi metti un asciugamano intorno alla vita, perché raccolga le gocce d'acqua e perché non cadano su queste bruttissime scarpe che costano tanti soldi e che sono così utili, perché senza di esse non riesco a stare in piedi)e tu sei così paziente e io vedo i tuoi capelli bianchi e sento un rimorso per quando mi sembrava che i tuoi occhi deformassero l'immagine del mondo.

Vedo la tua pazienza, la tua umiltà, il dorso curvo per la fatica e mi pento.

T. - Come le piaceva fare il bagno!

M. - Sguazzare nell'acqua tra la schiuma profumata di sapone sotto la doccia calda e fredda, mentre la pelle respirava, si puliva.

Ora sono un groviglio di nervi doloranti e non posso quasi toccare l'acqua.

T. - Ora la mia famiglia è la sua, l'unica persona che mi ha teso una mano quando soffrivo è stata lei.

M. - Vedo il tuo dorso curvo di fatica e gli occhi che l'età appanna e il viso che sbianca di vecchiaia e sento un rimorso.

T. - Nella mia vita ho conosciuto solo lavoro.

M. - Un tempo bisticciavamo sempre. Non c'era giorno che tu non brontolassi e che io non mi risentissi per delle stupidaggini. Ero convinta di non riuscire a capirti perché eri comunista. Per me i comunisti erano solo: il muro di Berlino, i carri-armati in Ungheria e quel tale Lenin che diceva che sulle teste bisognava martellare per convincerle. I comunisti mi erano molto antipatici.

T. - Per me era un'ancora, signora. Per me era sentirsi in compagnia tra l'allegria delle bandiere rosse. E poi pensavo che il Partito, i compagni avrebbe ro potuto aiutare mio figlio. Ero convinta che lì avrei trovato le sole persone disposte ad aiutarmi.


M. - Io invece, che non sono mai stata molto intelligente pur mettendoci sempre tanta buona volontà per arrivare a capire, io non riuscivo a capire perché certe volte un comunista possa essere così simile ad un missionario, un missionario possa essere un fascista, un comunista possa essere un fascista, perché a seconda dei cieli e dei climi con nomi diversi ci possano essere persone così simili. E’ come cambiare l'etichetta e la bottiglia rimane sempre la stessa. Forse me l'ha insegnato mia madre.

Un tempo distinguevo in dottori buoni e in dottori cattivi e la mamma diceva che non esiste questa distinzione, che il medico accomuna tutto. Il fondo comune di dolore umano, la necessità di prendere una decisione di vita o di morte diventava un comune denominatore per quei professionisti. Potevano agire in una maniera o in un'altra ma si sarebbero sempre trovati di fronte a questa pietruzza gettata in loro, scomoda, pungente, con cui fare i conti alla fine.

Come non si può dire dottore oomunista o fascista o dottore dagli occhi verdi o neri, perché tutti hanno quella pietruzza dentro, così che senso ha sognare la vittoria del marxismo o del socialismo o del populismo di fronte a queste nostre piccole vite?

Forse me l'ha insegnato Omero.

Il tempo passa e livella i nomi ma non cancella il rioordo dell'uomo onesto,

cosciente, responsabile. Io non ricordo Troiani buoni e Achei cattivi o viceversa, ricordo Ettore, Achille, Patroolo, Priamo.

Tu mi lavi, tu mi pulisci, io con te divido sofferenza e pazienza. Siamo solo due esseri umani. Ogni colore, ogni ideologia al disopra di questo per noi è solo vernice.

Tu mi apparecchi la tavola, entri in tutta la mia vita. Io ho un cuore solo con te e con te vivo il dolore per tuo figlio. Me lo ricordo, quando in questo stesso giardino potava gli alberi. Era giovane e forte e pensavo che il mio giardino
sarebbe sempre stato curato per opera sua. Era come una di quelle piante là fuori, forte, vigoroso. E' passato il tempo. Le piante sono diventate grandi, sono cresciute e ora lui non c'è più e le piante sono ancora là fuori, grandi e rigogliose per le sue cure. Però lui è ancora qui, con noi. Stasera è vioino all'albero di Natale, nel suo giardino. Le bandiere rosse non gli sono servite a niente, non gli hanno dato niente.

Un tempo io mi affannavo per Omero...


T. - Sempre lui. Un tempo mi veniva il nervoso a sentirne parlare, ma ora, ho capito. Ne parli, le farà bene.

Pensi che a causa di Omero non sono più capace dí dire "faccio i cavoli miei". Mi sembra volgare.

M. - Volevano giocargli un tiro tremendo al mio poeta, volevano mettergli un' etichetta. E io mi arrabbiavo, mi sembrava ohe avrei dovuto salvarlo chissà da- quali sacrilegi. Che sciocchezza... Lui sapeva che un giorno saremmo state qui, tu ed io, come nei suoi libri, non serva e padrona, né colf e datrice di lavoro* ma nutrice e regina, Euriclea, l'ancella di vasta fama, regina d'ancelle, la chiara nutrice ed io, Penelope, l'attesa, la pazienza, la sposa, la madre.

Lui non aveva solo una pietruzza di dolore nel cuore, ma un dolore immenso, smisurato e anche tanta delicatezza gioiosa, come un dilagare di luce dal cielo.

 

(Da oltre la porta giungono le voci di Sandro e Lucia, che sono fuori)

Sd. - Come stai bene con il tuo abito rosso. Dammi un bacio sotto il vischio* sembri la ragazza del cartellone di cui parlava la mamma.

L. - Se lo avessi saputo Sandro, non avrei messo questo vestito. Mi sembra che tuo padre e tua madre mi giudichino solo una farfalla, sgargiante.

Sd. - In questa casa noi amiamo il colore, soprattutto la mamma. Tu sembri una grande fiamma calda e io ti farò sedere a capotavola di fronte al caminetto, perché il riflesso del fuoco cada sul tuo vestito, sui tuoi capelli, nei tuoi occhi.


L. - Tua madre è così aristocratica, io mi sento disapprovata.

S. - (Rivolgendosi a Marina che è sopraggiunta). Marina, tu credi che mamma disapprovi Lucia?

Mr. - Non credo, mamma non ha mai disapprovato. Mamma ha sempre pensato una cosa e l'ha sempre detto anche quando eravamo piccoli che non importava essere intelligenti, ma cercare di capire. Una volta mi aveva portato a visitare da una professoressa che mi voleva dare una cura molto lunga e questa l'aveva strapazzata un po', perché mamma esprimeva dei dubbi, delle incertezze. Le aveva detto che non bisogna aver paura dèlle medicine, ma delle malattie e che non conta avere una laurea. Ci sono delle persone che capiscono anche senza laurea e mamma faceva di sì con la testa e si scusava che le mancava la preparazione per capire.

Poi in strada piangeva. Io le stringevo la mano e le dicevo: non devi soffrire. E lei mi gridò. Piango di rabbia, perché non posso accettare a scatola chiusa. Io mi sforzo di capire. Questo è l'importante. Io sono una laureata cretina, ma lei è una professoressa senza garbo. Io voglio capire, per capire devo parlare, esprimere un dubbio se ce l'ho.

Sd- Marina ha ragione, la mamma ha ragione. Io da quella donna del cartellone non volevo solo l'abito rosso e la fiamma che fa avvampare, volevo anche che parlasse e tu parli. Per questo mamma ti ha raccontato quell'episodio. Perché tu parli.

Mr. - Parlarsi, capirsi. Tu, Sandro eri piccolo, non puoi ricordare, ma altre volte non solo quella della professoressa, ho sentito mamma piangere. Bisticciava con papà che le diceva che non capiva niente e lei si offendeva. Dirle non capisci era come toglierle la gioia, l'energia.

T.- Signora, sente che allegria di là. A Natale, quando ormai eravamo una famiglia sola, il mio Alberto aiutava i bambini a preparare l'albero là fuori. Lui non ne aveva mai preparati prima e si divertiva. Eccome! I bambini correvano intorno con le sciarpe colorate e lui mentre appendeva le luci fischiettava una canzone.


                (Teresa dà gli ultimi tocchi a Marta)

M. - Hai visto quanti fili d'argento ho nei capelli rispetto all'anno scorso?' Sembra che io mi sia fatta le mèches. Un tempo la mia bellezza mi sembrava naturale e che ben altre cose importassero al mondo. Questa sera sento un desiderio di cose eleganti e morbide come diceva Lucia.

Questa sera vorrei uscire fuori con le mie gambe, dritta, sana, bella in questa maniera. Un tempo avevo tutte queste cose e le disprezzavo, mi sembravano orpello, stagnola. Che follia!

Lasciami provare. (Facendo l'atto di alzarsi). No, e se poi cadessi e se mi

 rompessi qualcosa, alla mia età.

Oh Teresa, Teresa, non posso, non posso uscire là fuori.

T. - Dobbiamo andare dai bambini, da Alberto. Ci aspettano intorno all'albero. Sono tutti là fuori.

M. - L'unica maniera di sopravvivere a chi se ne va prima di noi è di pensare che è ancora con noi. Io non posso uscire, neanche se me lo dici tu, ma lì, nell'angolo di fianco al caminetto, c'è mia madre. La vedo e sai cosa mi sta dicendo?

Mamma - Non ti ho allevato così. Tu devi partecipare alla festa. Non puoi rovinare la festa degli altri.

M. - Mamma, non posso, non posso proprio.

Mamma - Povera bimba mia. Sto bene, sono qui, vicino a te, sono serena, non darmi dolore. Fallo per me.

M. - Mamma, hai ragione: l'importante è andare. L'importante è uscire perché vivere è continuare, forse.

T. - E' signora, è.

 

L'altoparlante amplifica un incrociarsi di “forse”  e di “è”, ma una “è” aperta come la può dire un bambino piccolo.

M. - Senti,quando Sandro imparava a leggere la è accentata, per distinguerla  dall'altra la diceva proprio così.

Se non fosse stato per loro i bambini non avrei resistito tanto a vivere. T. - Coraggio, signora. Questa sera è più bella di quand'era sposina e c'è tanta allegria. Barbara mi ha detto il segreto, mentre mettevamo le candele sulla tavola. Ha detto che le emozioni possono far male e che voleva che lei lo sapesse prima. Un bambino, capisce, un bambino.

Matteo e Barbara aspettano un bambino. Non è il più bel regalo di Natale?

Aspettiamo un bambino!

Se sarà maschio lo chiameranno Alberto, mi ha detto. Sarà un maschio.

Aspettiamo un bambino.

M.: I bambini…Se non fosse stato per loro, non avrei resistito tanto a vivere.

 

 

M. - Mamma, vado. Hai ragione tu, devo andare, mi chiamano. Dì a quella donna nera, quella che sta appoggiata all'altro angolo del caminetto, sempre lei, irriducibile, di andarsene. Non può andarsene, ma cosa vuole dire, ancora?

I - Fuoco e fiamme cadranno dal cielo, le acque degli oceani diverranno vapora e la schiuma si innalzerà sconvolgendo e tutto affondando. Milioni e milioni di uomini invidieranno i morti. Vedi? Il tempo si avvicina sempre più e l'abisso si allarga senza speranza. I buoni periranno insieme ai cattivi, i grandi con i piccoli. Non serve chiudere la porta. Non si può essere soli in due.

in quattro, né in cinque, né in una famiglia. E' un'illusione. Il mondo soffre.

M. - No, non voglio pensare, oggi.  ηδύ   μή φθονεĩν  λίαν

T. - Cosa dice, signora?


M. - E' la dolce lingua degli oracoli, la lingua di Omero.

T. Mi  sembra la lingua del  gatto.

Ci aspetta un bambino.  Andiamo.

Ing. - (Aprendo la porta) Sei pronta, Marta? Dammi la mano.

T. - Siamo alle solite, ingegnere. Un tempo quando girava il mondo a sua moglie venivano le malinconie, ora se lei gira in un'altra stanza e le t ornano. ng. - Di nuovo?

M. - Ho sognato l'Apocalisse,.

Ing. - Credi che fosse meglio al tempo dei Tartari, di Attila, di Hammurabi con le sue prime leggi?

Non pensare a sciocchezze malinconiche. Marina ci aspetta per dirci una poesia. Questa sera si sente bambina e vuole recitarci la poesia di Natale.

Pensaci, Michele a sposare un'innamorata della poesia, pensaci due volte.

Si sentirà sempre sola, assorta in un suo mondo, e ti lascerà un poco solo.

M. - Abbiamo faticato a capirci, è stata una conquista. Abbiamo imparato a-rispettarci anche nelle nostre diversità.

Mc. - A me basta che Marina impari a fare il caffé.

(L'attrice che impersonerà questa giovinetta dovrebbe avere l'aspetto puro della fanciulla sulla spiaggia di Fellini, di profilo con la bionda coda scolpita. Deve essere una promessa di innocenza. Ma non è necessario, che abbia la coda di cavallo o l'aurea coma religata delle romane di Orazio da contrapporre alle donne barbare. Ogni epoca ha il suo simbolo d’innocenza,il suo desiderio di purezza in un volto giovane. Il Novecento ci ha abituato anche al consumo di questa immagine, quasi una all'anno o per non esagerare una ogni dieci anni. Questo non ha importanza.

La scelta di questa attrice, però, deve essere scelta di un volto simbolico, attuale, moderno, ma un volto di giovinetta intatta).

Mr. - Ho scelto una poesia per il nostro Natale, per la gioia di essere insieme, per tutti noi ed in particolare per Barbara e per Matteo, per la luce nuova che hanno negli occhi. (Marta Si volge verso l'albero di Natale)

         (E Marina dice la poesia)

                                                                                Madre senza dono

né grande né piccolo,

sognando a mezzanotte

genero mio figlio nudo.

Nell'aria delle Ande

e sulla dura stoppia

do l'unico mio dono

a mio figlio nudo.

Non c'è vento della Puna,

che così acuto sibili,

come fischia chiamandoti

       il tuo bimbo nudo.

Il mio Dio vede ogni corpo

ed io aiuto il mio Signore

dandogli nella notte sante

il mio figlio nudo

Non c'è vento della Puna,

che così acuto sibili,

come fischia chiamandoti

il tuo bimbo nudo.

Il mio Dio vede ogni corpo

ed io aiuto il mio Signore,

dandogli nella notte santa

 il mio figlio nudo.

Il palcoscenico si è oscurato a poco a poco.

Rimane solo l'albero illuminato. (O. Mistral, Natale Indio)

                

 

 

 

 

 

 

 

                             ROGNA   (atto unico, 1978)

 

                          

La motivazione della Giuria fu poi che avevo vinto la medaglia d’argento, cioè il II Premio,  per i valori cristiani del testo: e questo mi fece piacere.                     

 

Due personaggi, indicati con le cifre romane I e II

II.- (Tempo di recitazione di questa battuta a ritmo di marcia rapida). Ambarabà-ciccì-coccò: tre scimmiette sul comò/ che facevano l'amore/ con la figlia del dottore/ il dottore la sgridò/ ambarabà-ciccì-coccooò! Che strano! Oggi ho voglia di filastrocche e non mi sembra abbiano un senso.

I.- Che strano! Ho una sensazione... dio, che fastidio! Una sensazione senza senso.

II.- Ti stai grattando.

I.- E’ vero, mi gratto... ma è un prurito strano. Dappertutto. Come se venisse da dentro.

II.- Perché ti stai coprendo gli occhi?

I- Mi copro gli occhi? .. è vero… Perché mi osservi?

II.- Perché ti gratti gli occhi?

I.- Non so... è vero, mi sto grattando gli occhi. Non ho voglia di vedere, mi prudono gli occhi. Sto meglio se li chiudo.

II.- Smettila di grattarti. Sembri con cento mani. Ti prudono anche le orecchie per caso? Le stai tormentando? Non è igienico. Ti fai solo del male. Ambarabà-ciccì-coccooò!

I.- Smettila. Non ho voglia di filastrocche. Oggi meno del solito. E' per la sensazione. Mi fanno prudere proprio le orecchie e le tormento per non sentire.

II.- Ambarabà-ciccì-coccooòl!

I.- Smettila, smettila, smettila..., il prurito mi si sta spostando alle labbra. Come quando hai sete e se stai a bocca aperta, la sete aumenta, così devi chiudere la bocca. Non devi più parlare. Puoi fare a meno di parlare.Gratto, gratto, gratto dappertutto, è un tal fastidio...

II.- Sarà lebbra. Per me è una forma di lebbra. Credi anche tu ci siamo tante lebbre? L'orticaria fa prudere e non intacca il dentro. La tua de ve essere una lebbra se viene dal dentro, se arriva fino al dentro. -

I. Snfff! (rumore che si compie soffiando dal naso a labbra chiuse per dissentire). Nobile chiamarla lebbra. Han perfino dipinto un Cristo lebbroso.

Credi a me, la mia non è una nobile lebbra. E’ soltanto qualcosa che fa prudere e fa venir voglia di sottrarsi a tutto questo perché non pruda più.  E' qualcosa che fa venir voglia di non vedere, di non ascoltare, di non parlare. La chiamerei in un'altra maniera. Non, so...

II.- Ambarabà-ciccì-coo...

I.- (Interrompendolo): Rogna, la mia è una rogna. Qualcosa che va bene per gli animali.

II.- Coccooò! I.- Ma perché canti proprio le tre scimmiette?

II.- Non so, così.

I.- Oh dio, ti stai grattando anche tu?

Una scimmietta sul comò chiude gli occhi, l'altra si tappa le orecchie,l'altra è muta. Non sembra a caso.

Anche tu ti stai grattando, deve proprio essere rogna. Ti ho contagiato, Deve essere questa sensazione che non stai in pace se non l'attacchi ad un altro. Come il raffreddore.

II.- No, quando hai attaccato ad un altro il raffreddore, tu guarisci. Invece tu stai grattando a più non posso.

I.- E' vero. E' difficile guarirne da questa sensazione. Non può essere che rogna.

II.- Scusami, ho cominciato io il discorso della rogna. Non devi crederci subito. Le mie devono essere solo fantasie da inquinamento. A volte sento il mondo percorso da una grande allergia e forse mi giustifico, ma potrei essere l'unico inquinato della terra.

I.- Credi che Cristo tornerebbe a baciare un lebbroso, anche se fosse soltanto un rognoso e non un lebbroso?

Voci insistenti si accavallano:"Dammi un bacio, dammi un bacio, dammi un bacio."

I.- Smettetela! Non sarebbe nemmeno un atto di coraggio. Non è nemmeno lebbra, soltanto rogna forse. Non sto cercando il palliativo di un bacio al prurito da rogna.

Senti anche tu queste voci? Chiedono l'elemosina, mi pare. Sono tanto insistenti. Le sento solo io? Sono le mie orecchie armai infette a sentirle?

II.- Stai cercando risposte per chi non ha bisogno di risposte. Chiederanno sempre. Oltre tutto qui non c'è nessuno. Davvero.

Di nuovo:"Dammi un bacio, dammi un bacio, dammi un bacio."

I.- Basta! Le sento queste voci. Se non sono qui, vengono da fuori.

II.- Fuori non c'è nessuno. Anzi ci sono persone fuori. ma parlano in un altro modo. Se vai per strada al massimo ti chiedono una sigaretta da accendere, non un bacio.

I.- Dio, che fastidio. Eppure le sento, ci sono e dicono proprio così. Devono venire da lontano. Sto girando nel palazzo degli specchi e sento voci impossibili. Eppure la mano che tende il filo per uscire dalle illusioni ci deve essere.

Cristo distribuiva baci senza compromettersi, osava il troppo, il di più. Non chiederei che una mano, un filo-guida attraverso il labirinto delle illusioni.

II.- Incomincia a lasciare in pace Cristo. Era solo lui. Il confronto è proibito. Che ti ha fatto per tirarlo in ballo?

I.- Ho l'impressione che sia stato lui a tirarmi in ballo. C'è stato,dicono. Una volta. Quelle parole sue non possono averle inventate in tanti. Solo Cristo, un Cristo può esserci riuscito a dirle.

II.- E allora?

I.- Poi, poi è andato via a pellegrinare. Qualche volta provo la sensazione che sia tornato, che ci sia lì vicino. Vicino a me. Dicono che bussa ad ogni porta.

II.- Senti bussare?

I.- No, sarà il vento. La porta cigola soltanto.

E poi, te lo ripeto, non voglio ascoltare, né vedere. Parlo ancora perché prestissimo, lo so, verrà un momento che non vorrò più parlare. Come i ciechi, i sordi, i muti, sai che sarò?

Una statua di sale.

II.- Scusami ma non capisco il tuo problema. Mi fai passare quasi voglia di filastrocca. Questo non te lo perdonerei.

Ambarabà-babà... diavolaccio! Te l'ho detto, mi riesce già meno bene. Diavolaccio, perché quando è vicino questo tuo Cristo non corri da lui? Quanto a me, lasciami filastroccare in pace.

I.- Perché sembra solo vicino. E' lì tra me e l'angolo della via. Se corro, lui fa sempre in fretta a svoltare. E’ una figura che va. Sembra fermo e all'improvviso è troppo veloce e mentre corre non mi riesce di tenergli dietro e all'improvviso mi ritrovo in solitudine.

Mi guardo intorno e mi viene questa voglia tremenda di non poter sostare, questa inquietudine. Per non esagerare, proprio questo prurito.

Ci sono delle cose intorno e si fanno sempre più vicine e sento il prurito, giù giù, sempre più giù. Prima è in superficie, poi mi si attacca alla pelle, poi scende alla gola, poi entra dentro. E’ come un'infezione. Dio, che fastidio!

Il.- E allora?

I.- Allora devo resistere.

II- Come fai a resistere al prurito? E' come il singhiozzo, un fatto fisico. Ma che ti succede? Stai singhiozzando anche?

I.- No, io non singhiozzo. Devo solo resistere per diventare soltanto respiro e marmo. In fondo anche i cani vivono in pace, finché qualcuno non scopre che quel cane ha la rogna. Allora il cane è costretto a scappare.

II.- Anche se non ha la rogna?

I.- Certo, deve scappare. Dai al cane, dai al cane, acchiappalo, gridano e lui scappa, scappa. E la rogna ce l'ha davvero. Ormai ce l'ha dentro, gliela hanno messa dentro.

II.- Ambarabà-coccòòò, oooh, ooò, oò (sempre più tristemente con voce cupa). Non si può più così. Fra un po' oltre al contagio da prurito mi viene quello da singhiozzo. Così non si può andare avanti. Parliamone di questa sensazione di nausea. Razionalizziamo. Secondo me il tuo difetto è l'intuizione che è anche istintività e quasi sempre fantasia. Devono essere lucciole le tue vagabonde alla cerca del loro paesello, scambiate per lanterne in processione. Tutto lì. Aspetterò qui ancora un attimo che tu capisca. Poi esco a filastroccare. In questa casa non si può più. Neanche filastroccare. Più niente.

Mi andrebbe sai di star calmo e non arrabbiarmi, è che a questo punto non si può più. Proprio più.

I.- Sono queste voci altrui che mi spaventano, non lo faccio apposta. Sono l'infezione.

II.- Ma se non ci sono. Fuori non c'è nessuno.

I.- Quelle voci che vogliono tirarti a condividere. Ti imbarcano e poi...

II.- Oh sì, è più che certo, se le ascolti darai non un bacio al lebbroso, mille baci. Non finisce lì.

I.- Dannatissimo quello che un giorno passò e lo dissero in tanti e a volte sembra vicino, ma se gli corri dietro subito si allontana e ti vuole spintonare da tutte le parti e ti muove fin dentro. Lui ha voluto il comune e le strade da percorrere insieme.

Mi difenderò, sai. Chiuderò le finestre, ogni finestra, le porte, la porta di casa.

II.- Dobbiamo averlo già fatto e non serve più che tanto.

Il contagio è già qui. E' rimasto dentro. Tra noi. Una semplice rogna, ma pur sempre una rogna.

Gratti, gratti e mi hai già attaccato il contagio. Perché diavolo rovinarsi la vita, per non venire a capo di niente poi?

Per me solo cose concrete meritano che ci si muova. Quelle tue storie del Cristo.. Scherzavo, sai, quando parlavo di lebbra. Se non c'è un motivo concreto di prurito, si passa ad altro e il prurito poi passa. Smettiamola, pensiamo ad altro.

I.- Dio, dio che inquietudine! Come la voglia di preparare una valigia in fretta.

II - Già, partire, scappare da ogni problema, da ogni piccolo prurito. Purtroppo non c'è un pianeta cui approdare, diverso da quello terra. E tu continui a grattare, non riesci a fermarti. Smettila!

I.- Hai incominciato tu.

II.- Ok, tu?

I.- Ma io, vedi, se sto senza sentire, ad occhi chiusi, senza parlare, un pianeta diverso da questa nostra terra, riesco talvolta a vederlo.

II. Com'è?

I.- Non so spiegare. Incomincia così. Cercherò di spiegartelo.

Ecco: c'è tempesta, tuona, fa freddo. S'apre la porta ed entra una creatura diversa. Ha una luce negli occhi. Ride e parla, ti fa paura e ti affascina. Viene da lontano. Deve venire da molto lontano. Se il mondo è fatto di uomini, deve esistere un mondo diverso, di uomini diversi da qualche parte, non solo di lebbrosi inerti o di rognosi silenziosi che  ti attaccheranno il contagio della loro miseria.

II.- Non posso vederti grattare così e grattare anch'io senza senso. Non c'è niente di concreto.

Nemmeno tu puoi credere davvero a questo mondo diverso. Ti illudi soltanto che esista il non comune, il diverso. Lo sai bene. E' solo la proiezione di un tuo desiderio in quel momento.

Prova: piove, tuona, fa freddo, apri la porta. Fuori non c'è nessuno.

I.- Bussano, non senti? Qualcuno continua a bussare.

II.- Se bussa un viandante ha gli occhi ciechi anche lui. Si è fermato perché era così buio che ha perso la strada, ma la tua casa non è la sua e proseguirà.

I.- Senti, bussano. Incomincia così.

II- Già, deve essere il tuo Cristo che viene. Avrei voglia di partire per sottrarmi, ma farei solo del moto. Partirei in ogni momento, per non vederti grattare. E per non dover grattare anch'io. Così mi fermerò ancora invece. A vedere. Apro la porta?

I.- Dio, dio che inquietudine. Non si può star fermi. Guarda la porta. Trema.

II.- E' il vento.

I.- Dio, dio non tapparti gli occhi ad ogni costo e non scherzare. Io ho creduto davvero qualche volta di sentirlo bussare e di vederlo all'angolo della via. So che c'è. E' così difficile raggiungerlo. Corre tanto in fretta. E’ alle spalle e già avanti, indietro e oltre e non cessa di chiamare. Perfora ogni silenzio. Ti smuove e tu vorresti farne a meno. In fondo non vorrò mai una nobile lebbra, la mia è solo una piccola rogna da guarire con spry per cani e non aspetto nemmeno che bussi, nemmeno che chiami Lui.

II.- Eppure bussano.

I.- Sarà il vento...

La porta si spalanca di colpo come sbattuta dal vento, si sente una fresca risata di fanciulla.

II.- Chi sei? Bionda e gentile. E ridi a fossette. Da dove? Chi?

Ondina:-(Ridendo), una volta ero Ondina, proprio quella della favola, me l'hanno raccontato. Arrivai in una piccola casa di pescatori in una notte come questa. Poi sono successe tante cose. Non me le ricordo più bene. Il padre mio del fiume mi lasciò dimenticare. Ho dimenticato tutto. Dimentico sempre tutto. Ora vendo cose alla gente, di casa in casa. Solo quando fa tempesta, perché il colpo di vento mi apre le porte. Con la diffidenza che c'è adesso, non farei affari se no. Guardate qui: collane, orecchini, occhiali rosa da spiaggia. E' il mio pezzo più raro. Con questi occhiali rosa, si vede tutto in rosa.

Provali anche tu, vieni alla finestra.

II.- C'è un limite a tutto.

On.- Su, dici che rido a fossette. Lasciati convincere.

II.- Non mi va di fare lo scatto inutile alla finestra. Non c'è niente da vedere.

I.- Una domanda sola: non sarà che hai tutto dimenticato, perché prima hai voluto vedere tutto?

On.- Mah.. Non so. Forse. Devi aver ragione. Ma tu chi sei? Chi è? Un animale? Parla e non ha aspetto umano.

II.- Una persona.

On.- Chi? Da dove? Perché?

II.- Soltanto una persona rognosa. Lì c'è la rogna, sai. Attacca il contagio. Se incominci a grattare anche tu non la smetti più. E ti ferisci.

On. - Come la metti giù grossa. Il mio padre fiume mi ha lasciato fare e poi mi ha riaccolto ed ho anche dimenticato e di solito sono felice. Un po’ di malinconia, qualche volta,c'è anche per me, quando penso a chi non vuole o non sa essere felice. Solo un poco.

Però ora ho un rimedio formidabile: gli occhiali rosa. Provali.

Su coraggio. Cosa vedi?

II.- No, lascia stare. Guardo con i miei occhi.

Vedo bambini. Vanno a scuola. Quasi tutti senza grembiule. Per novità. In fondo il grembiule era solo un'apparenza di uguale, di ordine e di pulito. E' una storia di qui, Ondina.

Con colpo d'occhio di uguale e di istruzione per tutti.

On.- (ridendo) Vuoi dire che qualcosa nella tua storia non ha funzionato? Non lo sapevi che in tutte le storie, in tutti gli ingranaggi salta una rotella?

II.- A voler razionalizzare-che è la mia mania- anche senza grembiule i bimbi sono abbastanza uguali. Almeno nelle pazze corse e nei giochi sfavillanti di allegria.

On.- Avevo ragione. E' una storia tranquilla senza salti di rotella, l'eccezione che conferma la regola.

II. - Ondina, qui da noi non è così semplice. Sembra una cosa ed è l'opposto.

Sei un'incosciente! La sei sempre stata e se non fosse per occhioni, biondo di testolina e fossette te l'avrebbero già detto. Non impicciarti. Forse è meglio.

(Lentamente scandendo le parole con tono cupo): quei bambini là fuori diventeranno diversi, grembiule o no. Questo non mi disturba. Il di verso è inevitabile, come chi resta alto e chi piccolo, chi più bello e chi più brutto. Diventeranno tremendamente diversi nel cuore, nell'animo. Mortificati e violentati. E' così facile rendere violenti i bimbi. Basta lasciarli scatenare senza freno, offenderli ed incitarli non solo a difendersi anche a vendicarsi, incitarli finché il gioco non si fa cru dele.

On.- No, non così. Guarda di nuovo. Con occhi rosa.

II.- Cioè?

On. - Basta che si sentano tutti belli, ricchi e felici. Saranno uguali, Non è questa la rotella da mettere a posto? Dar loro l'illusione.

Ti passo le dita sugli occhi, così stanchi e che fanno tanto male e bruciano. Guarda con occhi rosa.

Rosa di speranza, rosa quasi rosso come al tramonto, rosso di sera bel tempo si spera.

II.- Devi essere venuta da molto lontano. Appunto il rosa deve restare rosa, se diventa rosso è un'altra cosa.

Sentirsi belli, ricchi e felici e non essere o non avere almeno una piccola possibilità reale di diventare ricchi, felici e belli, quella possibilità che si acquista per merito di preparazione, di cura di sé, che non può ridursi a regalo altrui, non è una violenza gui bimbi?

On.- Mi sembri cocciuto e ostinato in dispiaceri tuoi, solo tuoi.

II.- Ondina delle favole, con le fossette incavate e la bocca di rosa e gli occhi di violetta marzolina, fortuna per te che dimentichi sempre.

Qui da noi, a vederci vivere come noi, diventeresti una rogna anche tu.

Qui da noi si sterilizza il ciucciotto di quei bimbi ogni volta che cade, ma si lascia cadere nella loro testa ogni minchioneria.

On.- Non ci credi in una vaccinazione spontanea? Potrebbe succedere.

II.- O morranno o rimarranno purulenti da infezione. L'autovaccinazione? Mah!

On.- Devi solo essere un cattivaccio tu. Se non ti bastano gli occhiali rosa si mette anche un bel vetro rosa alla finestra. Non lo dico per in teresse. Non sono socia di vetri e specchi di lusso. E' saggezza fluviale la mia, di quando le albe e i tramonti si specchiano in rosa nelle acque del padre fiume. Anche i tramonti più rossi diventano rosa tenero prima di essere bruni, nell'onde sciolte della sera. Ecco il vetro rosa alla finestra. Guarda di nuovo.

I.- Vorrei partecipare anch'io. Posso? Sono una rogna, lo so bene. Persona che gratta come un animale, non più persona, non ancora animale. Non vorrei guastarti le giuggiole rosa, tenera ondina, che dimenticasti d'aver pianto sul cuore di pietra dei miei simili. Tu sei rosa e li vedi diversi. A me succede solo se chiudo gli occhi per non vedere, tappo le orecchie per non sentire, stringo le labbra per non denunciare.

Ti racconterò quel mio sogno speciale per farti capire,

C'è un castello di pietra bianca. In questo castello lontano Massimiliano, giovane e bello, ordinò di apporre tre vetri alle finestre sul mrae, colorati in tre sfumature: vetro rosa per l'alba, vetro giallino per il giorno, fumé per ammirare il tramonto senza incendiarsi,

Tre vetri colorati per i turisti d'oggi. Dove si rompono, non si rimpiazzano. Costano troppo. Le donne passando davanti al grande ritratto dell'Asburgo mormorano ancora.

II.-(cantando):E’ nato un marinar fra le canne di bambù. Ha l'ancora nel cuor che fa strage dell'amor. Ogni bimba si volta a guardar quel bel marinar che fe innamorar...

Ondina, ondina, sei capitata male in questa casa. Qui ci si salva in musica.

I.- Ondina, ondina, è saltata la rotella della storia. Massimiliano è morto. Vuoi sapere come? Lui con i tre vetri da ricordare un'ultima volta. L'hanno...

On.-Oh non importa, non importa.

I.- Han fatto bene ad ammazzarlo. Non si guarda la realtà per sfumature.

On.- Non stare a raccontare. Ridi a fossette anche tu e non ricordare. Ogni fanciulla davanti al gran quadro tace incerta e sospira lieve. Quel tuo Massimiliano del sogno, che volle guardare in rosa, si sottrae al comune. Che ne sai davvero del suo mistero?

Il vento straccia i cartelli che vogliono bimbi diversi nei cuori, la pioggia di marzo lava i volti dei bimbi. Le cose passano. I bimbi cresciuti ricorderanno le cose per voler fare diverso, per rifiutare.

Qui da noi, tra i nostri simili, si vogliono sempre scrivere le regole comuni, compilare la gramnatica. Poi arriva l'imprevisto e la vita comune, quella vera, è piena di imprevisti, più eccezioni che regole.

II.- Ondina, che non ci vuoi lasciare del tutto, e pure hai fatto l'esperienza di quello che siamo, giudica tu se la rotella è a posto. Tu sei ferma a marzo. Qui è fine d'anno. Guarda dalla finestra e immagina: una bella festa di fine d'anno in una scuola aperta all'avvenire. Gli occhi degli adulti bruciano, ma il rosa c'è. Sono loro, i visini accaldati di corse e di gioia. I bimbi si fanno ragazzini, partecipano ai balli folcloristici e si cimentano in ju-jitzu. Che bello spettacolo vero?

I.- Ondina, ondina sono una rogna, lo amnetto, non posso stare senza grattare. Il cicerone spiega che ju-jitzu è una disciplina psico-fisica. Lo spirito dà al corpo la forza necessaria per strangolare istantaneamente e con vigore il potente avversario.

On.- La rotella non è a posto? Sembra che sia tutto in pace: sole cielo azzurro; il campo per il saggio di fine anno incastonato nel verde all'intorno con l'odore di salsedine che apre il cuore, slargandosi sopra ai pini marittimi.

I.- La rotella da ingranare è l'astuzia dei piccoli David contro i Golia che ci sono sempre, continuano ad esserci. Se la rotella fosse a posto davvero, non credi che dopo tanti anni questa razza di giganti prepotenti dovrebbe essere estinta? Perché il nostro pianeta continua a produrne di questi mostri? È ai piccoli bimbi bisogna insegnare le tecniche antiche degli oppressi?

Voci si inseriscono violente accavallandosi: Bimbo, non tollerare mai un capo-gruppo. Bimbo, fatti giustizia da solo! Bimbo, impara a vendicarti!

II.- Si ricomincia a grattare.

I.- Il capo-gruppo potrebbe essere un maestro d'orchestra, ma loro, quelli dei cartelli, non vogliono.

        Voci: Bimbo ti vuole mortificare, bimbo odialo.

II.- Ti metto in guardia. Bimbo, se scompaiono i capi gruppo nascono i capipopolo che sono peggio. Tiranni sempre.

E se ti gridano: Impara a vendicarti, sii in polemica con tutto; ricorda che prima di uscire dall'idea della ribellione a tutto ti ci vorranno anni ed anni. 

Vorrei consegnarti una storia, se mi crederai.

Questa: San Paragorio dice ai soldati, che l'hanno arrestato nell'isola dove è andato a predicare,di essere solo un visionario. Si salva. In due anni, prima del martirio diffonde il contagio della verità cristiana. Due anni da finto visionario per arrivare alla testimonianza ultima.

I.- Bimbo, essi ti diranno che sei tu visionario e fantasioso se non ti convinci della loro verità. Ma non hanno verità, se parlano sempre in modo diverso, se parlano prepotenti con i deboli e lacché dei forti, Non temere, lasciati dare del visionario. Un giorno sarai chiamato a testimoniare. Devi restare ad occhi aperti.

Ondina (quella della favola antica, che prima ha bussato ed ora è entrata). - Passerà tutto questo come gli orchi delle favole che alla fine cedono e scompaiono. Non tormentarti. Eccoti il mio ultimo rimedio: occhiali rosa da spiaggia. Guarda con questi come su una spiaggia l'estate. Sembra solo insensata se passa e ogni anno non fai che aspettarla. Anche se è piovuto, aspetti la prossima estate serena,

II.- Ondina, ondina, perché ci ripetiamo parole di conforto? Chi spera il meglio, muore ammazzato. Qui da noi è così.

Rogna, rogna, sempre rogna,

gratta gratta a più non posso

resti solo fino all'osso.

On.- Solo se tu speri, i bimbi e gli altri si convinceranno. Contro ogni speranza.

Sono venuta alla vostra casa, perché ho sentito filastrocche nel vento. Ti prego, prova ancora.

II.- Te lo vuoi proprio.

Vien l'inverno. Brr che gelo!/ Ogni foglia prende il volo./ Cupo e grigio appare il cielo./ Bubi al mondo è solo solo/ Nelle vie della città/ chieder deve la carità!

I.- Dio, dio come prude! Bussano ancora, senti?

 

Fischi, sibili di vento e voci che si sovrappongono con grida e risate: Fate la carità, fate la carità!

 

I.- No, non aprire! Schiamazzano. Deve essere un corteo di ubriachi nella tempesta. Come si può fare la carità a tutto quel corteo?

Fate la carità, la carità! Ci serve l'obolo per questo, l'obolo per quel l'altro, l'obolo per il partito.

II.- E' il carnevale della carità. Questo vorrebbe essere partecipare. Come prude... Non è per assumersi responsabilità, solo per avere una fettina in più di qualcosa? Questo vuol dire impegno e compagnia?

Ancora le voci: Contro le forme assistenziali, fate la carità alla più gran dama. Non la conoscete? E' famosa! La nostra grande e bella società. Appuntamento a febbraio ai carri di Viareggio. La rivedrete su qualcuno. Ha le maniche bucate e lascia cadere sempre un po’ degli spiccioli che riceve a prestito per i suoi figli scalzi là dietro.

On.- Non ascoltare! Passeranno anche loro. E' solo per farsi male, per ferirsi di più.

II.- Filastroccherò più forte: Non certezza del domani/ Bubi pensa tristemente: è una vita — oh sì - da cani!

Gratta gratta che non passa

devi solo far grancassa

rogna rogna sempre rogna.

On.- Guarda ancora: i bimbi là fuori, finito il saggio e l'anno scolastico, sono silenziosi in questo momento, davanti ai quadri: tutti ammessi, esclusi i soliti tre. Non si è tenuto fermo l'obiettivo della preparazione, concreto, giusto, altri obiettivi più mobili e opinabili. Per cui i tre esclusi dal guado generale diventano un'ingiustizia e i tutti ammessi lo sanno.

Là fuori gli adulti schiamazzano sempre, loro, i bimbi,tacciono ora. In qualche modo faranno diverso.

I.- Per nausea. Un giorno, Per schifo. Bimbo, non essere servo di idee: con la corona, non essere servo di re. Lo sai qual è il re con la corona più grossa?

II.- In una repubblica quello con la testa più grossa. Semplice no.

I.- Hai ragione a scherzare, ma c'è davvero uno  più grande.

On. - Voi, i bimbi che cresceranno, gli altri là fuori, che gran cosa vera!

 La mia fantasia è una goccia di fiume che scorre. Devo tornare al cappello di vento del mago che gioca con me e mi spinge nelle case attraverso le porte in tempesta, quando non se ne può più. Per una consalazione nel sogno. Peccato! Vi avrei tanto amato.

I.- Sto riaprendo gli occhi. Sentivo un prurito insopportabile.

II.- All'improvviso non prude già più. E' successo qualcosa.Alla rovescia.

I.- Guarda attraverso il vetro della sera. Rami spezzati, foglie per terra. Deve esserci stata una gran tempesta. Ora s'è placata. Stasera è sereno.

II.- Le lampade notturne tracciano un cerchio luminoso al di là dei vetri sul poggiolo.

I.- Quella d'angolo, dietro al divano, è come una mezza luna.

II.- Le tendine sono ancora raccolte di lato al vetro terso e si vede anche una mezza luna zafferano in cielo.

Eppure nella quieta casa dalla luce gialla, le cose sono state in tempesta e forse saranno di nuovo piene di dubbi e di inquietudine. Qualcosa è entrato, ha provocato una gran scossa ed è rimasto solo un piccolo prurito da eczema. Un giorno sarà prurito, un giorno sarà rogna disperata.

Cosa vedi tu, ora, attraverso il vetro della sera?

I.- Vedo gaggie titubanti di incerte foglioline, rami secchi tesi in aria; pur resi già meno duri e nodosi da questo fogliame che preme a rinnovarsi. Dal trono coperto d'edera la cima scatta libera e sottile a mani tese in alto. Stelle e stelle lontane sembrano quasi più vicine nell'aria più scura.

II.- Hai un viso strano. Prurito, singhiozzo, anche il magone?

I.- Sì, un magone di cose alle spalle. Per la prima volta mi punge un desiderio violento di ritorno a quel mondo che non è il sogno ad occhi chiusi, orecchie tappate e la bocca ferma, quando prude troppo. -

Il mondo che voglio esiste, lo so, non è una favola. Devo averlo già conosciuto. Ne sento la voglia di ritorno, che ti travolge nella notte stellata. A tuffo mi getterei dentro a quel cielo.

Invece dovrò aspettare e uscire da questa casa che non ha potuto salvare la mia quiete, attraversare la piazza gremita di cartelli per prendere una strada. Non importa quale. Le strade sono fatte solo per i piedi. Contano i pensieri da dipanare lungo il cammino.

II.- Ondina, gli occhiali rosa da spiaggia, il castello bianco, le filastrocche? Dunque anche questo è stato senza senso? Si ritorna dove siamo partiti a grattare, anche se ora stranamente non sembra prudere più che tanto.

I.- I problemi sono ancora qui, ce ne sono sempre di nuovi e maggiori e non mi riesce più di volermene salvare nel sogno o nei ricordi né nella speranza né nell'ottimismo.

Preferisco tenermi la mia piccola rogna.

Tanto del rosa non so giovarmi che per sorridere agli altri. Non per me, Tutto si è dissolto, è già alle spalle. Sento ancora ansia solo dell'altra realtà.

Trema nel vento la figura all'angolo della via. E’ passato, ha bussato, potrebbe non tornare.

II.- Questo vetro sulla sera di stelle e gaggie. sembra così quieto. Non tormentiamoci.

I.- Romperei il vetro della sera pur di non sentire mai più quella terribile voglia di grattare. Un giorno se rivedrò la figura all'angolo correrò ad afferrarla per il lembo della veste, per guardarlo nel suo volto millenario.

Se non tornasse mai, se non potessi vedere il suo volto, la mia corsa di venterebbe folle. Rotolerei su una slitta impazzita verso l'ombra lunga della valle, verso il nulla.

Sto aspettando che torni e mi dia un bacio. So che parla alla rovescia delle persone che chiedono il bacio. Se riesci a darlo tu quel bacio, tutto si sovverte ed hai già ricevuto il ritorno. E' che a quel punto all'improvviso niente va più bene. Tutto diventa troppo poco e la figura fugge di nuovo innanzi.

Ma se non tornasse, non mi rimarrebbe che correre a perdifiato incontro all'ombra nera, per sottrarmi ad un'inutile vita. Così pure se lo perdessi di vista.

Quando questa nostalgia cruda mi pungerà, aspettare mi sembrerà duro e vorrò solo sottrarmi. Allora mi par di capire non aspetterò più che torni, sarò io a tornare in qualche modo a quel mondo che non è favola, il mondo di un Re.

Quando potrò tornare, quando avrò compiuto il mio dolore di ritorno sarà la pace. Infine la pace.

 

 

 

 

                           

 

 

 

 

                                             APOLIDE (1980)

 

(Questo è stato l’ultimo testo del mio teatro: con la consapevolezza che nessuno lo avrebbe messo in scena e che tanto valeva non continuare. Meglio scrivere per il giornali: scrivere la vita vera: d’agli altri s’impara tanto. Meglio guadagnare qualche soldino per non sentirsi del tutto inutili, anzi sentendosi un poco utili perché si dà voce ai problemi e alle speranze della gente).

Ricordo anche una critica di Armando Bortolotto segretario del Candoni dove anche questo testo fu segnalato: “Difficilmente teatrabile a causa dei lunghi monologhi”.

Però come sarebbe stato bello se qualcuno avesse accolto la sfida!

 

                                   Introduzione.

Un uomo:(si precipita sul palco affannato): Notte, eccoci.(Si passa la mano sulla fronte, appare molto scosso, stanco): no, non voglio più barare, l'ho creduto che fossimo in tanti. Tante voci, visi, anime, mani tese o strette l'una all'altra, pensieri, tutto era qui dentro di me. All'improvviso son solo.

Non voglio barare con te, non incomincerò con una bugia, se è una cosa definitiva: eccomi. (La voce è umile, deferente).

Lo so: eccoci sembra un'altra cosa. Più importante per incominciare. Ma... ora son solo.

Ridi?

Voglio dirti: io e basta.

Ridi?, o notte, o è il vento lieve nelle chiome di un albero?

La riconosco bene la tua voce, quando l'aria della sera si fa pura e frizzante.

Professore: (seduto in un angolo fa frusciare le pagine di un libro, girandole lentamente. Alza la testa stupito all'affanno dell'uomo): ma tu, non ti accorgi che son le pagine a frusciare? Di questo mio libro.

Non è lei che ride, se ho ben capito, la notte che invochi. Immagini qualcun altro al posto suo? Si può parlare  alla notte? Mah, di matti oggi ce ne sono tanti. La notte che ride? Questa è bella.

L'altro (con acrimonia): perché tu, professore, ne hai l'aria di un professore, dico giusto?..

Prof.(allargando le braccia in segno d'assenso):E' il mio lavoro.

L'altro: tu, professore, intento al tuo libro, senza guardarti intorno, tu lo senti il vento di giorno? Solo se è forte, immagino, se distrugge e imperversa. Solo se il sole è a picco e c'è quel vento caldo d'estate che piega i campi di spighe.

Una ragazzina, avvicinandosi al professore: state parlando del Vento d'Alice?, sono venuta per una spiegazione sul compito.

Suggeritore:(s'alza dal suo pozzetto, a tutto busto): bisogna spiegare che Alice è una cantautrice di successo.

Prof.- Spiegare è come fotografare per gli altri e poi non è vero che sento le cose solo se sono macroscopiche, violente, anzi sono abituato ad indagini più sottili. A lei chi gliel'ha detto che sono così?

L'altro: fai riferimenti a chi è presente, immaginavo in generale, per la massa, non l'eccezione. E poi per la tua insensibilità di poco fa. Non me ne importa niente di Alice, sono stanco d’interruzioni, di gente che si frappone fra me e il traguardo mio. Il vento,di cui parlavo, era il mio. Alice potrebbe averlo preso a prestito.

Prof.- Si rispetta il successo altrui. Non arriva subito e nemmeno se lo vuoi. Un giorno con un po' di telecamere e i capelli che volano di qua e di là, è fatta.

Sugg.- Sembra.

L'altro: Lasciatemi continuare. Sto parlando del mio vento, non di quello di cui i professori si accorgono solo se diventa ciclone. Questo in generale, poi parlerò con te che sei qui.

E Alice, o un cantautore o una cantautrice, ha antenne sensibili a cogliere ciò che è nel mondo, che è di altri prima che suo. E tutto questo non m'importa. Sì, di matti come me ce ne sono in giro, oggi, ma ad esser onesti, quelle pagine che giravi, ti devono aver già detto, se tu le ami, se tu ci credi, che di matti che hanno parlato alla luna è pieno il mondo, da quando è stato l'uomo. Forse l'ignori? Sei un po' ignorante, pur se professore? O non credi a quelle pagine? Alza gli occhi. Sono carta carbone di quello che c'è qui stasera. Niente di nuovo. Si possono solo aggiungere voci ad altre, che sono già state. C'è la notte, una ragazzina, anche questa Alice, se volete. Ragazzina, ti chiamerò Alice, ti va bene? Come se la sua voce fosse tua. Voi, i personaggi.  Qui è pieno d'umanità, ma io son matto e son solo e non la vedo più l'umanità. Ho scelto, ormai.

Prof. (si toglie gli occhiali e viene ad osservarlo da vicino, non riuscendo a convincersi li inforca di nuovo): non capisco, non ti vedo bene, né da vicino, né da lontano.

L'altro: scusa, sto precorrendo i tempi. Mi hai interrotto, mi hai disturbato. Stavo compiendo la mia invocazione a lei, la notte. Tu che c'entri? Prof.- Niente, niente. Stavo girando le pagine di un libro, sei arrivato tu così di corsa, volevo solo capire.

Sugg.- Capire cosa?

Alice: cosa?

  Prof. - Stringi, stringi, vieni al dunque.

L'altro: io… finalmente l'ho detto, sto partendo con il piede giusto. Io (calca sul pronome come una liberazione, con enfasi), io me ne vado.

Prof. - Tutto lì? (Tornando al suo tavolo): è proprio matto. Sugg. - Sei sicuro che sia matto?

Prof. - E chiedi a me? Sei tu il suggeritore. E poi di uno che arriva di corsa per dire "me ne vado" tu cosa penseresti? Per mia esperienza i complementi indiretti sono quelli che confondono gli alunni, con il complemento oggetto è più facile.

Alice: veramente, io lo confondo con il soggetto, quando sono a scuola.

Prof. - E' perché tu sei ancora nella fase dell'oggetto, della donna-oggetto, la saprai no questa cosa?

Alice: io un oggetto?, non capisco. Forse che per non essere oggetto bisogna rinunciare al bell'aspetto? Studio, canto, faccio i compiti, mi pare di essere ben viva.

Sugg.- Spiegazione per chi nascerà dopo di noi: oggi parliamo così, ci complichiamo così la vita. Siamo così ricchi di oggetti che pensiamo sempre nella stessa direzione:-altri oggetti. Se la spiegazione non andasse bene, se è il caso, se è importante e non la solita futilità, ci penserete voi a spiegare, tanto noi non ci saremo più a dissentire e nemmeno a sapere se abbiamo ragione o no. Voi quelli nati dopo…

Io:-Ora che ho detto"io", parlo in prima persona. Ora che ho trovato il coraggio, senza fingere, guardando fino in fondo a me, posso dire."io me ne vado" e significa "dall'umanità.". Solo questo ho capito: un soggetto, un predicato, un complemento. Questa non è una cosina così, che sfugge. Una volta aveva una grande im portanza per me, ora non più: eccomi, notte.

Alice: dove va?

Prof.- Dove vuoi andare?,tu, fermati: è buio.

Io: ormai io amo la notte. Chiarissimo: soggetto, predicato, complemento diretto. Di lì non si scappa. Ho scelto. Voglio andare dove il buio è più fondo. Con determinazione. Dove sarà solo lei: la notte. Sesst! Silenzio. Se l'ascoltate, è lei che ride, la sentite?

(Risata fonda e dolce di donna).

Alice: ma è lui che fa la voce di una donna che ride?

E' come quelli, come si chiamano...

Prof.- Vuoi dire i ventriloqui.(Si avvicina di nuovo all'uomo e lo esamina ad occhiali inforcati):lui non ride, anzi..

Alice avvicinandosi- a sua volta e alzando una mano a sfiorargli il viso):son lacrime nei suoi occhi, e non piange.

Io: piango dentro.

Prof.- E' di quelli che solo una ventata gli fa venire le lacrime agli occhi.

Io: allora, professore, facciamola breve. Dopo ti insegnerò io, se permetti, se posso provare. A modo mio. Dopo aggiusteremo i conti.

Prof. - Aggiustare i conti? E il rispetto e l'autorità?

Io: appunto, tu hai avuto rispetto per la tua qualità di insegnante. Te lo sei meritato? Se l'hai perduto, perché? Per insegnare io ho capito che serve una cosa sola. Tutto anche qui è stato ridetto e già detto, tante tante volte. Lo sa perfino lui. (Fa cenno al suggeritore): suggeriscigli.

Sugg.- Ecco: insegna le regole all'alunno. Sono ben scritte nel libro. Non tutte le pubblicazioni sono ancora confuse, forse incomplete. Tu integri, non ti metti sempre oltre al libro. Le regole non deve inventarle, né ricostruirle l'alunno. Sono come tavole di una legge, comandamenti per prevenire gli errori. Accertati che l'alunno le sappia. Con ordine e pazienza. Se tu fai la tua parte e lui studia e tu verifichi, lui non ha bisogno di spalle casalinghe cui sostenersi, di aiuti, di supplementi. Non migliora? Insisti. Se non migliora, potresti essere responsabile. A meno che tu non voglia solo giudicare la pasta del tuo alunno. Qui mi seguiranno meglio le insegnanti donne. Forse.

Alice (ridendo) : la pasta?.. E' di pasta frolla, manca il sale, troppa acqua, la farina non è del tuo sacco. O come sei buffo, straniero della notte, che vuoi parlare alla notte.


Io: forse ti sembra più facile. Non ti sei accorto che questo giudicare non serve per insegnare. Rinunci se la pasta non viene, non tira, è difficile? Non sai più come s’impasta? Acqua, farina, sale e si lascia riposare, come soggetto, predicato, complemento. O per te è solo uno slogan? Per di più tu oggi hai la fissazione della creatività. Può la creatività nascere così?

Il campo dello spettacolo ha assorbito anche un sacco di fuoriusciti dalle altre professioni o mestieri, anche gente che non aveva mai fatto altro con un esito. I creatori sono così pochi. Certo se il tuo alunno è anche un genio, ti diventerà creativo, ma tu non c'entri.

Alice: Che bello scherzo dire trentatré tuoi alunni diranno trentatré, professore trentatré. Tu professore parlasti e io amai Pinocchio, amai la balena, amai la fata azzurra. Conobbi il gatto. E la volpe. Professore,un complemento doppio con la congiunzione in mezzo si può usare? Un gatto e una volpe. Si può? Trentatré…

Io: io invece,professore ahimé, non lessi mai Pinocchio. Ne sentii parlare negli articoli sul centenario. Non creai nulla. Non imparai mai.

(Con dolore): fui io a comporre la scenetta per la recita scolastica. La inventai con mia madre e mio padre. Non si erano più divertiti tanto da quando invitavano i vicini di casa a vedere"lascia o raddoppia."

O l'animazione teatrale, tutti insieme. Ma perché mai poi non mi capitò più d'inventare? Non diventai come Shakespeare e nemmeno come uno che scrive: “la signora uscì alle cinque...”

Prof. - Tardi m'accorsi che con la creatività si nasce non s’impara. Avevo studiato per professore. Dovevo insegnare. Avrei voluto che gli alunni mettessero insieme chiarezza, brevità e fantasia. Come mettere il bavaglio al magma che è un fanciullo. Inventavano siocchezze della loro età e le parole di troppo o fuori posto erano la loro unica insopprimibile creatività contro cui mi accanivo. Quando poi mi ostinai a farli inventare le regole, come per logica si erano formate nell'uso dei secoli, fu il caos. Professore, trentatré…

Alice: siamo davvero così scadenti?

Io: no, voi siete fantastici. I vostri errori sono come lo splendore dei fuochi d'artificio, inaspettati, candidi, ingenui, con dentro un botto che non esplode mai del tutto, che ancora non sa aprirsi in uno splendido fiore nel cielo notturno.

Con te, professore, ci siamo chiariti. Tu insegni la grammatica,

la pretendi precisa, il ragazzo intanto ribolle di vita, poi un    giorno, se è nato per questo, i tuoi sforzi d'ordine e la sua passione si concilieranno in qualcosa che, certo, è già stata detta e pensata, ma che sembra inventata da lui, dal ragazzo che non-sarà già più tale d'aspetto. Da lui in quel momento, come tu volevi sentirla in quel momento. Tu con lui dirai le parole che non hai mai potuto o saputo e che tu per primo gli hai insegnato, senza che lo avvertiste. Se gli avrai insegnato non solo la grammatica delle regole, anche quella delle idee che contano,negli anni e nelle generazioni  per ogni uomo:"responsabilità, dedizione,

amore", se tu   gli avrai insegnato questo mestiere d'uomo, avverrà il miracolo:  se lui è nato così, se ha capito di non poterne fare a meno. Ci vuole ancora una cosa da parte tua, quasi la più importante la dimenticavo: sì, tu, per i suoi errori mettici anche e sempre un po' d'amore.

Spettatore ( è seduto tra il pubblico ed ora interviene a protestare a gran voce): ehi tu hai finito? Una storia, subito. Voglio una storia. Cosa cianci: a teatro ci sono venuto solo perché oggi costa meno di tante altre cosette che costano di più, come lo stadio o la prima visione al cinema. Qui ci son le poltroncine rosse. Ma non farmi annoiare, sai.

Cosa sono venuto a fare qui? Ora che hai avuto il tuo proclama di scuola, libertà, esperienza di pelle, incomincia una buona volta a far spettacolo. Sto aspettando, ho pagato il biglietto.

Ehi tu, hai finito? Una storia. Voglio una storia. Voglio un attore. Voglio una bella scena per sapere dove andremo insieme. Le tue panzane mi hanno stufato. E spero tanto di non essere coinvolto nel vostro spettacolo, dal mio vicino di poltroncina, che quando sto per addormentarmi di noia non mi s'alzi in piedi urlando e correndo verso il palco. Capisco che è il vostro solito attore, che impazzì di fame. Ora in attesa di un'ultima sovvenzione o pensione, lo utilizzate come belva al circo. A un certo punto gli mostrate un cartello fuori dalle quinte, nel punto dove lui per anni è entrato in scena e dove guarda sempre per i riflessi condizionati di Pavlov. Lì sopra sta scritto: “sovvenzione della Regione”. Lui capisce che significa libertà di recita e di sopravvivenza per qualche mese. Può aspettare a morire di fame. Allora balza su dalla sua poltroncina rossa, a me vien un mezzo infarto per il soprassalto, lui corre verso il suo cartello al di là del palcoscenico, oltre il fondale, là nel punto dove era solito entrare in scena, come se corresse per un nuovo girone infernale. Al prossimo spettacolo il mio vicino di poltroncina sarà di nuovo uno come lui, impazzito in attesa di una sovvenzione e non solo di questo, in attesa della sua parte e..

Io: per caso non in attesa del suo pubblico?, che non applaude solo per incoraggiamento, per abitudine da Pavlov, ma perché ci crede finalmente in quello che ha visto e sentite, perché non ha potuto dormire pur se era stanco del giorno di lavoro.

Spett. Shakespeare mi ha sempre fatto pensare non dormire, mi ha fatto anche ridere e se ne avessi saputo tanto quanto i suoi contemporanei di certi personaggi inventati, così in carne ed ossa nel suo tempo che tutti li riconoscevano, avrei riso ancora di più. Adesso per ridere mi leggo i giornali con le dichiarazioni ufficiali di questo o quello: un politico, un sindacalista, una presentatrice radiofonica, ciarliera per tutti gli usi. C’è bisogno di teatro se si recita in politica, a scuola? Forse in Chiesa quando la comunità si raccoglie per il rito funebre dei suoi

morti-ammazzati:

la poesia per la mamma e i fazzoletti ipocriti per un funeralei quasi voluto se non si è impedito. Poi si dirà: qui abbiamo sbagliato, ma la vita non ritorna. Per fortuna i necrologi su giornale a 2.000 lire la parola sono il giusto contrappeso allo spreco di vite. Le parole di compianto costano, non i fazzoletti zuppi di lacrime. Quanti pubblici attori, e mi ostino a venire a teatro.

Io: vattene pure. Non sto recitando. Ho detto: eccomi. A mani vuote, pronto, infelice. Non parlo a te che se ti recito il monologo d'Amleto o il tuo Shakespeare, in realtà dormi sempre. Non hai fatto che dormire da quando ti sei svegliato alla vita.

Spett.: come ti permetti? Buffone. Vuoi far credere che ti sta spuntando una corona di spine sulla testa causa mia, nostra, di noi, i tuoi spettatori?

Io: no, per carità. Non voglio corone. Ne basterebbe una a graffiare la vita e il cuore, dentro, per l'eternità. No, mai, non la voglio. Spett.: Bene, anch'io non la faccio lunga. Soggetto, predicato e complemento. Me ne vado. Una piccola aggiunta, però: mi farò rendere il biglietto e chiederò di poter andare all'opera e se il cantante protagonista non potrà darmi le sue arie più belle, come le amo da sempre, questo per la solita influenza o laringite di stagione, e poiché è umano pensare che uno si ammali, ma è insensato non avere chi lo sostituisca, magari con il cuore in tumulto per l'esordio, e con tanto studio accurato e accertato alle spalle, se mi andrà male anche lì, chiederò alla Regione di permettermi di andare allo stadio con lo stesso biglietto, e se la partita sarà interrotta per disordini in campo con lo stesso biglietto chiederò di andare ad un nuovissimo film e se sarò troppo afflitto da ciò che vedo per indecenza, andrò in confessionale e chiederò perdono:"padre, ho comprato un innocente biglietto per teatro, per ristorarmi lo spirito dopo una giornata di lavoro, non credevo che fosse il biglietto per la porta grande dell'inferno e della perdizione. Padre, ho peccato, ma chi mai mi renderà la mia ingenuità. Non ti parlo di fede o innocenza, parole troppo grandi, tesori da non perdere. Chiedevo un ingenuo piacere.

Io: amico per un attimo, compagni di uno stesso sentire, non, volevo offenderti. Ma hai sbagliato teatro. Non voglio parlare con te, né con loro, il suggeritore, il professore, Alice. Il palco si riempirà stasera. Tutti in attesa di una sovvenzione di vita.

Spett.- E tu cosa speri? Che ti credi? Non mi incanti. Mi vuoi trattenere.

Io: a te non ho niente da dire. E' un caso che io sia qui e tu lì, in sala, ad ascoltare. Non siamo qui per lo stesso motivo. Non recito. Sono venuto a parlamentare con lei, la notte, prima di uscire di scena.

Spett. Mi prendi in giro. E- lo spettacolo? Ridi?

   (Risata dolce e fonda di donna).

Io: no, io no, non rido. Piango e me ne vado.

Spett. - E credi d'essere il primo? La conosco tutta la vanità di una recità, mi metterò comodo per lo spettacolo. Se va male, dormirò nel conforto del velluto rosso. Non a caso scelgo sempre questo posto, non prima fila per ammirare la recitazione, non al centro per l'occhiata d'insieme, qui, in fondo, defilato, dove d'è questa comoda colonna cui appoggio la testa quando mi addormento.

Sugg.- Presto, dite qualcosa di semplice che conosciamo tutti, per salvare la situazione. Professore, intervenga.

Prof.- Dolce e chiara è la notte e senza vento,/e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti/ posa la luna, e di lontan rivela/ serena ogni montagna. O donna mia. ..

Io: quello che non ricordava i matti che han parlato alla notte. Già Leopardi e qualche potente verso di Dante… Forse prima di andarsene, che non siano le cose imparate a scuola, le poesie

a memoria ciò che si ricorda? Come un conforto di voci umane, un viatico, prima di slegarsi da ogni memoria e ritrovarsi implumi in un vuoto ignoto.

Alice: aspetta me, son brava

 "Dal Reno il canto degli elfi/ per va/ al lume della luna…

E poi: Notte di luna calante, ultima

 

anch’io

la bruna notte vava bruna/notte va: Tecla sogn

d'amore con te.

Sugg.: Non va così…

Alice: “Come quando su’ campi arsi la pia/ luna imminente il gelo estivo infonde,/ mormora al bianco lume il rio /tra via scintillando tra le brevi sponde”.

“Tintarella di luna , tintaterella color latte, ti fa bella tra le belle, ma se c’è la luna piena tu…

Sugg.- Deve essere la tremenda confusione dei programmi scolastici. Professore, lei crede che la signorina sia per la varietà d'autori o per la gradualità dell'insegnamento? Mi pare d'aver riconosciuto Peppino di Capri e Mina.

Prof. - Un problema complicato se sia più facile Carducci o un autore di canzoni.

Alice: posso continuare a sazietà. “One more night the moon is shining bright/ and the wind lows high above the tree/ oh I miss that woman so/ I didn't mean to see her go/ but tonight no light will shine on me...”

Prof. - Semplici e chiari si voleva essere, cosa sono queste manie dell'inglese?

Certo, è come un esperanto, è la lingua che sta unendo il mondo, un fenomeno così grandioso come non deve mai esser stato dalla Torre di Babele. Certo, questo Bob Dylan, ne ho sentito parlare - mi ha portato un disco un ragazzo del corso precedente- usa poche parole, chiare, non togate. Quindi è facile, quindi si capisce, ma non mi fido tanto, è come se stravolgesse soggetto predicato e complemento. Deve aver imparato le regole, ormai è come se le superasse dimenticandole. Sembra vero. Forse mediocre, forse piccolo, talvolta grande, forse incerto di cose già viste e dette, molto sicuro di voler andare altrove, infine vero. Sembra vero.

Sugg.—Non sono convinto.

Alice: Devo provare con un canto più antico?  “Venne nella notte silenziosa; in mano teneva l'arpa, ed i miei sogni risonarono di quelle melodie./ Perché tutte le mie notti sono così sprecate? perché non posso vedere colui il cui respiro tocca il mio sonno? “'

Sugg. - E' che tu sei una cantautrice. Non hai citato una voce femminile. Ora, per far colpo, perfino Tagore. Tu cosa vuoi dire?

Alice: logico, non mi faccio pubblicità. Prima di me e intorno a me c'è posto per tutti. Ogni briciola di canzone con poesia, tutto si può ricordare nell’universo di voci, ma io canto solo da me, solo da ragazza-donna, solo se è il mio spettacolo. Non qui. Mi pareva si parlasse di un altro, di lui, lo straniero della notte.

Spett.- Per ora è come essere sui banchi di scuola e come là si alternava una materia per ora, qui si mescola tutto in attesa dello spettacolo. Io aspetto. Un po' di poesia non guasta, forse a spizzico è più digirebile che a farne il pieno in un tutto-poesia, come la fiera del bianco o il tutto campeggio.

Prof.-Noi non abbiamo uno spettacolo, potremmo anche provarci. In realtà è successo tutto così di seguito, quando lui è arrivato di corsa sul palco. Lui ha parlato delle voci che si aggiungono ad altre, che ogni uomo nella vita aggiunge solo una voce, non può di più, e poiché sembrava scosso e disperato, cercavamo solo di fargli compagnia. Se uno ha avuto un terremoto, altri l'hanno avuto. Signorina, vuole aiutarmi a leggere la lezione che le avevo assegnato per oggi?

Alice: Pietro Colletta, Storia del reame di Napoli:"Una donna gravida restò trenta ore sotto i sassi, e dalla tenerezza del marito liberata, si sgravò giorni appresso di un bambino col quale vissero sani e lungamente; ella richiesta di che pensasse sotto le rovine, rispose:"io aspettava".

Una ragazza,di sedici anni, restò sotterra undici giorni tenendo nelle braccia un fanciullo, che al quarto morì, così che all'uscirne era guasto e putrefatto; ella non poté liberarsi dall'imbracciato cadavere e numerava i giorni da fosca luce che giungeva fino alla fossa.

Io: io non aspetto più.

(Gli altri, ognuno con un cenno di resa, si ritirano sconsolati) La loro notte s'è fatta presentimento di dolore o di pace, non so. Per me è come un bruciore, un'amarezza gonfia, pesante.

Spett.— Mi son messo comodo, sto aspettando.

lo: Eccomi. Non voglio ripercorrere le loro vie di sopravvissuti, di arresi a te, o mia notte. Non, voglio ascoltare le loro voci. Qui siamo tu ed io. Sei bella, è vero, potrei consegnarmi. Brilla di pallide stelle il tuo viso e un bruno mantello ti avvolge,ondeggiando alla piena di quel vento che solo con te si può sentire. S'insinua dentro. Mi è venuto qui, freddo sotto il cuore. Disperato.

Il tuo pallore di latte e l'onda di tutto il tuo mistero bruno, pur se porti anelli falsi. Al tuo anulare sottile brilla la guglia-di un campanile illuminato. Sei alta e magica, il capo in cielo e le mani a sfiorare l'acqua dei mari, un brivido sotto le tue dita. Profane, a migliaia, false luci di città, stanno stampate in serie sui tuoi veli. Grovigli di fili, grovigli di meandri, angoli bui intricati in una foresta, grovigli di cuori, paure, terrori. E gli uomini continuano a temerti e, chiusi in casa, credono di vincerti con una lampada, levata a far luce. Un misero raggio, di misera luce. Tu respiri con questo tuo vento freddo, loro si fanno lontani e piccoli. Mistero di stelle, candore di luna.

Io della loro razza, dei piccoli, i miseri, i falsi e profani, non mi consegnerò a te. Loro hanno scritto per te dolci e belle parole. Tu accontentati. Tra me e loro c'è anche una irrimediabile frattura. O notte tu conosci così bene la loro fame scatenata, quando dolore o umiliazione hanno scavato un vuoto che sprofonda e preme per essere riempito. Ogni, offesa è più irrimediabile davanti a te, ogni sofferenza, ma chi esce di scena per scelta non ha più fame, né sete.

 

                                  Atto I

 

Salgo in casa.

Due ragazzine che si dirigono verso la discoteca : ciao, zio.

Alice(riaffacciandosi di nuovo per un attimo dalle quinte):

ecco, le vedi? Anche loro sono l'umanità. O non ti lasceranno ritirare così facilmente, fanno la mia parte: spettacolo per i giovani. Ciao, tu.

Io: dove andate?

Loro: in discoteca.

Io: è importante?

Loro: oh sì, tremendous!

Io: a scuola hanno imparato l'inglese. Gli serve per dire

"tremendous”.  E guarda che borsette..

Loro: ti piace la nostra borsa, zio? Fiorucci, tonda, a spirale. Ragazzina: Avrei voglia di tirarla a frisbee, sul collo della luna.

Io: sul naso, vorrai dire. La luna è una grassa signora, stasera ha il doppio naso e un doppio mento. Il collo non si vede.

Ra.- zio, la luna come dici tu, fa anche un po' schifo.

Alice: vedi che ci sta, lui che se ne voleva andare. Risponde.

Io: rispondo, sì. Sono orgogliosamente cortese.

Piccola, sottile, argentea come un prezioso gioiello.

Ti piace di più questa luna? Forse la luna della giovinezza. Ma tu la vedi in discoteca?

Ci deve essere un sacco di fumo, laggiù.

Loro: zio, che ci vuoi fare? Ce l'hai insegnato tu.

Io: Io?

Ra: No, non proprio tu. Voi. Perfino il libro sul   Presidente  del nostro paese, fresco di stampa, porta in copertina due pipe e tanto fumo.Fumo più o fumo meno, non è tempo da limpide lune. E' tempo da discoteca, zietto. Forse credevi che fosse meglio la verità come una piccola falce di luce che spunta dal fumo?

Io: eccì, mi sento il naso pieno di fumo, se il fumo della copertina di un libro, con l'atteggiarsi al famigliare, con le pipe in amicizia, non rende onore al giusto a un vecchio galantuomo. Non gli lasciano nemmeno avere i suoi ottant’anni, conquista di vita, volendolo giovane a tutti i costi. Malattia da giovanilismo. Invece, nell'appuntare la medaglia sul feretro di un morto ammazzato, ha molti anni e rughe e mani che tremano, forse di dubbi o timori per la nostra democrazia. E ripete ostinato:

“val più una scomoda democrazia, inquieta e pericolosa per i cittadini, di qualsiasi dittatura”.

Età e vita si fanno sostanza, fumo è l'oleografia.

Per te discoteca è dittatura?

Ra.- Come la metti grossa! L'hai visto the Elephant man? Lui, l'uomo diverso, l'uomo elefante in cerca d'amore, che muore soffocato quando crede d'averlo trovato. Una donna gli ha detto che è bello se dorme senza cuscino e lui muore così, ché non gli riesce di respirare, soffocato dal suo enorme testone, mentre il suo cuore d'uomo cercava solo amore. Un film vero, sai? Nella sera che la discoteca è chiusa, tornerò a vederlo. Tu non vieni? Una parabola d'oggi. Tremenda. Ma non hai più trent'anni, zio, me n'ero dimenticata. E quell'autore vero, che scrive storie vere, di oggi, della nostra umana società, tanto soffocata da dittature di ogni tipo, ha trent'anni solamente. Tremendous, tremendous.

Io: insisto: la discoteca è fumo, l'amore è altro fumo. Stai sprecando la giovinezza.

Ra.- Dittatura è quando all'amore e al- rispetto per gli altri e per te tu lasci sostituire altre leggi meno umane. Sterili di vita. Pietra, per colpire e offendere, non per segnare la via. Quando torno, ti porterò un, fiore.

Io: non farlo, lo lascerò morire.

Ra.- lo metterò fuori dalla tua finestra.

Io: lascerò che secchi al sole. Quando la rugiada sarà via, ava porata, lui non avrà acqua. Non saprà dove trovarla. Povero fiore. Impara.

Ra.- Apri la finestra e gliene dai un po' tu d'acqua. Se ti porto un fiore, lo farai. Non puoi non farlo, non ne hai il diritto.

Io: ti ha allevato tua madre. Stai facendo saltare la borsetta dalla tracolla con quella che i nonni chiamavano la danza dello spirù. Tua madre gongola nell'ammirarti: la mia pollastrella! Si compiace, ti imita nell'ondeggiare, vasta come la luna che dicevo io.

Io non sono più zio, non, ho più nipoti. Il tuo fiore non lo

voglio.

Ra.- Lo metterò fuori dalla tua finestra, quando torno.

Io: non aprirò più quella finestra.

Ra. - Bye bye.

Io: guai se l'avessi tra le mani. Trent'anni, non li ho più per fortuna. Deve essere verso i trent'anni che sua madre si è accorta di essere madre. Allora incominciò a girare per i circoli impegnati. Quando sento e vedo scritte parole come "noi, educatrici naturali dei nostri figli, noi lottiamo per la pace del mondo, noi donne di cultura per il Vero e il Bello e il Buono”, come se detto così bastasse non a dargli la maiuscola, ma farne un briciolo minuscolo di queste cose, allora sì che provo- ed è l'unica volta - la voglia furiosa di mettermi in ginocchio. M’inginocchiarei di disperazione. Loro parlano a Platone, per sentito dire, a bellezza, che forse non conoscono, loro fanno  “cin cin” in  quei circoli che è come giocare a bingo tra le vedove americane, che sono più intelligenti. Più intelligenti perché giocano a bingo, naturalmente. Non dubito che tra loro non vi siano anche anime elette; è la stessa contesa con il professore che sa e si dedica e tanti altri che non sanno nemmeno da che parte incominciare, ed a parlare di educazione si rischia di non riuscire ad educare i più prossimi. Peggio quando si parla in generale, per gli altri, perché in realtà non si hanno figli da educare. L'educatore non dà consigli, educa. E Platone ha teorizzato, questo sì, ma è stato Platone, aveva spalle larghe e salde.

Penso alle parole vuote da far tinnire come monetine nelle

bor­sette che saltellano su sederi giovani, che invecchiando si depongono a riposare su sedie in circolo e così muore ogni fiore ed ogni luna.

No, donne, me ne andrò solo. Salirò i miei quattro gradini per. andare al piano di sopra, chiuderò la finestra. Forte, forte, ben salda. Metterò una salsiccia di stoffa che non entri l'aria. Sigillerò tutto. Tirerò le tende. Farò buio, più buio possibile. Per non vedere la luce profana, le orribili cose intorno. Buio, buio. Notte, lì verrai da me? Non sarò cieco a riconoscerti quando un fremito d'aria ti percorre come una brezza veloce dai monti. Sentirò che arrivi.

Annegare nei tuoi mille occhi gemmati al piccolo chiarore di luna che brilla nei tuoi capelli. Accarezzare pian piano con dita di seta il tuo mistero. Sarà silenzio, intessuto di rade voci armoniose. Voci vere, respiri quieti.

Ostetrica( passando festosa, su di giri, nella piazzetta): signor me-ne-sto-da-per-me, cosa fa qui al buio e al freddo? Lo sente come strilla? Ha sentito quando è nato?

Io: cosa?

0: Lei, la sposina giovane, quella dell'ultimo piano, lassù,. quella così carina, ha avuto un bambino. In anticipo. Niente

ospedale, non c'è stato il tempo. L'ho fatto nascere a casa sua, come si usava una volta. Una forza! Che strillo potente,a sirena! L’ha sentito? Ma cos' è; dorme in piedi?

 

Io: la discoteca, il fumo...

O.- E' nata una bambina. Col tempo ci andrà anche lei in discoteca, quando sarà una bella signorinetta. Non ha mai ballato, orsacchione?

Io: solo perché sono orgogliosamente cortese sopporterò ben altro, ogni diagnosi sul mio carattere che lei voglia tirar fuori. Maschio o femmina, non m'importa. Stasera mi hanno già parlato dell'uomo elefante, ora mi si chiama orsacchione. Sopporto per rispetto alla sua gioia, che è così contenta che non sta nella pelle. Come se avesse fatto chissà cosa.

O.- Ho aiutato a nascere una bella bambina. Per me va intorno ai quattro chili, certe fossette nei gomiti e alle cosce che sembra cellulite.

Io: - tanto appena passa i quaranta di peso, va in discoteca. Carne da discoteca.

O.- iiiih! che sussiego, signor-me-ne-sto-da-per-me.

Io: salga, salga anche lei a casa sua, faccia buio, chiuda la finestra, da quando mondo è mondo la gioventù non ha migliorato il mondo, meglio non farla nascere.

O.- Lei, non, è mai stato giovane. Non chiedo, so: mai, mai giovane. Se no saprebbe.

Io: se lei, la sposina, fosse venuta con me all'Isola delle Formiche,quella bambina potrebbe benissimo essere figlia mia. e arrivo al piano di sopra posso far buio e far davvero il si gnor-dappermè, uomo-elefante-senza-amore, per di più orsacchione. Gredo.che basti.

Lei c'è stata in viaggio di nozze all'Isola delle Formiche. Mi ha mandato una cartolina:"con tanta felicità, affettuosamente."

Rabbrividisco al pensiero che avrei potuto sposarla io ed esser padre di una figlia da discoteca. Avrei dovuto fare il padre e il marito tra quelle donne, sedute in associazione ciarliera, future vedove di mariti che non ne possono più e optano per la tomba come seconda casa. Casa per le vacanze e l'estate calda.

Avrei finito per stare sempre in ginocchio davanti ad una che sa di bello e di buono e di vero e poi è un'educatrice naturale e poi vuole la pace nel mondo.Per credere di essere vivi, in pubbliche realazioni, dobbiamo metterci tutti in una stanza e contarci e sapere che siamo insieme, perché nessuno di noi può meglio del vicino.

Io ti do la mia stampella e tu mi impresti il tuo occhio di vetro. Siam tutti della stessa parrocchia. Ci guardiamo in faccia e siam tutti felici, tutti amici, il mondo finisce qui, con noi. Ma qui, lì, non si vede la falce di luna come nella foresta, quando balena tra ramo e ramo, né la si ammira splendida come nel deserto degli anacoreti

                     Io son figlio d'anacoreta.

O.- Ricomincia con le parolacce, adesso? Quando non si sa più cosa dire. Me ne vado.

Io: Ha mai sentito di Pecos Bill? Son io quel bambino, caduto dal carro dei pionieri, che urlava amore e dolore alla luna insieme ai coyote. Perfino la sua fidanzata finì sulla luna e lui la piange ancora.

0: Sarà. Per me son già contenta d'aver fatto nascere una bambina sana e bella nella sua casa, come si -usava una volta. E" andato tutto bene. (Fa un cenno di saluto e se ne va).

Io: Son anche stato Mowgli, il bambino perduto nella foresta, allevato dei lupi. Ha fatto sapere tutto di sé nella giungla, niente della sua vita dopo, quella normale, tra gli umani. Non avete mai pensato il perché. Oh sì,  signor dappermé, orsacchione ed elefante. Meglio la giungla, i coyote, gli orsi e le pantere, meglio abbaiare alla luna che gli umani. Mi spiegherò per non essere frainteso. Tutti parlano per sentito dire. Qui ci sono i testimoni, io ho una lingua sola. Parlo come sento. Ascoltate me e non per sentito dire. Son qui. Non era che rifiutassi gli umani, ho già spiegato che sono stato al servizio di tutti, sempre, sempre aspettando, sperando, sognando. Un giorno, per concedermi una pausa per lo spirito, andai ad un circolo culturale. Mi fidavo molto del mio professore al liceo che molto aveva amato lo scrittore che doveva parlare quel giorno. Per di più erano le ultime parole pubbliche di quell'uomo, da scrittore, divulgatore di idee, intellettuale. Come il canto del cigno.

Le donne sedevano con una rosa in mano, lui s'alzò e disse:"un libro è come un figlio." Poi si risedette e non volle aggiungere altro.

Il mio professore l'avevo amato perché sapeva di viaggi per mare e di sole e di lune. Tuttavia mi parve poco. Oggi chiederei: un figlio come? Da discoteca? Quarantacinque giri o long-playng? Quale delle due classifiche a Domenica in?

Mi ero messo una cravatta lilla, uguale alla fodera del vestito, per sentirmi elegante. Sapevo che nei circoli culturali ti contano in base a come vesti e a dove lavori.

Il mio negozietto, la mia bottega artigiana, doveva essere ben modesta, forse. L'abito per loro aveva importanza. Anche lei, la sposina dell'ultimo piano, presto penserà all'abito del battesimo, poi a quello della comunione e a cosa mettere in tavola in quella occasione. L'uomo è ciò che mangia e ciò che veste.

A occhio e croce mi sembrava che il bello il vero il buono e la pace nel mondo per le signore con Ia rosa in mano significasse questo. In fondo è anche filosofia.

Tuttavia quel figlio mi deludeva un poco e così il vecchio scrittore, che stava per ritirarsi anche lui in un piano di sopra, il piano nobile, dove a poco a poco si fan salire tutti quelli che devono far posto, che son diventati importanti come pietre miliari. Per spostarli, il solo modo è rimuoverli con ossequio al museo del piano di sopra, quello della pensione. Forse avrebbe anche chiuso la finestra e fatto buio, aspettando una notte di luna, in cui la luce sgorgasse tra le fessure degli scuri per scendere in silenzio e andare a pescare, come aveva solo scritto e dovendo scrivere non aveva potuto godersi. Forse.

Mi sentivo perfino carino con la mia cravatta lilla, avevo consultato una rivista illustrata per essere a posto.

Alice (facendo capolino un attimo): zio, posso chiamarti anch'io così? Come sei elegante. Sembri proprio un punk. Ti mancano i capelli in nuance. (Ride).

Io: allora provai un disagio sempre più forte, come non riuscire a trovare la posizione giusta sulla sedia. Provai anche inutilità.

Prima di entrare al circolo avevo incontrato un corteo di scioperanti.

Non sapevo se dovevo rilassarmi e pensare al mare o alla luna, ma anche volendo sentivo il clamore da fuori, i fischi irosi dei vigili che tentavano disciplinare il traffico ormai ingorgato. Pensavo anche alla mia botteguccia incustodita. Scoprii che ero solo. Non mi riusciva di fermare il pensiero in quel luogo ed essere pago. Pensai che era colpa mia, se già prima di Pecos Bill e di Mowglii tra i miei antenati c'era stata una certa Eteria, una di quelle monache che andavano in pellegrinaggio verso Gerusalemme e poi scrivevano libri ricchi di notizie preziose.

Spett.— M’ero già addormentato, ma ora mi interessa. Mi farai vedere di nuovo Catherine Spaak nell'Armata Brancaleone? Non era una monaca, ma se hai fatto un cappello così lungo per presentarmi un film che ho già visto, ci sto. E' uno spettacolo. Per me va bene, aspetto.

Io: Non è che per aver letto Shakespeare tu sia poi così colto. Ad ogni modo continuo. Ormai lo sappiamo che la nostra cultura è un pot-pourri. Mentre mi scoprivo solo e pensavo che una donna come Eteria doveva essere stata la mia fida capostipite, se no non avrei avuto pensieri così nomadi, cercavo anche di risalire al mio ceppo di famiglia maschile. Non avevo dubbi in proposito e più acuto me ne nasceva il desiderio lì in mezzo. Ero discendente di Stiliti, da quando ne avevo letto, avevo già capito. Ora cresceva la conferma.

Spett.: Bada che c'è una cosa che non sopporto proprio: le parolacce. Ammazza, se vuoi, se anche questo non stesse diventando generalizzato e poi in passato c'è stato di peggio, dicevo solo per dire: fai quello che vuoi, ma non tirarmi fuori le parolacce. Ne ho sentite tante che sono come i jeans stinti e i gioielli falsi. D'accordo non so chi siano questi Stiliti, ma non mi scandalizzerai. So anch'io che volevate “épater les bourgeois”. Ormai.. Se vuoi provare anche tu, mi addormenterò sicuro.

Io: Lì in mezzo, come uno Stilita, avre voluto la mia colonna che mi desse un nome da non dimenticare.. Illusione. I monaci che si erano ritirati nel deserto, delusi dal mondo, e che per penitenza passavano parte della loro vita su una colonna, in penitenza e contemplazione,erano stati dimenticati.

Invece da quando li avevo conosciuti e a poco a poco sentiti sangue del mio sangue, mi chiedevo come mai la scelta di una colonna. Non ha significato elevarsi in un deserto. O anche un deserto ha una vita pericolosa di animali in agguato nella sabbia, piccoli animaletti pronti all'attacco, a portarti via la vita? O volevano essere più in alto per essere più vicini al cielo. E come sarebbero stati accolti nella Chiesa d'oggi? Forse incompresi perché si dice che anche la Chiesa si evolve e cerca nuove vie?

Gli Stiliti s'erano allontanati perché incompresi dal loro mondo, ma una labile traccia saliva nel tempo e m'irretiva più che mai in quel pomeriggio. Soprattutto capivo che guardare la luna, appollaiato sopra una colonna nel deserto, doveva essere stato grandioso. Di un'elevazione irraggiungibile. E non dico che lì in mezzo non vi fossero anime elette. Non era questa l'urgenza che faceva sognare una colonna nel deserto.

Il problema era la vita fuori di lì. In fondo se un libro è

davvero un figlio, dovrà, essere occupato, servire all'occupazione, diventare parte del lavoro. Sì che c'è gente che asserisce che ogni prodotto anche scadente va occupato, più è scadente prima va collocato, ma il problema resta confezionare, formare prodotti migliori. E c'è qualcosa in questa storia che fa ricordare che il codice della cavalleria giace dimenticato, ne resta vivo solo lo slogan della spada per gli oppressi, quando i cavalieri uscirono per le vie del mondo e can la spada difesero davvero qualche oppresso. Del codice è rimasta la spada per la giustizia. Essa fu azione tangibile. Quelli che erano fuori dalla corte, la videro, la toccarono, conobbero i cavalieri.

Non andava bene stare nella penombra arcadica lì dentro, diventava sconveniente, uscire fuori tra la folla che rumoreggiava e il vigile che non riusciva a indirizzarla, appariva di molto coraggio e tanto frastuono. Non sarei rimasto preso nell'ingranaggio di quella massa? Per questo sognai un mio deserto. Di più mi nacque una violenta e futile nostalgia: come sarebbe stata quell'isola delle formiche in una notte di luna.

Ma è lei, o dio, è lei. Ma se ha appena partorito, parlando con l'ostetrica m' è venuto in mente che oggi avrei potuto essere padre di quella bimba, appena nata, o lei è davvero un'altra, quella della cartolina "con tanta felicità”. Mi pare che sia più in dietro nel tempo, che le date non coincidano. Io la mia isola l'ho offerta solo a lei, a una. Non posso aver fatto repliche. Vediamo, si scoprirà.

(Si prepara in fretta a riceverla nella bottega di droghiere).

 Desidera, Signora?

Lei: vorrei un abbronzante.

4

Io: scusi, a quest' ora? Ha visto la luna?

Lei: troppa luna, infatti. Ma sono stata per nove mesi ad aspettare un figlio, camicini bianchi di batista, camice bianche pronte per partorire e poi allattare, asciugamani bianchi per il dottore in visita, pizzi bianchi per la culla. Ora, finalmente, voglio abbronzarmi. Nera come il carbone. Basta luna.

Io: andrà all'Isola delle Formiche?

Lei: ci si abbronza bene? Lei c'è stato?

Io: se avessi voluto un figlio, l'avrei messo in opera all'isola delle formiche.

Lei: curioso, lei! Deve essere un po' matto come credono. Un mattacchione.

io:(con serietà, ritraendosi) o no, sono solo da per me e un po' elefante e orsacchione.

Lei:mi fa tenerezza.

Io: ahi, attenta. Vuole consolarmi? Poi non si torna indietro.

Lei: sono incerta.

Io: perbacco,si lasci andare, è la grande occasione.

Lei: sono incerta sull'abbronzante: Venus o Coppertone?

Io: io l'amavo, non l'ho più ritrovata, non è mai lei. A volte mi illudo.

Lei: mi faceva tenerezza il ragazzo grande. Dovevo fare la penitenza, perché avevo perso a nascondino e gli ho gridato, per penitenza, nell'orecchio. Era un ragazzo grande, molto innamorato di una ragazza grande, che rideva di lui con le compagne,dicendo che era così buffo. Gli gridai nell'orecchio: tu non sei buffo, sei simpatico, tu.

Io: e lui.

Lei: rispose che l'avevo assordato come il fischio d'un treno: tu, tuuu e che ero una gran maleducata. Mi tirò la treccia. Dispettoso tu, tuuu-tu, gli gridai.

Io: per dispetto l’invitai all’Isola delle Formiche. Ero venuto a trovare la ragazza, grande come me. "Buffo, caro, insopportabile", mi aveva già chiamato con tutti questi nomi, finché quel giorno decise:"indifferente. Non, se ne parla più."

Quando salii le sue scale pensavo:"buffo, simpatico, caro, caro per sempre, sempre caro. Ne avevo bisogno."

Lei: caro? Quanto costa l'abbronzante? Dice che è caro? Il Venus o il Coppertone? Cosa consiglia?

Io: perché non vieni con me all'Isola delle Formiche,-quest'estate? Glielo chiesi. Ma sapevo che a una ragazza come te si chiede per tornarci ad ogni anniversario. A quell'Isola. All'improvviso sembrava importante che te lo chiedessi. (Le prende una mano): per tutta la vita avresti giudiziosamente pensato al prezzo. Se potevamo permetterci l'anniversario o no, perché ci sarebbero state cose belle e buone e vere da fare, non solo da recitare in pubblico. Allora con te io non mi sarei sentito in ginocchio, già la statua pronta per il cimitero, già un monumento. In ginocchio per l'infinito, con loro.

Con te: o il cielo infinito da un'isola e la piccola luna

adolescente tra i tuoi capelli, nei tuoi occhi.

Lei: lei… cosa sta dicendo? Deve aver la febbre. Ha avuto

l'insolazione.

Io: e se fosse, se anche fosse?

Lei: me la prenderò anch'io, prometto, appena posso, con tanto sole caldissimo. Lo conosce quel disco per l'estate che suonano già in discoteca? Sente la musica? Ogni anno cambia: è vita. Si rinnova sempre uguale.

Ra.:(uscendo di corsa dalla discoteca) — Che caldo! Zio, quando ti renderai conto che la discoteca è fondamentale?

Io: per che cosa?

Ra.: Perché, se io e te, ascoltiamo un disco insieme, magari succede che non c'è più un'età diversa tra me e te. E io volevo solo salire al tuo cuore. Invece noi e anche voi, i grandi, siamo sempre a caste.

Io: hai studiato la storia, no? Per gli Egiziani: i sacerdoti, i guerrieri, il popolo cioè tutti gli altri; per gli Spartani: gli Spartiati, i perieci, gli iloti cioè i senza diritti civili. Gli Indiani hanno avuto i paria, che ancor oggi ti fanno pensare a uno rifiutato da tutti; la Francia ebbe nobiltà, clero

e terzo stato, e ti meravigli se in natura esistono caste e

classi ben precise: i vecchi, gli adulti, i giovani, oppure una di stinzione anche più feroce, che è quella di sempre: chi produce e chi non produce, chi ha un potere e chi no. Questo solo potrebbe essere il punto del riscatto: ogni classe, ogni casta ha un potere, il dramma è la trasformazione di questo potere, ogni volta, a dispetto di ogni rivoluzione storica o di costume, in una forma di arroganza sugli altri.

Tutto sta a dove incomincia la scala: la servitù della gleba, questo è il momento drammatico, la cristallizzazione, l'ancorarsi con violenza a qualcosa facendone un errore,

questa servitù può stare-in alto e in basso.

Ra. — Avevo sete, ti sono venuta a chiedere un bicchier d'acqua, sei in compagnia di una bella signora, siamo partiti dalla discoteca e da un disco, e mi pare che io e lei, la signora la pensiamo alla stessa maniera, possibile che tu debba guastare tutto.

A furia di serietà.

Se c'è una scala —hai detto giusto — è fatta per correrla

gradino dopo gradino. Se sei in solaio con la scala scendi tra la gen te e con la scala da cortile sali a palazzo.

Io: il nocciolo di ogni società è l'utile che si ricava da una persona, ed egli può quanto è utile. Certo con la faccenda del prodotto scadente che va collocato ad ogni modo, per non essere in perdita, hai ben visto che tanti sessantottini, ignoranti e irresponsabili, invecchiando son stati ben sistemati. I genitori dovevano ben pensarci. Le amnistie sul principio dell'utilità sono peggio che cancrena. Vedrai il prodotto nuovo del potere dei sessantottini: sapranno è vero che certi errori non bisogna commetterli, riscopriranno la severità e la legge, ma il metodo, la gradualità dell'insegnamento civile non è stato loro.

Questo è profondamente pericoloso, Per questo una discoteca oppiacea, fumosa che si sostituisce a concetti ben più saldi
di vita, può essere molto pericolosa.

Tanto pericolosa da trasformarsi in un posto dove non si balla fisicamente e si sta seduti,

ma si fan ballare i cervelli tra il fumo, tra un fiume di ciance e parole inutili.

Le conferenze possono sostituire la discoteca con lo stesso risultato: far danzare i cervelli nel fumo.

Ra.— O zio, zio, così serio, con un disco potevamo avere la stessa età, essere sullo stesso gradino. Un attimo, al di là del fumo, del potere, dell'utilità. Ma tu non lo sai più. L'hai mai saputo? Quando torno, ti porterò un fiore di speranza. Per ora vado a ballare.

Io: lo farò seccare. Imparerai a stare al tuo posto. Pfuì, la discoteca.

Ra.— Ballare, ballare, uno due, un due trè. E' la mia vita. La vita è una danza. O zio, zio.

(Si allontana volteggiando).

Lei(con entusiasmo): un disco per l'estate, un libro per

l’estate. Ma sì. Sì.

Io: ma allora non capisce proprio niente. Si è fatta subito

contagiare. Ho sbagliato ancora, non è mai lei.

Scelga l'abbronzante. E' tardi. Sono stanco.

Lei: conoscevo un ragazzo molto bravo in greco e latino, traduceva dal greco in italiano e poi subito in latino, così come niente fosse, avanti e indietro. Studiava sempre.

Un giorno non ne poteva più d'infelicità. Sua madre stava morendo. Venne a piangere dirotto tra le braccia di mia madre. Noi non lo trovavamo buffo, solo simpatico e bravo. Avevamo molto rispetto dello studio. Allora mentre piangeva, m'innamorai un poco di lui.

Io: un poco, solo un poco? Ma poteva essere una vita. Allora meglio così, se è stato solo un poco.

Lei: mi piace la luna, preferisco il sole. Ho voglia di sole e di abbronzante. Un poco, sì un poco.

La vita per me è bianco di coltri di bambino. Nove mesi d'attesa e poi tutta una vita. Ogni sera lascio la luna infinita in cielo, per ritrovarla la sera dopo, lassù, infinita, mentre un sole frettoloso corre intorno alle mie ore con un piccolo bimbo. La luna, la vedo solo un attimo prima di addormentarmi, mentre la luce del giorno,intorno ad un piccolo bimbo, è la mia vita. Lui, il bimbo, è la mia vita. Io non posso avere altro uomo che lui, al mondo. Fa lo stesso, se mi è nata una bambina. La mia vita è colma.

Io: ma io non posso accettare un poco. Allora preferisco essere dappermé e orsacchione.

Lei: ma scusa, vorresti essere la luna? Infinita come un sogno che riprende ogni notte, quando s'alza in cielo. E poi, è ridicolo: luna è donna, dissero i poeti.

Io: allora sii tu luna. Pelle di marmo, argento, sogno.

Lei: ma tu non parli già più con me. Stai parlando a lei, a questa notte di luna.

Per me non c'è che un poco, che si consuma ogni giorno. A sera m'addormento serena. Allora mentre il ragazzo grande piangeva, m'innamorai un poco di lui. Quando fui grande anch'io mi chiese d'andare all'Isola...

Io: delle Formiche? Dillo una buona volta. Dillo per me.

Lei: forse, non ricordo.

Io: e perché non andò, se è ancora qui. Se io son qui.

Lei: per pudore di ragazza grande, non riuscii a dire: “sei simpatico”.

Io: che abbronzante vuole, adesso? Non sa ancora decidere? Ancora incerta, dunque?

Lei: avrebbe insegnato greco e latino ai miei figli, ai figli

che non abbiamo avuto insieme. Avanti e indietro, doppia versione.

Io: certo le lezioni private oggi sono costose. Sarebbe stato un bel risparmio.

Lei: sono incerta. Ormai s'è fatto tardi. S'è messa una notte fredda. Un giorno torno, una volta che ci sia il sole. Mi spiace aver disturbato a quest'ora, ma avevo la malinconia del dopo-parto.

Io: (disperato): dunque non vuol decidere. Non sa mai decidersi.

Lei: arrivederci. (Fa per andarsene, poi torna indietro con affanno). Non è indecisione, mi son ricordata di lei. Non potrò comprare l'abbronzante, almeno finché non potrà usarlo anche lei.

Io: lei, chi?

Lei: la piccolina che ho appena fatto, che è là in culla, dove brilla quella luce alla finestra, all'ultimo piano della casa. L'ho lasciata accesa - una piccola lampada schermata-, che non abbia paura del buio.

Ho letto in un libro...

 

Io: può decidere un libro di una cosa così importante come la vita? Tu ci credi?

Lei: un libro. Sì, un libro. Non posso che parlare così: metà della mia vita sono i libri che ho letto e così per tutti coloro che bene o male studiano è la stessa cosa. E oggi tanti studiano. Metà della nostra vita, quando ti decidi sul lavoro da scegliere, sul marito o sulla moglie che avrai compagno, e siamo ancora così giovani, così inesperti. I libri, con l'esperienza già vissuta, già collaudata, diventano i nostri maestri di vita, i più attendibili. Libri amati o no,compagni e consiglieri sempre.

Chissà se all'Isola delle Formiche arrivano gli uccelli in migrazione. Come sarebbe stata bella un'isola e il mare frizzante, la spuma nell'aria e tanti voli intorno. Come vivere in Paradiso.

Io: il Paradiso è sempre in un'altra galassia.

Lei: mi chiedo cosa mai ti ha reso così amaro.

C'è un'ora precisa, dopo la schiusa delle uova, in cui l'uccellino implume riconosce la mamma, l'ho letto in uno di quei libri che contano per capire. Lorenz, un etologo, l'autore. Se la mamma in quel momento è via, il batuffolo di piume, quel piccolo cuore spaventato - hai mai preso un uccellino in mano e sentito come pulsa sotto le tue dita?— non riconosce più la sua specie.

Gli uccelli migratori,se in quell'istante non sono vicini alla propria madre, perdono la capacità di migrare.

Io: dunque si può diventare apolidi, senza la città dei propri simili, sperduti, smarriti, subito, alla nascita.

Lei: pensa che ignoranza quando si afferma che la mamma riposa più tranquilla, lontana dal suo neonato. E lui piange da solo nella nursery e lei non sente quel pianto che le entra dentro e diventa come un nuovo cordone ombelicale, lo ricrea.

Io: quel bimbo riconosce solo il pianto del suo compagno di nursery, un altro piccolo sperduto. Se non c'è nessun altro neonato, tocca il tubo freddo del lettino di ferro, i buchi della rete che sta intorno. Così da grande riconoscerà come suoi freddo, vuoto, solitudine.

Lei: l'ostetrica mi ha poggiato la piccola sul ventre. Mi stupivo, mi sentivo così dolorante, non mi sembrava fosse un momento da scherzi o convenevoli. E lei, sbrigativa:"deve sentire il suo calore, di mamma”. In quella posizione pancia a pancia vedevo un visino buffo, tutto rughe e occhietti strizzati. Lei,la mia bimba. Appena s'è addormentata, sono scivolata via, avida di un sogno che fosse solo mio: sole e un'isola. Forse giovinezza che brilla lontana, già lontana come un sogno.

Non posso proprio fermarmi, devo tornare di sopra, da lei. Lo sento, e non l'ho letto in alcun libro, ma è stato Lorenz a suggerire, a farmi intuire, che mia figlia si volterà a cercarmi, prima o dopo, non so, nel momento di migrare, di scegliere la sua rotta.

Non capisco bene cosa tu intenda per apolide, anzi credo di

saperlo per quel pianto che ho visto di te, ragazzo, sulla spalla di mia madre e che ti rassomiglia ancora, che hai ancora rappreso in fondo agli occhi o qui all'angolo della bocca.

Quando mia figlia, si volterà per riconoscermi, per far parte attraverso di me, di noi uomini, della nostra razza, dovrò  esser lì. Vorrà migrare e io dovrò esser lì, in qualche modo, a farle intuire la rotta. Non potrò mancare, diventa il compito della mia vita, e non so quando sarà il momento.

Non a caso prima ho detto: un libro, ho letto in un libro...

I libri per capire, come questo di Lorenz, sono stati metà della mia vita e di più, un tutto di vita. Un libro è un tutto. Un figlio è un tutto. Ora non ho più altro da farti sapere. Non è incertezza di scelta o alibi, è così. Questa è la mia vita.

Io: era lei, doveva esser lei. Mi metterei a piangere come un bambino. L'ho perduta di nuovo e non era colpa mia.

Notte, anche se non mi piaci, mi rimani solo tu.

Ora salirò i quattro gradini del piano di sopra. Mi chiuderò là dentro. T'aspetterò. Sei tu, solo tu, alla fine tu.

(Indugiando ancora):

Notte, piangerò nel tuo grembo come un bambino offeso. Piangerò la giovinezza perduta, l'innocenza infranta, l'amore sognato, l'illusione, la quiete mai raggiunta, la paura. Notte, tu non rispondi mai. Mi lasci solo. Sai cos'è un bambino? Mi sento bambino in un corpo adulto, indifeso, esposto all'offesa.

Bambino entrai nella stanza dove erano ammucchiati i doni. Aspettavo il mio regalo, non sapevo d'esser bambino da offendere, da colpire, e attraverso di me, salire più in alto nel colpo vibrato, salire a chi mi aveva generato, a chi mi educava.

La vecchia, che poi spasimò a lungo per una mia telefonata e rivendicava diritti di sangue su di me, aveva preparato di persona i regali per tutti i bambini della sua stirpe. Aspettava seduta in poltrona, compiaciuta del rito della distribuzione. Arrivò il mio turno di pescare nel mucchio. La mamma doveva aiutarmi, non sapevo ancora leggere. Tre quattro anni, non ricordo la mia età.

"Vieni, caro, vieni piccolo; cerca”.

Scuotevo le manine sempre vuote.

“Niente, niente”, commentavano gli altri, "cerca, ancora."

"Possibile che manchi solo il tuo regalo?" "Lei ha pensato a tutti, proprio a tutti."

La mamma esaminava il cartellino di ogni pacchetto, con un sorriso dolce:"non essere impaziente, adesso arriva anche il tuo. Buono, su buono." Poi si ritirò in disparte; in un angolo, quieta, sottile.

Io scuotevo le manine vuote, mancava proprio il mio pacchetto. "Cerca, caro, cerca", suggeriva la vecchia, ma eravamo arrivati in fondo al mucchio di regali, tutti riuniti per la grande festa di famiglia, in una ricorrenza sacra. La vecchia mi guardava con occhi divenuti verdognoli, accesi di un fuoco maligno. Aspettava. Si sospese un attimo di silenzio. Un regalo è importante per i bambini piccoli, gli adulti lo credono. Potevo piangere, pestare i piedi in un bel capriccio, grosso grosso.

"Che vergogna" avrebbe detto la vecchia. "Non si allevano così i bambini". Ma allora non immaginavo se avrebbe parlato così. Lo so, ora, adulto. Avrei potuto gridarle:"brutta, cattiva". Avrei ricevuto uno schiaffo e poi ,da parte avrei avuto un bacio, e avrei conosciuto per sempre la tremenda ipocrisia degli adulti.

Potevo rifugiarmi tra le braccia della mamma. La vecchia doveva sentirsi astuta nel dispetto che aveva così ben architettato. Gongolava sorniona e aspettava la mia reazione. Non guardai più mia madre, con quel suo ritirarsi in un angolo era come se mi avesse allontanato. Faceva così quando era offesa con me, quando si arrabbiava. Diventava molto molto lontana. Però aspettava sempre in quei momenti e dovevo essere io, per primo, a fare qualcosa. Mi sentivo tra due fuochi. Di là una fiamma avida, maligna, imperiosa, di qui una tenerezza, una pena, intrisa di lacrime. Era come se mi stessero tirando da due parti. Guardai i giocattoli... Non erano miei, erano degli altri. Allora mi parvero brutti, come una vetrina, uno scaffale da guardare e non toccare. Non erano per me, non li avrei tenuti mai tra le mani; mai avrei giocato con essi. Per questo mi furono estranei.

Feci spallucce e trotterellai via. Fu forse quella la prima volta che rimasi mortificato dall'umanità. L'umanità, gli uomini, i miei simili. E talvolta vogliono solo offendere. Io, un bambino senza difesa. Perché anche oggi, che sono adulto, non sono diventato più robusto. Sono ancora bambino in un corpo grande. Quella tenerezza di lacrime della mia mamma, che brillava quella sera come un piccolo fuoco spaurito, bagnato, ora è mia davanti ad ogni offesa: come uno smarrimento senza fine..

E anche un malignissimo fuoco verdognolo. Lei, la vecchia, che poi rivendicò compagnia e affetto, anche lei è in me. Ride maligna, lei che mi insegnò cosa vuol dire apolide di umanità. Loro, i grandi, padri, madri, nonni, spesso ignorano che anche la piccola controparte che obbligarono alla vita può avere libertà di scelta. Talvolta il dissidio giunge in tribunale. Solo la pietà del sangue e della carne li salverà dall'abbandono, che così spesso si son ben meritati nel difficile mestiere di educare alla vita. Vorrei contare quanti sono questi apolidi d'umanità, arroganti nella propria casa, sulla propria carne, su una vita, piccola vita indifesa, generata per egoismo.

   Ora vado, è tardi.

 


Un bambino, passando in fretta: ciao,zio. Io: ciao, dove stai andando?

A prendere il latte al bar, la mamma ha dimenticato di comprarlo.

Io: fai presto, è tardi, è già buio. (Tra sé): è notte d'estate e son queste notti che mi fanno paura più del buio invernale.

In questa atmosfera di mezza festa - luci intorno, lucciole dove respira un albero - c'è troppo prossimo in giro, per questo cresce il pericolo.

Fai presto. (Tra sé): salirò, ormai non ho più nulla da fare, né da aspettare. Eppure per un attimo son tornato come bambino e seguirei i suoi passi, a proteggerlo.

(Mentre fa per allontanarsi si sente un tonfo di qualcosa che cade. Poco oltre, dove un muretto costeggia una piccola strada in salita che si perde nell'abitato, poco prima dell'insegna illuminata del bar, due ragazzetti, per divertimento, hanno incominciato a bersagliare con piccole pietre il bimbo che va a prendere il latte.

 

            ( Si sente cadere un sasso).

 

Ragazzi: e dalli, dalli!

(stupito si ferma, guarda il piccolo sasso che lo ha colpito e che si è chinato a raccogliere, chiede): perché?

Rgg.-Sei il primo della classe. Ne hai l'aria.


B. - E se fosse? Proibito, forse? A te che fastidio ti dà? Rgg. -E dalli, dalli! (Continuano nella sassaiola).

B. - Perché?

Rgg. - Sei biondo.

B. - E tu sei bruno, tu perfino castagnaccio.

Rgg.- E dalli…

B. - Basta,  perdio, o m'arrabbio anch'io.

Rg.-Casco di merda.

B. - Questo no, io non me lo lascio dire. (Lo colpisce).

Donna (accorrendo da una porta a fianco ad abbracciare il ragazzino della parolaccia, il provocatore, che ora piange, apostrofa irritatissima lo zio, che si è avvicinato a sua volta): è suo figlio?

Io: se vuole, potrebbe benissimo. Sono tutti figli miei, sopratutto sono stato bambino anch'io.

Donna: non voglio piantar grane. (Aria snob): ma se lei i figli li abitua così. Guardi che è pericoloso, lo ha colpito, poteva fargli male.

Io: e a me fa la predica? Ma ha visto cosa faceva prima suo figlio, insieme a quell'altro che è già scappato? Con coraggio, certo, è scappato con molto coraggio. Ha visto la sassaiola? Lo vede questo? E' un sassetto, ma pur sempre un sasso. E l'ha sentita la parolaccia? Poi i figli, che non ho, sono solo un padre potenziale, io li alleverei così, anzi li abituerei, mentre lei...

(Il ragazzetto che lanciava sassi tenta di allungare un calcio, l'altro alza il braccio per colpirlo, mentre i due adulti li trattengono. Il primo ragazzo sputa).

Io: ha sputato anche... Ma lo vede?

Donna: cosa vuol che sia, per uno sputo.

Io: certo oggi a me, domani a te. Se non altro domani sputerà su noi, gli adulti.

Donna: ma se non è-suo figlio, di che s'impiccia?

Io: almeno il mio tirava dritto per la sua strada.

Donna: poteva fargli male, io l'ho avvertita, se lei che non si capisce cosa sia, padre o no, li educa così, i figli...

Io: mia cara, gentile signora, abbiamo avuto la fortuna di conoscerci così, attraverso i nostri gioielli. Lei al mattino al suo ragazzo non fa recitare la preghiera “Santo Francesco buono  proteggimi” ma quel moderno "casco di merda". Anzi è un classico. Io al mio gli insegno a sbattermi il cucchiaio sulla zucca per allenamento. Vede qui? Mi sto stempiando per quello, per i colpi. Gli dico sempre: picchia, più forte caro.

Ci siamo conosciuti al nostro meglio, mia distinta signora.

(La donna rientra, tirandosi il figlio appresso e sbattendo

l'uscio.)

Io (gridando quasi): La vita è da proteggere. Quanto più piccola, innocente e indifesa, tanto più è da proteggere.

(Cammina avanti e indietro, gesticolando

Il bambino che intanto ha comprato il latte, posa a terra la bottiglia e si mette a guardare a terra.., cercando).

Cosa fai?

B.— Sto cercando il primo sasso. Aveva la punta, ne sono sicuro. Mi ha fatto male, è per quello che poi ho sentito la rabbia montare.

Ra. (tornando fuori dalla discoteca, la cui porta campeggia azzurrognola e fumosa sullo sfondo e muovendosi passi di danza alle note di"tintarella di luna"': o zio, che bello, che musica, che voglia di saltare.

 Zio, ma tu non la capisci davvero la discoteca? Hai scordato? Ti   sembra inutile? Sai, prima ti ho sentito mentre facevi certi

discorsi sul bello e il vero, ecceterissima.. Te ne stai da per te, perché lei non può più ballare? Ha più di trent'anni e nessuno la inviterebbe più, ormai.

Io: chiedo perdono alle trentenni e anche alle quarantenni e più su. Perdono per lei che le donne hanno lunga memoria e ben sanno il loro punto debole: ciò che non si possono portar dietro negli anni. Non aspetteranno che dirle:"che effetto ti fa trent'anni? Buon compleanno. Tanti auguri a te."

La più spiritosa, finora, ai suoi quaranta, freschi di giornata, ha risposto: "una rabbia, mi fa. " Le altre, meno sincere, passano il resto della vita a vantarsi delle rughe d'espressione conquistate e dell'esser diventate donne, non più bambine, come se non lo fossero ormai da tanto tempo.

Ra. - Se vuoi sali pure fino agli ottant'anni. Non mi fa paura. Quando ero piccola, in un albergo con mamma e papà, per il veglione di fine anno, ho visto una ottantenne ballare il valzer. Il cavaliere, lui, doveva avere almeno ottantadue anni. La teneva alta alla vita. Erano così...

Io: pittoreschi? folcloristici? Lo so che il tuo vocabolario è un po' ristretto, ti sto aiutando per la parola giusta.

Ra: distinti. (Si porta la dita alle labbra): al bacio! Un valzer che sarebbe quasi da ballare di nuovo, a farlo come loro. Loro,fini, distinti, educati. Due veri anziani.

Sì,forse ai tempi della pietra, sul far della preistoria,

quando tu zio non c'eri ancora, esistevano davvero persone educate. Non c'era bisogno di tirare in ballo, il vero, buono, ecceterissima.

Che caldo (getta lo scialle bianco che aveva sulle spalle addosso al bambino, che si è inginocchiato per cercar meglio la sua pietra appuntita e, volteggiando al suono frenetico della più recente canzone sulla luna, rientra- in discoteca.

Il bambino resta a braccia levate nello stupore per ciò che gli è piovuto addosso, poi accarezza la sciarpa, facendola figurare a tunica candida).

Silenzio. Un cono di luce su di lui. Il palco è sprofondato nel buio. Passi frettolosi, ossessivi, incalzanti.

Tornano correndo, i ragazzini della sassaiola ed altri.

Il bambino stringe le braccia al petto. Rumore di sassi che cadono.

Io(voce nel buio, rotta d'emozione e affanno): Tarcisio, dio mio, Tarcisio. (Il fanciullo si lamenta appena).

L’avevo letto, bambino, che il piccolo Tarcisio fu lapidato e divenne santo e martire cristiano. Come ne soffrii.

(Una debole luce lo illumina, prende un libro e lo sfoglia, rincantucciato in un angolo, come a sottrarsi alla scena). L'ho letto ieri o l'altro ieri, ne sono sicuro. Non posso aver dimenticato anche questo, che mi provocò tanta pena, da bambino. Hanno tolto i Santi dal calendario, ma Tarcisio c'era, dovrò ritrovarlo. Son sicuro che è esistito e l'hanno lapidato.

Mi sento male, sudo.

(Si spegne il cono di luce sulla brevissima lapidazione).

Io (Continuando): è come se questa storia l'avessi già vissuta mille volte. Per questo sentivo la rivolta montare davanti a lei la donna di prima e  con lei a suo figlio dallo sputo facile e dalla parolaccia pronta. Con lei non mi riusciva nemmeno di essere orgogliosamente cortese. Ma io devo essere "orgogliosamente cortese". Scusate, suo figlio, di quella donna, ha detto soltanto: “casco di merda” una parola come un'altra. Eppure mi sento sopraffatto per ogni orrore

che ha inizi piccoli e dietro un gran vento selvaggio in attesa solo di un pretesto. (Torna in ombra e la luce illumina di nuovo, con violenza, il centro del palco. Anzi ora reciterà anche la luce.

Il bambino è ancora inginocchiato con la tunica candida, intorno altri ragazzetti, una bambina bionda viene addossata ad una rozza croce e intanto spiega): stiamo recitando il Processo a Gesù.

(Il bambino si alza e mettendosi sotto braccio lo scialle bianco, pare voglia allontanarsi).

Rgg. - Che fai? Te ne vai?

B- Faccio tardi a portare il latte a casa, il processo a Gesù l'han già recitato in tanti, non mi interessa molto, non mi diverte.

Rgg. - Fermati, tu farai l'ebreo. S'incomincia.

Sei l'unico ebreo che abbiamo sotto mano, così dobbiamo prender  te, se no, chi vuoi che lo faccia?

(Avverte gli altri): io sarò Pilato.

Ehilà, Ebrei, che volete che gli faccia a Nostro Signore? Ve lo lascio andare?

Bambina (dalla croce): così non va bene, secondo il catechismo prima c'è Barabba.

Pilato: lasciaci in pace con il tuo catechismo! Qui il prete

sono io... Allora vuoi che te lo lasci andare,sì o no?

B. (distraendosi): oh, lasciatela andare. E' così bionda, come la barba del granturco.

Rgg. (protestando): ah no, non era così, non era vero, non era vero! Voi avete detto che bisognava crocifiggerlo! Crocifiggilo, voi avete detto! e allora dillo, tu, diccelo, dì, dì, dì! Ma allora l'hai detto o non l'hai detto?

Bambina in croce: ahi, i chiodi mi fanno male...

B.- Mio dio, che pena! (Con la voce in lacrime): ma no, non l'ho detto.

R.-SÌ, L’hai detto.

R- E hai detto anche, hai detto: lasciate andare Barabba e

crocifiggete Gesù. Non è vero che l'hai detto?

Rgg. - L'hai detto, l'hai detto.

Oh, sporco ebreo! assassino! Guarda cosa hai fatto.

Bambina in croce, esala: “mio dio, che cosa vi ho fatto, ebrei! Oh mio dio, i chiodi, i chiodi...”

Il bambino è di nuovo in ginocchio a terra, gli strappano lo

scialle bianco, riprendono a lapidarlo. Egli cade a terra.

La bambina che si è scostata dalla croce

raccoglie un fiore rosso, vicino ai capelli del caduto e lo leva alto. Se ne vanno.

Frusciano le pagine del libro nel silenzio  tornato profondo.

Sugg.: “era l’anno 1933 dalla venuta di Gesù, bel messaggero dell’impossibile amore.”

 

                             La luce impazzisce.

 

Io: credevo che fosse il mio libro tanto amato di San Tarcisio, invece il titolo è L'ultimo dei Giusti, autore Schawarz-Bart,

anno di pubblicazione: il 1959. Davvero non so se voci più

recenti, abbiano saputo rinnovare questa commozione. Per me non si può far di più, pur se noi tutti non siamo che voci che si aggiungono ad altre voci.

Per me il mio Tarcisio, santo che non trovo più nell'enciclopedia, e questo piccolo Erni, ebreo, destinato a diventare l'ultimo dei giusti ed ogni bimbo offeso con una pietra o con una parola-pietra, di nuovo, oggi di nuovo, si saldano per me in una lunga visione d'orrore. Mi nasce un intenso sentimento.

O notte, il tuo dolore s'è fatto carne.

Mi nascono dentro e sulle labbra altre voci per ogni delitto, per ogni guerra. (Recitando con misura): “un'intera nottata/ buttato vicino a un compagno/ massacrato/ con la sua bocca digrignata/ volta al plenilunio/ con la congestione/ delle sue mani/ penetrata/ nel mio silenzio/ ho scritto lettere piene...”

O suggeritore, continua tu, concludi tu. Io non posso. Sono sopraffatto dall'oggi.

Sugg. :“ho scritto/ lettere piene d'amore./ Non sono mai

stato/ tanto/ attaccato alla vita”.

(Ungaretti, nel dicembre 1915, all'inizio della prima guerra mondiale).

 

 

                                Atto II

 

Io: una volta correvo incontro agli altri con gioia, con il cuore rovesciato come un guanto, per tirarli dentro di me, accoglierli, adesso diffido di tutti, ho quasi paura.

Cercando un tutto, ho perso tutto?

Basta! (lo grida).

(Risate e più alta la musica di discoteca, la più infernale e frenetica possibile per dissonanze .

Sale i quattro gradini, brontola tra sé e sé "basta, basta, non mi avranno."

(Violento rumore di colluttazione non appena ha aperto la porta, un uomo, quasi scavalcandolo, lo spinge indietro, giù per gli scalini. Lottano in mezzo alla piazza).

Io: in casa mia? Al ladro!

(L'altro gli tappa la bocca e l'afferra alla gola, urlando stravolto):

Io ladro? Tu, ladro, tu, maledetto!

Io: al ladro..: (debolmente, divincolandosi). Avevo già chiuso con la città umana, ma non me ne andrò senza averti messo a posto, per ché tu sei peggio di loro.

Ladro: io peggio? Tu. Disgraziato, sciagurato.

Io: cosa facevi in casa mia? Rubare, vero? Togliere a chi ha

lavorato. Le mie cose, mie perché non mi hanno mai tradito, sai? Hai fame? Vuoi del pane? Ecco un panino- per te, uno sfilatino o una rosetta? Una lunetta di farina finissima, impastata col burro, dorata al forno come piena di sole? O vuoi un pan de biga o un kaiser o un kipfel? Nella mia città, dove sono nato, son così prepotenti riguardo al pane che non si contano le diversità di forme, han colto l'uso del pane da tutto il vicinato.

Una civiltà del pane!

Ma tu no, a te non basta scoprire, imparare, trarre lezione, no, tu volevi rubare. Eppure se lavori, il pane lo trovi. Vuoi anche del latte con il pane? Credimi la zuppa di pane e latte è meglio che latte e biscotti, anche se i neonati di adesso, allevati a biscotti, non lo sapranno mai. In casa ho perfino un pentolino apposito, che non lo lascia scappare, è di acciaio, con doppio fondo. E allora?

Ladro: gradirei un caffé, piuttosto.

Io: originale il mio ladro. Vuole il caffé.

L. - Sì, e con poco zucchero 

Io: forse un dolcificante?

L. - No, mi guasta il sapore.

Io: ma non capisco proprio più niente. Bene, vada per il caffé. Facciamo così torniamo in casa. Entra, siediti, ti preparo il caffé. Dopo.

Prima mi spiegherai, vero? E Questo solo per lei, la notte. Il ladro è sempre stato complice suo, della notte.

Per te, mia notte, che presto sarai solo mia. Tu aspetti da secoli, io vengo sai, solo un attimo ancora, il tempo d'un caffé, per capire questo tuo arnese da forca. Cosa hai in comune tu, altera e misteriosa, e cara, cara, infinitamente cara, con questo pezzo da galera?

Mi avrebbe portato via le mie cose. Loro non tradiscono, sai. Non mi hanno mai tradito. Un quadro è bellezza, una coperta è calore, apri una boccetta e hai il profumo d'un fiore raro, senti la brezza del ventilatore sulla pelle che brucia, hai tutto a farla breve. Le cose sono tutto.

Non le persone che non sai mai cosa pensano, cosa vogliono, cosa ti riserveranno. Ma io ho già chiuso con loro. Un momento e poi basta. E allora, ladro?

L. - Li vedi? (Toglie un malloppo di fogli che teneva, sotto il giaccone di pelle).

Io - (nel riconoscerli tenta di strapparglieli, ma l'altro fa resistenza. Gli accarezza la giacca, prendendo tempo.) Bella questa pelle nera, alla Marlon Brando, ladro in pelle nera, ma questi no. No. (Cerca di sfilarglieli con una mossa abile). Tu non hai bisogno, non hai fame, non sei disperato. Hai la pelle nera, il giacchino alla moda, moda per ladri? Dammeli i miei fogli. (Glieli strappa). Questi no. Mai. Sono miei.

L. - Si lascia andare su una sedia e piange.

Io: Rido, sai. Tu non soffri. Tu sei un porco.

Non l'ho mai usata questa parola in vita mia. Solo quando avevo un cane e mi ha fatto la sua robaccia lì, in questa cucina, per terra. Lì vicino a dove mangio e ho la mia caffettiera e il mio vassoio da scapolo. Volevi il caffé sul mio vassoio, vero?

Guarda che bell'arancione solare, allegro di prima mattina, quando fuori piove ed è grigio. Multiplo, con il posto per il bicchiere, la tazzina che si riempie di quell'aroma nero bollente, con il filo di vapore che ti entra nelle narici.

Ci scaldi le dita a stringerla. Con il posto anche per il cucchiaio,la brioche fragrante. E' morbida sotto le mani, tonda sotto queste dita che la sentono, la palpano, la carezzano. La brioche è voluttuosa. Se hai il giacchino di pelle, potevi permetterti anche lei, no?' Avere una tua brioche. Vero? E tu no, invece. Tu vieni qui, la notte, da sconosciuto, penetri a casa mia, vuoi rubare i miei fogli. Porco!

L. — Tuoi? Tu hai rubato -la mia vita. Venivo a riprendermela. Le cose non sono niente e tu lo sai. Sono questi fogli il tesoro da custodire in cassaforte. Lì ci sono i miei pensieri, i miei sentimenti, tutto il mio amore e il mio dolore, la voglia di morire, l'ostinazione a vivere. Tu mi hai rubato tutto. Come hai potuto?

Vuoi i nomi? Disgraziato, come hai potuto?

Lei! Che ne sapevi di lei? Come l'hai conosciuta? Dove, quando? Vigliacco. L'hai chiamata con un altro nome, ma io l'ho

riconosciuta. C'erano le sue spalle piene, il suo broncio quando è in certa. Non sa mai cosa decidere così su due piedi, prende tempo. E' così dolce quando dice sì, come prendere in mano un pulcino.

Io: sentimentale! Non ti permetto di parlare così. Hai letto i miei fogli e me li stai rubando. Ne fai cose da dozzina. Confondi forza del sentimento e rotocalco.

Ma guarda che io ti uccido. Così sarò del tutto loro, delle

Erinni, le furie, le figlie della notte. A loro mi affiderò:

assassino sì, ma anche assassinato già prima di uccidere. Che almeno loro mi vendichino, mostrino le colpe. Sarà più lieve farsi apolide. Io, assassino, apolide d'umanità, per legittima difesa. Tu non me la tocchi. Io l'ho amata, l'ho sognata.

L. — Tu me l'hai portata via e non ti è bastato. Mi hai preso anche mia madre, il giardino, perfino il cane. Forse non ce l'hai ancora messo in quelle pagine, io ti ammazzerò, perché tu non possa commettere altri delitti. Basta, credimi, è quello che hai fatto. Il mio cane ha proprio lasciato andare quella sua robaccia, come la chiami tu, in cucina. E sì che era sempre stata una bestia pulita. Proprio in cucina dove c'è anche il mio vassoio, che è in tek non questa porcheria di plastica. Perché, quello che mi offende è che tu non racconti le cose come sono mie, come sono state mie. Le rovini, le sciupi, disgraziato. Plastica arancione per te  è solare in una giornata di pioggia, tek invece è come il legno naturale degli alberi nelle foreste: prima ha respirato nelle foreste e poi la mano dell'uomo l'ha levigato, gli ha trasmesso altra vita, un'altra intelligenza oltre al respiro. Questo legno è distinzione per ciò che suggerisce, che lascia immaginare. Ma tu cosa fai? Immiserisci. Profumo, sapore, voluttà dei sensi, tu non ne dici che la millesima parte, di come sono davvero. Il mio cane stava male quel giorno. Gli gridai porco quando vidi che aveva sporcato, poi capii e temetti che mi mancasse e mi vergognai di me.*

Tu mi hai rubato queste cose e non hai voluto dar loro il posto giusto.

Io: non è vero, io non ho ancora parlato del cane, lo farei per dire invece... Se ormai avessi il tempo di parlare ancora. Come farò se la notte mi aspetta, se ho già detto basta e me ne voglio andare da questa città. Anche per quella vergogna di me, quando gli urlavo la mia collera e non sapevo che poteva mancarmi. Per ché sì, io ho questa coscienza tremenda di cose che non ho visto, che non ho capito a tempo. Sono le occasioni perdute. Infine lo vidi star male. Ero intenta a pulire e brontolavo, brontolavo e non lo guardavo. In collera. E poi io vidi che aveva grosse bolle e vesciche su tutto il corpo. Non l'avevo guardato prima, mentre gemeva, pensando che volesse farsi compatire, e così io mi vergognai tanto. Possibile che ora, questa notte, io trovi chi ha conosciuto la mia vita. Tu come me?

L. - No, io come te mai. Solo nell'apparenza, sai. Tu continui a dire io: io non lo guardavo, io ero in collera, io pulivo, io non sentivo che gemeva, io mi vergognai, io io. E prendi uno specchio, una buona volta. Mettiti lì davanti e dì pure: io io io. Da solo.

 Non tirare in ballo gli altri, bada, se no, il porco sei tu. A

vita. E se non ti ammazzi, ti ammazzo io, per non sentirti dire più io, io, attraverso di noi, di me.

Te la ricordi la sua zampa? Tesa a chiedere aiuto.

Gemeva e aveva allungato la zampa in avanti, con

l'aristocratica ghetta bianca. Il mio cane aveva le zampe bianche, all'estremità, come se portasse le ghette. Distinzione.              --
Ma tu questa parola sai cosa vuol dire? Ne hai fatto una cosa di gomma, buona per tutto, per tutti gli usi. Se tu parlassi di un cane, parleresti di tutti i cani ed era solo il mio. Me l'hai rubato.

Io: No, un momento. Il mio cane aveva le zampe nere, non era di razza. Un bastardotto piccolo, un batuffolo. E anche lui tendeva in avanti, strisciandola sul pavimento a fatica una zampina scura, mentre stava male e si sentiva morire. Chiedeva tutto il mio amore. E se dico "io" è perché io solo potevo darglielo in quel momento. In queste pagine che tu mi vuoi portar via ci sono io con tutto il mio amore disperato.

Non posso più barare, mi hai carpito il mio segreto. Se ero solo, se avevo patito ingiustizia, se mi sentivo offeso e anche se dovevo far chiaro dentro di me, mi mettevo lì al mio tavolino, il cerchio di una lampada illuminata che rompeva l'oscurità e rendeva la carta tra le mie mani, ancora più bianca, candida. Lì, con molto rispetto, mi confidavo. Pian piano imparai a lasciare indietro le parole inutili, a scavare nelle ragioni, nelle cose. Una volta, per un errore di gioventù, avevo provato a scrivere un libro. Era il tempo in cui avevo provato a frequentare i posti dove le signore siedono con una rosa in mano e i vecchi scrittori alzano il canto del cigno. In quel libretto avevo messo le cose che possono piacere anche agli altri, ero stato molto attento al prossimo, mi ero fatto una foto altamente truccata: questo sì, questo no. Sceglievo per gli altri, non volevo rompere l'obiettivo, cercavo di dire“cheese"

per sorridere amabilmente. E tutti approvavano amabili, ci scambiavamo convenevoli.

  Vidi una mano dietro le mie spalle levarsi, mentre la voce diceva a presentarmi:"è stato veramente bravo, un bel libro." La mano faceva segno che quelle pagine erano state pubblicate a pagamento, con le dita, vedi, così... Quindi era un libro finto se a pagamento, quindi una bravura finta se è a pagamento. Non importa che intorno ti si dica "bravo" con amicizia o ipocrisia. Un libro vero ti prende alla gola, ti prende per mano, ti porta con sé e fa di te tutto quello che vuole lui. E' una foto con le rughe, con la disperazione dei lineamenti alterati, con il naso soffiato per ricominciare, con la risata schietta a una buffa cosa improvvisa.

Non è poi tanto buono un libro vero. Ti dice: qui ci sono io, qui debole, qui arrogante, qui antipatico, qui inammissibile. Ti ricevo a casa mia a farti conoscere quello che tu non vorresti: lì c'è polvere, e una ragnatela con un subdolo ragno, lì c'è di peggio, dietro quella porta c'è qualcuno in agguato, che tu non conosci. Io ho paura ad aprire quella porta da solo, per questo ti ho fatto entrare, per aiuto. Se ci fosse un ladro là dietro, se mi rubasse tutto questo che è nella mia casa, se mi spazzasse la ragnatela per dimostrarmi come si può essere puliti, se mi gettasse nella spazzatura quella cartolina con "tanta felicità" di lei che non ho più ritrovato e che forse ho sognato di incontrare, se mi prendesti il vestito nuovo per disapprovare:"che cattivo gusto!"... Quella porta mi fa paura. Apriamola insieme.

Se il ladro ti dicesse:"voglio la tua vita. Tutta."

La tentazione di dargli piuttosto la borsa è grande, pagare per pubblicare un libro è come barattare una borsa di denari con una vita. Può una vita stare davvero in un libro? Come puoi dire che hai pianto, sei stato a terra, ti sei illuso, hai sognato, dirlo nella misura in cui hai sentito? Ladro, gli dirai, ti do ogni cosa, ma non la mia vita. E se di là della porta c'è soltanto uno che vuole essere invitato a casa tua, perché gli piace la tua ragnatela, il tuo abito non giusto per l'occasione o fuori moda, perché gli piaci tu, e ti propone:"apri la porta, facciamo insieme questo tuo libro che è vita. Tu lo hai scritto, io rido quando hai riso tu, piango, quando hai pianto tu, ho paura come te. Ma ho più paura di tutto di quella porta che può chiudersi fra di noi. Diventiamo complici e compari. Ti va? Io ci sto.

Il tuo libro ha bisogno solo di me. Io e te è come un amore.

Invece diceva uno:"l'ho premiato per quello che ha scritto, perché ha già conseguito molti premi. I premi come le noccioline, uno tira l'altro."

Diceva una che scrive: “ho conseguito cento premi, aiutatemi a parlare alla gente comune di quello che voglio. Se cento sono stati miei, tu che non mi conosci ancora unisciti."

E io dissi che no. Cento e uno no. L'amore. è a due, non a cento e uno, basta che con quello che si scrive si sappia far sognare, ma quando si sogna si è sempre in due.

Disse uno: “la carta patinata dà lustro a ciò che si scrive. E' un'aspirazione."

Pensai:"è meglio pubblicare su carta igienica? Prima e dopo la necessità, ti accorgi delle parole vere che ci sono lì sopra: prima ti infastidiscono, poi te ne bei a necessità avvenuta. Un libro non sostituisce un bisogno naturale: fame o sete o freddo, ma appena calmati questi stimoli, è il libro che sazia e disseta e scalda. A lungo, nel tempo. Quindi non importa la carta, il tipo di lusso o carta straccia, basta che sia lì quan do ne hai bisogno.

Dissero anche: molti libri sono prodotti di scarto e proprio per questo vanno collocati al più presto. Lavorare oggi è prostituirsi: un piacere a te se tu ne fai uno a me. Ti impresto il mio occhio di vetro se tu mi dai la mia stampella.

Pensai: “mani pulite” e mi venne da ridere,ricordando il film "giù le mani sporche dalla città", se il titolo è esatto, ma ridevo pensando che tutto era più semplice di come si

voleva far apparire. Per esempio incominciando a tener pulite le unghie, era già un segno di civiltà. Così mani pulite potevano essere quelle dei nanetti che hanno fame e devono passare il controllo di pulizia da parte di Biancaneve. Così perché il lavoro non fosse prostituirsi come dicevano amaramente, bastava cercare di produrre meglio. Bastava ritrovare un costume pulito, un modo d'essere decente. Forse sarebbe seguito anche il resto.

Mi dissero: i libri si pagano.

Replicai: aspetterò di mettere al mondo un libro vero che sia una forza, che non abbia bisogno di prostituirsi, che si presenti a mani pulite, in semplicità. Aspetterò al mio

tavolino. Qualcuno disapprovò: in una città non si può stare da per sé, cos'è questo sussiego?

Qualcuno suggerì: una presentazione, questo ci vuole.

Risposi: non ne vedo la necessità. In fondo sono io che fatico e soffro al mio tavolino, non è l'Autorità cui dovrei farmi presentare che mi scrive i libri. Allora poiché è roba mia e non sua, se questa Autorità,di mestiere o professione esamina libri, il suo indirizzo deve essere pubblico, sull'elenco telefonico, con vicino una sigla che significa questo:"esamino libri." E poi mi accorsi che la mia trovata non era poi così intelligente, per ché un critico letterario, uno scrutatore d'anime, sarebbe diventato un avvocato a parcella, un medico a onorario.

Dissero ancora: a chi rifiuta le presentazioni si riserva il

silenzio fino a ché non si stanchi di produrre. In una società si sta alle regole.

Allora pensai che l'ultima spiaggia era una gara, un premio

che permettesse alle mie pagine di ricevere onore e diffusione. Volevo onore per esse,non pagamento.

Dissi: ho pronto un libro, l'ultimo, il lavoro di tutto un

anno, ma la scrittura è durata un anno, mentre gli anni di composizione sono stati di più: è la mia vita. Ora son qui.

Disse: la data di presentazione è già scaduta.

Dissi: è così grave? Non è un gran ritardo, conoscete la mia fatica, lasciatemi provare. Credo in questa gara.

Rispose: no, è il regolamento.

Dissi: non so, se il prossimo anno, avrò nuovo materiale. Procedendo, consumo sempre più energia, cresce l'intensità, come se da una pittura, passassi a scolpire in una materia aspra, non duttile di colori che corrono sulla tela. E devo aver forza per tener dietro a questo nuovo procedere. Mi stanco molto. Mi sento debole. Aiutatemi ad aver coraggio.

Rispose: il prossimo anno; parteciperà con questi stessi fogli. Dunque è scontato che nessuno li vorrà fino ad allora, pensai. Mi sentii un po' triste, ma non mi arresi.

Qualcuno capirà, non sono solo, qui c'è la mia storia.

E' fatta di piccole cose, ma di queste solo si vive, i grandi fatti si studiano nell'enciclopedia e sul libro di storia. Anche di essi si vive solo un frammento, mentre enorme è l'energia di sentimento che si consuma nei particolari. Quindi agli uomini non poteva non interessare la mia storia umana, non mi avrebbero lasciato fuggire dall'umanità.

Mi risposero che la persona cui mi ero rivolto perché traducesse per gli altri la mia scrittura, dando corpo alla mia recita, stava male, che avessi pazienza. Al pomeriggio un'altra segretaria. mi fece sapere che era in viaggio. Come poteva star male, se era in viaggio. L'aver pazienza non significava che aspettare un tempo plausibile perché le mie carte mi ritornassero con qualche scusa di cortesia. Sentii che qualcuno ironizzava perché in fondo all'ultima pagina c'era perfino una macchia d'unto. Può l'unto far parte d'umanità? L'umanità è asettica. una macchia significa: disordine, sciatteria. Per eccesso di umanità avevo troppo tormentato quei fogli, leggi e rileggi, fino alla macchia incriminata. Così fui più triste e tornai a casa con le mie carte e aprii la Tv e si svolgeva una storia oleosa. Forse sarebbe bene usare il termine oleografico, ma come si può definire qualcosa come tanti fogli, tutti macchiati. In fondo in cucina ci si accontenta, non tutti son giorni da manicaretti, ma c'è qualcosa cui non si può rinunciare o si rinuncia con la sensazione di aver perso un bene irrimediabile, un lusso necessario. Questo può essere una tovaglietta allegra, un vassoio originale, un fiore come segna-posto, una presentazione che fa scusare la preparazione frettolosa. Non ci sarà gusto e sapore e non verrà l'acquolina, resterà una cosa garbata.

Fu lì che vidi la mia lei che avevo amato. Mi era bastato veder la camminare per una via,un grande scialle sulle spalle a perdersi sulla vita sottile. Un portamento altero. Per capire se una donna è bella la devi osservare di schiena. Davanti ti imbroglia con gli occhi, il sorriso. Invece falla alzare, dille "cammina", osserva come lascia la stanza, come esce e puoi capire. Lei era veramente lei. Sai cosa era diventata quell'alterezza fragile, lei con quel viso d'angelo capriccioso e tormentato, lei con il profilo da cammeo: una qualunque. Se l'avessero saputa guardare loro, quelli che l'avevano fatta recitare, sarebbero stati soggiogati. Lei poteva diventare Grata Garbo, ma ora forse non rinascerà più nei sogni, nemmeno nei miei. Come

attrice avrei chiesto i danni. Capisco che gli ideali non sono uguali per tutti, ma non è troppo rendere la divina Grata una qualunque. O questo era un astutissimo artificio di prodotto per il mercato, lei, così diversa, una come me e come te? O sacrilega ignoranza del bello o astuzia volpina. Di persona non lo avrei mai saputo, perché non avrei riportato altre carte a quella porta.

Sugg. - Scusa, hai finito? Laggiù c'è ancora lo spettatore, forse si è addormentato, ma ha pagato un biglietto e tu lo sai. Il ladro, che ti ascolta, deve sentirsi molto in difetto, se non ha ancora preso la porta. Pensare che da parte nostra ci sono sempre state tutte le migliori intenzioni nei tuoi riguardi. Ma tu te ne approfitti, vieni qui e racconti questa storia piccina, noi aspettavamo una vita in due battute. Io: non è mai stata una recita la mia. Una finzione. Ora ho finito. Queste cose che ho detto così piccine, mediocri, inconsistenti, non contano proprio nulla. Lo spettatore forse non se ne è andato e il ladro, almeno lui, è ancora qui consapevole. E' caduto l'ultimo velo sciocco, futile:"che almeno ciò che vuoi scrivere sia fatto bene. Che sia una vita." Mi par di

sentirle queste parole, le ho già sentite. Insomma se non avevo accettato di offrire una borsa di denari per le mie carte, io stesso ero ben convinto della loro pochezza. Ritardavo per quello, non per più nobili principi. Forse erano anche pagine sconvenienti, di cui aver paura, ed io per primo le temevo. Invece no.


Non dico che fossero pagine grandi, che non ci fosse pochezza e semplicità e ingenuità umana in esse ed avevo provato quel tremendo pudore di confidarsi che è più che paura, un’angoscia. La macchia d'unto forse era un imperdonabile errore, ma tanti altri avevano il coraggio di ben più intollerabili errori.

Così ho capito che non c'è, nel mio caso, da costruire un'opera ben fatta; giorno per giorno, umilmente ho lavorato come sapevo per questo; né c'è la necessità di accettare una o l'altra di quelle piccole, meschine proposte, di quei piccoli credo commerciali. E perfino il tempo che passa non può più nulla non si possono nascondere le pagine una sull'altra, pur con la loro macchia di cucina, che significa: "sei entrato nella mia casa, hai visto."

Sugg. — Fermati, stai abusando di pazienza.

Io: non puoi niente, non puoi fermare. Lui, il ladro è qui, per ché sa,ed ora ascolta bene.

Un solo compito ho individuato: aggiungere la mia voce alle

altre. E questo per una mia esigenza incoercibile. Allora e sol tanto allora, dopo tante prove, ho capito che significa:"Io". Per questo ora rifiuto di farmi defraudare e scuoto le spalle di fronte ad ogni contrarietà che allunga il tempoTu vorresti impadronirti della mia pelle, ma non puoi, perché è lei a gridare "Io" così come è fatta. Io ho già parlato anche per te. Fammi credito almeno di questo: non ho mai detto io per ritirar mi sdegnosamente dagli altri. Tanti passano la vita a dire di sè: ho incarnato di rosa e capelli di seta e cuore di fiamma e tocchi che capiscono, come se a dirle queste cose divenissero più vere. Solo una mistificazione in più. Quello che sei lo vedono gli altri, non hai bisogno di dirlo tu. Io, ti dicono, non saprei chiudermi al tavolino, né lavorare notte e dì. E io accetto e non trovo che sia un merito se ho passato la notte a questo mio tavolino. Per me è naturale: solo così a me sembra di parlare davvero ai miei simili e di non arrendermi agli apolidi di umanità. Non farmi robot di schiavitù e mode. A queste pagine, ogni giorno, ho confidato una battuta di me e non ero più io, era la recita su un palco infinito. La recita della vita.

Sugg. — Per rendere la verità che ti stringi come tua dovevi imparare la precisione. Se per la fretta di mettere una pagina sopra l'altra tu ti fossi ingannato, se tu non avessi lavorato bene... E poi che razza di vita... Grande?

Io: so che anche questo scotto dovrò pagare. Ho già accantonato il problema del fatto bene e del grande. Ora sono cavilli per coprire che questa pagine, scritte con dolore e malinconia e non per dire io, ma io e te, 'io e gli altri, rugano dentro, ora l'una ora l'altra e si sente. Sarò mediocre nel rappresentare quella pienezza che sfugge da ogni parte, ho chiuso la finestra, ho lavorato di notte per viverla dentro di me come un cieco che sa. Non hai bisogno di spiegargli. E' il colore della voce, anche chi è cieco sa, capisce cosa vuol dire.

Prava a dire a un cieco:"è stato duro e faticoso." Risponde: l’ho capito dalla tua voce. E tu credevi che la tua voce fosse smaltata di speranza.

Quindi se qualche apolide d'umanità, di quelli così ben inseriti nella città degli umani,sotto mentite spoglie, si sente vacillare, per quello che potrebbe intaccare la sua eresia, il suo

comodo, il suo interesse e ti vuol costringere al silenzio e come ultimo appiglio, afferma arrogante: ha lavorato giorno per giorno, inutilmente, non ha avuto né soldi né successo;


 

tu sai che pensare ai soldi e al successo, è pensare come vogliono loro.

Loro, i senza città, i senza patria. Solo di lui, del successo, del consenso, del denaro hanno fatto il padrone. Anch'io so che talvolta bisogna lasciarsi avvolgere dal denaro come dalla terra

in morte, ma soltanto per capire che il primo padrone è esser uomini, il secondo ed ultimo farsi terra per rinascere negli altri, per i passi degli altri.

La recita s'è infranta per verità, davanti al cieco. Tu sei lì a nudo, dì fronte agli occhi che non vedono e vedono di più. Non hai bisogno ormai di spiegare nulla, nemmeno io e te e gli altri e non ho mai voluto esser da per me, nemmeno questo. Se il vento gira queste pagine, una per una,mediocri e mal fatte e frettolose, la tua voce non sa ingannare, nella gioia e nel dolore. E questa è vita. Per questo tu, suggeritore, cerchi di interrompere e non puoi, per questo tu, ladro, sei venuto qui.

Tu sapevi già che  erano pagine importanti, da rubare a far tue perché non sono mai state solo mie.

(Si sente bussare lievemente).

Io: o sei tu...

(Con imbarazzo, rivolgendosi al ladro): è arrivata lei. Cioè: questa signora prima voleva un abbronzante. Poco fa è passata dal negozio.

L . - Non c'è bisogno di cercar scuse tra noi, alibi. E' stato un amore?

Lei: non capisco. Non c'entra niente. Un pensiero non mi lasciava dormire. Intanto vorrei sapere se stai bene. Vedo che sei in compagnia.

L. - E' un ladro.

Lei: allora è un amico che voleva divenire padrone di qualcosa di tuo, così non lo puoi ignorare se dividete qualcosa, che prima era tua, che poi lui si prénde e fa sua. Ormai siete in comune.

L. - Interessante, forse vero. E dell'amore che pensa? Era quello il pensiero da non dormire? Lei: che un amore mi va bene solo se è limpidissimo. Ma non era questo il pensiero che non lasciava dormire.

L. - E allora raccontalo questo tuo limpidissimo amore, come se fosse l'ultimo pensiero. Questa notte, qui , per poco non c'è scappato un morto.

Poi sarà anche nostro, ladri e complici. In comune.

Lei: ero a terra. Mi sentivo vecchia, brutta, molto incerta. Uscivo da Messa. Un bambino mi corre incontro, mi tende una caramella:"come sei bella signora. La vuoi?" Ha occhi innamorati, come uno specchio. Non mi lascia divagare, io sono tutta racchiusa nel suo sguardo. Lì, dentro di lui, ero bellissima. A dire per sempre, come è giusto per l'amore, vorrei che fosse così. Dicono che quando si sta per morire si ricordano cose strane. La stele di Rosetta, la rivoluzione francese? O iI geranio in  balcone? Ricorderò solo quel candido bambino.

 

Io: è lei. Quando la incontro di nuovo,lo capisco. Hai trovato tu per me le parole con cui vorrei chiudermi negli occhi della Notte.

L. - Vado, ho rubato una fiaba. La stringerò forte. Ti accontenti davvero di uno sguardo di bambino?

Lei: per ora ho un bambino che pesa tre chili e mezzo. In braccio è un fardello lieve. Torno a dormire. E' una notte calma e tranquilla. Forse mi riuscirà di prender sonno.

Io: scendete pure, farò luce sulla scala.

L. - Non occorre c'è una gran luna tonda. Dici che tuo figlio pesa solo tre chili e mezzo. Pensi che peserà di più? Lo temi? Lei: che ladro curioso.

Io: è originale, voleva il caffé.

Lei: dovrà pur crescere mio figlio. Non peserà finché ne sarò padrona, con  l'occhio vigile su lui. Veglierò su  questa mia figlia al suo fianco, allo stesso modo della padrona di casa, che all'alba visita il solaio e alla sera la cantina, prima di chiudere il suo giorno, per controllare, per sapere se tutto in alto o in fondo è al suo posto. Così la casa fiorisce. La padrona osserva, veglia, tenta i rimedi. E ogni peso di mia figlia sarà anche mio. Al momento che ignorerò, perché dovrò consegnare la chiavi, allora sì che peserà.

Io: ma e la rotta, di cui parlavi?

Lei: mi peserà tremendamente per il timore di non poterla proteggere, di non sapere se soffre. Ieri una navicella spaziale è salita nell'infinito per tornare poi sulla terra. Splendidamente. Appena la mia bambina saprà tenere i pastelli in mano, ne disegneremo una uguale, proiettata verso lo spazio, l'infinito.

Io mi consumerò così, un poco ogni giorno, anche per lei, insieme a lei. Con tutta la mia passione, che significa vivere insieme qualcosa. Per ora ho le chiavi.

L. — Anche quando piange di notte e tu vorresti che stesse zitta e non sai più cosa fare per non sentirla, anche quando sceglie sempre cose e persone che non immagini, che tu non sceglieresti, che non ti appartengono?

Lei: un giorno scoprirò che qualcosa è cambiato, che non siamo più solo io e lei. Comprerò un abbronzante, solo per aver l'alibi di andare su una spiaggia con tanto sole, finché il cervello non mi diventi uovo sodo. Anestesia, insomma. Intanto sentirò rumore d'acqua, rumore di tempo. Allora mi alzerò per guardarmi allo specchio, senza sfuggire ai pensieri che mi facevano paura e non mi lasciavano dormire la notte:"io le insegnerò la rotta, ma la mia rotta , quale sarà? Qual è il mio significato?"

Mi dirò a pensieri divenuti lievi e gioiosi: tua figlia ama ed è amata, sei fortunata. Sorriderò e aspetterò che lei me lo dica. Dovrò consegnare le chiavi, ma sarebbe peggio se a lei mancasse questo tesoro d'amore. E il mio peso si farà più lieve, pensando a questo, pur se vedrò che è incompresa o soffre.

Io: o notte, siamo di nuovo io e te, come nelle altre notti, quelle delle, pagine al tavolino. Lei,-perché avevo ragione, l'ho riconosciuta, mi ha fatto scoprire il senso che riscatta una fatica inutile, un prodotto non riuscito e un limpidissimo amore  per questo mio lavoro.  Ora conosco la vera risposta per l'apolide che vuole sempre consensi intorno a sé, che vuol esser certo di ragione, perché ben conosce la sua coscienza scardinata, che ha bisogno di questi orpelli per coprirsi e che dirà:"manca in quelle pagine la pienezza di vita, che voleva raggiungere”. La risposta è questo oscuro consumarsi, travasarsi giorno per giorno in questa scrittura, al chiarore di una lampada. Non c'è solitudine. Farlo davanti ai miei simili, scrivo le pagine notturne della mia vita. Scrivo come sento. Non tutti sentiranno come me, ma -questa è la mia ragione - rispetteranno o condivideranno per quel colore della voce che non inganna nemmeno chi è cieco. E il verdetto, l'ultimo verdetto, è l'abbraccio di un cieco:"ho capito." Davanti a chi non vede, tornerò per fargli conoscere il prato che è dietro la casa, la piazzetta con gente che va e viene, per fargli sentire il vento. E chiederò umile: sono come li vedi tu con i tuoi occhi spenti, come li senti tu, così veri perché tanto li desideri, perché non ne puoi far a meno? E le persone di cui ti racconto, e gli animali che ti descrivo, li senti anche tu come me? E se sono al di sotto della tua vista così certa, mi perdoni?  Non rinuncio a migliorare, se non sono riuscito, la mia voce non si fa triste di dolore, ma piena di una gran gioia, per arrivare a quell'anno, in cui tornerò, rifiutando l'esibizione, la vanità, l'imbroglio di chi s'illude con altri che barano come lui, per arrivare al verdetto del colore della voce, quando tu, cieco, dirai:"ora ti sento felice di riuscita”. Non perder tempo per questo diventa solo accumulare pagine su pagine, non conta niente intorno. In quelle pagine ci sono nomi e fatti: son partito, son ritornato, sono arrivato, c'è uno sputnik in cielo, c'è stato Tarcisio ed Erni, c'è un, bambino che soffre di nuovo come loro, ma di più in quelle pagine ti racconterò come ho visto lei con la sua bambina perdersi nel cielo della navicella spaziale.  In tutto quel nero e blu dei pastelli a cera, fondo sempre più fondo, cielo infinito, una vertigine di spazio. O ti dirò le la crime di vetro soffiato a Murano di quel bambino offeso. O ti dirò il buio di una notte d'orrore, una favola d'orchi, tra mandata dai nostri padri, che ne seppero da vicino, o ti racconterò di uni teatro con le poltrone piene di gente che si esalta e non applaude più per moda, per incoraggiamento, ma parlate tu e loro, tu e voi. Non è una recita, sono venuti per la tua vita vera. E quelle sciocchezze del lavoro se è stato fatto bene, se ne andranno come lucciole a nascondersi nel cespuglio in fondo al sito, perché tu non potevi far diversamente e non potevi fermarti e ti sei macerato nel sogno di quel risultato. `M'inseguiva il terrore di Erinni lontane a render giustizia sulla terra, ti calamitava la luce di una pace. Come il colore di una voce che non inganna chi è cieco ed ha imparato a vedere. Guardare con il cuore, guardare con l'anima per essere io e te.

Come è bella questa notte: odor di terra, odor di fiori su dalla finestra, che ho aperto.

Volevo chiuderla, sentirmi molto più che senza città, come quell'altra parola greca che significa rovinato, perito. distrutto. Un verbo che è come un abisso e,che per quella incredibile famiglia di parole che si evoca per -consonanza,io sento ogni volta che penso ad un apolide.

Invece nasce un bambino, ritorna lei, arriva un ladro. Non si può mai stare in pace e sì che ne avrei fatto a meno di umanità.

La mia angoscia tremenda è stata così vera ed ora davanti a questa finestra ho solo timore del tempo che passa: che non basti il tempo.

Sì, lei mi ha anche spiegato che come una mamma con il suo bambino, l'amore è a due, anche quello di chi si riversa su pagine bianche. Senti quante voci, queste, notte?

E' un ruscello? Scorre anche di notte.

E' il grido di un animale notturno? Caccia anche di notte.
una ninna-nanna Una mamma veglia anche di notte.

E' un respiro quieto di bimbo.

E' un lamento d'acqua: si muove anche di notte.

E' una macchina da scrivere. E' uno che pensa che un libro è un figlio, che si concepisce nel mistero tuo e suo, che si alimenta di luna e di respiro, che si partorirà con un lungo dolore di sé. Questo è un libro.

Un pittore gettò il pennello e pianse davanti alla tela vuota, poi lo riprese in mano. Una lama sciabola le imposte: sono i fari di una macchina. Un uomo torna dal lavoro, torna a riposare e danza per strada con la sua macchina alla musica del disco per l'estate. Notte,mia notte, non siamo mai soli. La mia angoscia selvaggia voleva farmi apolide nel tuo grembo, chiusa ogni finestra, fuggito, in rotta con tutti. E riprenderà domani, di giorno. Proverò il peso tremendo di chi consegna ciò che ama e pensa all'incomprensione o alla sofferenza.

Lei ha detto che questo è vivere con un poco d'amore, che bisogna esserne contenti, che perfino un ladro è il tuo complice. Siamo così in comune. Altro che esser apolidi. S'è accesa una lampara sull'acqua del mare, all'orizzonte.

Ra. (che,rientrando dalla discoteca, è salita per salutarlo): Zio, ti ho portato un fiore.

Ma non c'è lo zio. Che buffo, imprevedibile, se n'è andato e ha lasciato un Pierrot al suo posto, in questa poltrona davanti al la finestra spalancata. Uno scherzo: ha la faccia di luna e l'abito bianco. Poi tornerà certo. (Prende una mano del Pierrot): Ma come pesa, come un corpo vero, è così rigido e pesa tanto. Sembra morto.

Pierrot, parlo con te, ci sei solo tu, lo metterò alla finestra il mio fiore. E’ di carta, sai, magari lo zio l'avrebbe voluto vero. Ma a te non dispiace, tu non sei triste, Pierrot ride sempre, a questo mondo ci sa stare. Lo zio usava una parola strana: apolide, come una cosa terribile, una gran disgrazia. invece, anche se mi piace la discoteca, a scuola me la cavo e so che ci furono apolidi illustri: il cardinale Mazzarino e Alberoni e altri. Importanti. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio, per lo,zio apolide era sentirsi tristi, tagliati fuori. Si faceva fatica a sopportarlo, la sua cortesia era finta, tenuta su con gli spilli. Uno  è cortese se è cortese; se è orgogliosamente cortese, lo fa con sforzo, con una grande fatica. Tu, invece, Pierrot ridi sempre.

Tu, invece, danzerai alla luce della luna, lieve, senza peso, domani notte danzerai.

Povero zio, chissà perché gli dispiaceva tanto la discoteca, quasi fosse un peccato mortale. Gli avevo promesso un fiore, ho solo questo cotillon di carta colorata.   

Per te, zio, fa conto che sia stato un fiore vero.

Lei (congedandosi nella piazzetta sotto casa): ebbene arrivederci, signor ladro. Sente anche lei questo rumore? Come il mare che viene a riva, o il vento che cresce, no, troppo forte, sempre più forte. Sta passando un treno.

L. - Io riscriverò la sua storia e la mia. Ho capito cosa voleva darmi: solo “io”. Un io comune, banale, di tanti. E' stato importante quando si messo davanti alla finestra, ne sono sicuro, dopo che ci ha salutato, per dire: io non sono stato solo. E prima quando ha detto che la sua storia era anche mia. Ora ci posso credere.

Sugg. - Ma è assurdo, lo spettatore ha pagato il biglietto. Professore, dato che è tornato anche lei, intervenga.

Prof. - Sono venuto solo a raccogliere un libro. Una pagina dopo l'altra, le faccio frusciare piano, non c'è bisogno di un gran vento. Il vento passa sopra, più in alto delle nostre teste, qui, nelle pagine, ne rimane il fischio lamentoso e poi le nostre solite piccole vite.

Spett. - Non ho capito bene. Primo non so dove sia andato quell'uomo che si è affannato per tutto il tempo, da quando si è presentato qui sopra. Prima era molto certo e arrabbiato, poi quasi indulgente. Sarà andato a pescare. O forse tornerà. Forse di ciò che ha detto potreste farmi anche una recita, un'altra volta se mi tenete valido questo biglietto.

Ho capito che soffriva. Parlava di piccole cose, come per un pudore, per non parlare delle grandi. Ad esempio come si accalorò per le caste in cui è diviso il mondo. Penso che gli sarebbe piaciuto ricordare Follereau, che ha chiamato i lebbrosi "la più sofferente minoranza oppressa del mondo." Ma si può questo in un teatro? Non so se l'avrei sopportato. Ho lavorato sodo, oggi, cerco uno svago decente, pensare un poco e svagarmi. Niente che sia troppo. Inoltre quel suo dolore, che era vero, questo l'ho capito, era come se rapprendesse sofferenza su tutto ciò che guardava per poi cancellarla come un velo di polvere. Infine ho capito che aveva bisogno di parlare e che mi voleva. Per questo sono rimasto. Questo è naturale in, una recita, ma lui mi voleva in un modo più scoperto, più profondo. Voleva che io gli dicessi qualcosa, anche se lo negava. Io non so cosa dirgli, non ho giudizi critici, è tanto se non me ne sono andato.

Non so se mi ha contagiato con quella sua sofferenza così fragile e così profonda per lui: una lebbra interiore, finché non ha detto, grato e rasserenato: non sono stato solo.

 


Aggiungerò anch'io una voce per te, perché tu non sia solo. Non è mia, ma di tutto è l'unica che ricordo.

(Sale sul palco e mentre si avvia incomincia a recitare) Professore, intesi, se sbaglio suggerisci.

Prof. - Certo ho qui il libro. Quando ci criticano so che mi rimane questo e che questo resta anche per loro, per ogni allievo. E' un libro così grande quello delle voci degli uomini. Ognuno se ne porta dietro una.

Spett. - A me è venuta in mente questa, perché c'era una solitudine altera, l'ho sentita in lui, uno sforzo per reggere, comunque, da capitano,la propria vita.

Fui pronto a tutte le partenze./ Quando hai segreti, notte hai pietà./ Se bimbo mi svegliavo/ di soprassalto, mi calmavo udendo/ urlanti nell'assente via,/ cani randagi. Mi parevano/più del

lumino alla Madonna/ che ardeva sempre in quella stanza,/ mistica compagnia…

(Oramai è salito sul palco e può essere “Io”, che recita):

 Ma quando notte, il tuo viso fu nudo/ e buttato sul sasso/ non

fui che fibra d'elementi,/ pazza, palese in ogni oggetto,/ era

schiacciante l'umiltà.

Sugg. - Il capitano era sereno.

Prof. - Venne in cielo la luna.

Sugg. - Era alto e mai non si chinava.

Prof. - Andava su una nube.

Spett. - Nessuno lo vide cadere, Nessuno l'udì rantolare,

riapparve adagiato in un solco, teneva le mani sul petto.

Gli chiusi gli occhi.

Prof. - La luna è un velo.

Alice: parve di piume.

Sugg. - Avete ascoltato di nuovo una poesia di Ungaretti. S'intitola "Il Capitano", è stata scritta nel 1929.

 

                           FINE