INDICE
1)Rosellina nel vento
2)Jimmie
Moglia, Scienza e fantasia
3) Dino
Frambati, Il virus e il direttore, marzo 2020
4)
Massimiliano Lussana, da Wordpress, 20 marzo 2020
5) da
Guido Ceronetti, La Stampa, 27/06/1999
6) da
Silvia Ronchey, La Stampa, 27/06/1999
7) Renzo
Baschera, Le profezie (Longanesi,1974)
8) Gianni
Baget Bozzo, Tre modi di vivere la morte
A Genova c’è
stata una tempesta di vento e la Rosellina in boccio che vedo dalla finestra
del mio giardino al quinto piano era sbattuta da tutte le parti un po’ come
siamo noi dalle notizie sul Covid19. Però ha resistito benissimo ed oggi è
sbocciata più bella che mai. Un augurio per tutti noi.
(Inserisco
brani di amici scrittori che mi sono stati inviati però non mi sento a posto se
non li commento in alcuni punti cosa che farò a breve e riaggiornerò questa
pagina)
Jimmie Moglia
In tutti i fenomeni di massa sorge il dubbio se credere agli scienziati
quali voci infallibili della verità, o se, nella loro spiegazione di alcuni
eventi, vediamo solo l'attenuarsi della luce della ragione. Perchè nelle
attuali correnti che attraversano il mondo, la scienza è spesso un'espressione
verbale impropria, usata da varie dittature tecnocratiche per suggerire
infallibilità indiscutibile, risultando poi nell'imposizione di misure
restrittive molto discutibili.
Ricordo
agli irrefragabili credenti nella scienza, che non molto tempo fa (per
esempio), l'Istituto Nazionale della Scienza e della Tecnologia ha determinato
che l'Edificio 7, una struttura di 50 piani non colpita dagli aerei durante il
9/11 – e rinforzata con ulteriori 200 milioni di $ d’investimento per garantire
inattaccabile forza e invulnerabile resistenza – è crollato a causa di un
incendio in un ufficio. Non dopo che il medesimo Istituto avesse fatto
retromarcia su alcune precedenti spiegazioni ancora più comiche, pubblicamente
contraddette da un insegnante di fisica delle scuole secondarie.
In
realtà il termine o il concetto di ‘scienza ‘ha una curiosa relazione
concettuale con il termine o il concetto di 'costituzione’. Entrambi sono scudi
contro il dissenso.
La
scienza è quello che credo tra quello che vedo (o mi viene detto) che conferma
la mia percezione o pregiudizio. Percezioni e pregiudizi che includono
influenze dei genitori, senso di sicurezza o insicurezza, il conforto di
appartenere alla massa o alla maggioranza, ecc.
Mentre
la costituzione è quanto credo che lo stato dovrebbe fare se solo avessi
qualche influenza. In effetti, specialmente in America, il cittadino indifeso e
sfortunato della classe media in decomposizione, che afferma che questa o
quella misura è "incostituzionale", merita sia simpatia che sorriso.
Un
sorriso perché i tribunali che decidono su questioni costituzionali hanno meno
preoccupazione per lui che un elefante ha per una formica, o la stessa
preoccupazione che gli stilatori della Dichiarazione di Indipendenza avevano
per il ‘popolo’. In effetti, credevano che tutti gli uomini fossero stati
creati uguali, tranne gli indiani D'America, che erano un fastidio, le donne e
i poveri che non potevano votare e gli schiavi che non erano umani.
Simpatia
perché è un idealista, perché crede nella democrazia e quindi, implicitamente,
nella visione Panglossiana e Leibnitziana che questo (l’Americano) è il
migliore di tutti i mondi possibili.
Per
evitare le irate osservazioni di coloro che detengono una fede quasi religiosa
nella scienza, affermo, senza ombra di dubbio, che non sono uno scienziato. Le
seguenti sono solo osservazioni che, con un certo adattamento, possono
applicarsi a tutti i fenomeni di massa.
Inoltre,
è diventata una pratica standard l’etichettare come teorici della cospirazione
tutti quelli il cui punto di vista su questioni che toccano le autorità
differiscono dalla vulgata proclamata.
La teoria della
cospirazione è una sorta di termine post-teologico che definisce e qualifica le
eresie contro la dottrina politica ufficiale - una dottrina che è di per sé un
costrutto totalmente artificiale. Infatti i nuovi centri anti-cospirazione,
basati sulla censura di presunte "notizie false", stanno
effettivamente preparando la Rivoluzione del Silenzio. Sono catto-tribunali
d’inquisizione, che accusano chi da’ un'interpretazione diversa alle Scritture
quotidiane. In realtà, a parte tutto ciò che è già stato detto sull'argomento,
il proto-teorico della cospirazione era Socrate, che impiegava la dialettica
(leggi scambi non censurati di domande e risposte) per raggiungere una verità
provvisoria. E sappiamo come è finito. Ma
sto divagando. Perché la lunga introduzione quando il tema delle epidemie non
ne meriterebbe alcuna, dato che riguarda tutti sia pure in modi diversi? Perché
quanto segue è una concisa riflessione storica sulle epidemie, peraltro invitando il paziente lettore a
raggiungere le sue conclusioni. Comincerò citando un’opinione sulla peste che
colpì l'Italia intorno al 1630. L'Europa era nel mezzo della Guerra dei Trent'anni
e gli eserciti piu’ o meno mercenari diffondevano la malattia mentre
devastavano i paesi. All'epoca l'astrologia era considerata parte della
scienza, ed ecco il punto di vista di un filosofo-scienziato contemporaneo.
Il passaggio proviene dai
Promessi Sposi. La traduzione inglese non può trasmettere il tono aulico della
lingua italiana del 1600, un po’ simile al francese di Racine o Rabelais o
all'inglese di Robert Burton, nella sua massiccia ma estremamente divertente
"Anatomia della Malinconia" – per inciso, il libro che porterei con
me – se me ne fosse concesso solo uno, e se mi toccasse di naufragare nella
proverbiale isola deserta.
La tesi del
filosofo-scienziato era che la peste non esisteva. Al confronto, oggi nessuno
nega l'esistenza del coronavirus, anche se, come vedremo, la faccenda non è
così lineare.
Citazione.
“Al
primo parlar che si fece di peste, don Ferrante fu uno de' più risoluti a
negarla, e che sostenne costantemente fino all'ultimo, quell'opinione; non già
con ischiamazzi, come il popolo; ma con ragionamenti, ai quali nessuno potrà
dire almeno che mancasse la concatenazione.
-
In rerum natura, - diceva, - non ci son che due generi di cose: sostanze e
accidenti; e se io provo che il contagio non può esser né l'uno né l'altro,
avrò provato che non esiste, che è una chimera. E son qui. Le sostanze sono, o
spirituali, o materiali. Che il contagio sia sostanza spirituale, è uno
sproposito che nessuno vorrebbe sostenere; sicché è inutile parlarne. Le
sostanze materiali sono, o semplici, o composte. Ora, sostanza semplice il contagio
non è; e si dimostra in quattro parole. Non è sostanza aerea; perché, se fosse
tale, in vece di passar da un corpo all'altro, volerebbe subito alla sua sfera.
Non è acquea; perché bagnerebbe, e verrebbe asciugata da' venti. Non è ignea;
perché brucerebbe. Non è terrea; perché sarebbe visibile. Sostanza composta,
neppure; perché a ogni modo dovrebbe esser sensibile all'occhio o al tatto; e
questo contagio, chi l'ha veduto? chi l'ha toccato? Riman da vedere se possa
essere accidente. Peggio che peggio. Ci dicono questi signori dottori che si
comunica da un corpo all'altro; ché questo è il loro “tallone d'Achille",
questo il pretesto per far tante prescrizioni senza costrutto. Ora,
supponendolo accidente, verrebbe a essere un accidente trasportato: due parole
che fanno ai calci, non essendoci, in tutta la filosofia, cosa più chiara, più
liquida di questa: che un accidente non può passar da un soggetto all'altro.
Che se, per evitar questa Scilla, si riducono a dire che sia accidente
prodotto, dànno in Cariddi: perché, se è prodotto, dunque non si comunica, non
si propaga, come vanno blaterando. Posti questi princìpi, cosa serve venirci
tanto a parlare di vibici, d'esantemi, d'antraci...?
-
Tutte corbellerie, - scappò fuori una volta un tale.
-
No, no, - riprese don Ferrante: - non dico questo. La scienza è scienza; solo
bisogna saperla adoprare. Vibici, esantemi, antraci, parotidi, bubboni
violacei, foruncoli nigricanti, son tutte parole rispettabili, che hanno il
loro significato bell'e buono; ma dico che non han che fare con la questione.
Chi nega che ci possa essere di queste cose, anzi che ce ne sia? Tutto sta a
veder di dove vengano.
Qui
cominciavano i guai anche per don Ferrante. Fin che non faceva che dare addosso
all'opinion del contagio, trovava per tutto orecchi attenti e ben disposti:
perché non si può spiegare quanto sia grande
l'autorità d'un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli altri le
cose di cui sono già persuasi. Ma quando veniva a distinguere, e a voler
dimostrare che l'errore di quei medici non consisteva già nell'affermare che ci
fosse un male terribile e generale, ma nell'assegnarne la cagione, allora
(parlo de' primi tempi, in cui non si voleva sentir discorrere di peste),
allora, in vece d'orecchi, trovava lingue ribelli, intrattabili; allora, di
predicare a distesa era finita e la sua dottrina non poteva più metterla fuori
che a pezzi e bocconi.
-
La c'è pur troppo la vera cagione, - diceva; - e son costretti a riconoscerla
anche quelli che sostengono poi quell'altra così in aria... La neghino un poco,
se possono, quella fatale congiunzione di Saturno con Giove. E quando mai s'è
sentito dire che l'influenze si propaghino...? E lor signori mi vorranno negar
l'influenze? Mi negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che
stian lassù a far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un
guancialino?... Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori medici il
confessare che ci troviamo sotto una congiunzione così maligna, e poi venirci a
dire, con faccia tosta: “non toccate qui, non toccate là, e sarete sicuri!”
Come se questo schivare il contatto materiale de' corpi terreni, potesse
impedir l'effetto virtuale de' corpi celesti! E tanto affannarsi a bruciar dei
cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete Saturno?
His
fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese nessuna precauzione
contro la peste; gli s'attaccò; andò a letto a morire come un eroe di
Metastasio, prendendosela con le stelle.
Fine citazione.
A
differenza del coronavirus non ci sono più dubbi sulla natura della peste. A
causarla è un batterio chiamato Yersinia pestis, di solito diffuso da pulci che
raccolgono i germi quando mordono animali infetti come ratti, topi o
scoiattoli. Poi lo passano al prossimo animale o persona che mordono.
Per
quanto riguarda Don Ferrante, possiamo adesso ridere del fondamento esoterico
della sua scienza, ma i suoi colleghi del tempo non erano molto più consapevoli
della natura della peste. Infatti, per promuovere la fine della malattia,
organizzarono processioni religiose, che in realtà favorirono la sua rapida
diffusione.
Con
il coronavirus non possiamo facilmente attribuirne la causa alle stelle.
Tuttavia, almeno nell’ambito delle epidemie, la politica ha sostituito le
stelle nella mente degli analisti geo-politici e geo-medici. Per alcuni è stata
una cospirazione americana per indebolire i cinesi, per altri una cospirazione
cinese andata a storto per indebolire gli americani.
Esaminiamo
adesso il problema delle dimensioni del coronavirus, concetto familiare a
tutti, compresi quelli senza una laurea. Che dimensioni ha un virus? E in
particolare il coronavirus? Qui la mia ricerca non ha trovato una risposta
conclusiva, ma alcuni indizi utilizzabili. Estrapolando dalla terminologia
esoterica che circonda la struttura di cellule, DNA, RNA ecc. si afferma da più
di una fonte che un virus varia in dimensioni da 25 a 400 nanometri. Un virus
del vaiolo (circa 250 nanometri) è considerato “grosso." Ci sono
25.400.000 (venticinque milioni e quattrocentomila) nanometri in un pollice. Ne
consegue che un grosso virus ha la dimensione di 10 milionesimi di pollice.
Qui l'osservatore non specializzato può chiedere:
anche supponendo che la rete delle maschere protettive sia tale da impedire
l'ingresso a qualsiasi virus di qualsiasi dimensione, l'indossatore della
maschera deve pur inspirare ed espirare. Ne consegue che le maschere
universalmente raccomandate e popolari proteggono infatti da contaminanti come
polvere e muffe ma -leggendo le specifiche -
“non eliminano il rischio di infezione, malattia o morte.”
Tuttavia,
tutti possiamo concordare sul fatto che nessun rimedio può essere perfetto, ma
almeno un rimedio è sempre meglio che
niente.
Ora
ci occupiamo di un problema più spinoso, la natura dei Tests
che determinano se un individuo è o non è un vettore del coronavirus. Qui mi
affido a un esperto la cui esperienza posso solo assumere dalle sue qualifiche.
Tuttavia la sua tesi è coerente con la logica e, a parte le sue qualifiche
impeccabili, la sua fisionomia e il suo comportamento non suggeriscono
l'atteggiamento di “color che sanno tutto” reso familiare da decine di esperti
che salgono in superficie dal fango della mediocrità. (Video dell'intervista:
https://youtu.be/p_AyuhbnPOI)
Wolfgang Wodarg è uno
pneumologo tedesco, responsabile della Salute pubblica del Consiglio d'Europa,
del Bundestag e del suo Land in Germania. Aveva già smascherato l'operazione
discutibile se non sporca collegata alla precedente epidemia di Sars H1N1,
grazie alla quale Big Pharma realizzò profitti astronomici, mentre conquistava
un posto permanente all’ombra protettiva del potere.
Citazione.
“Ogni anno nel mondo appaiono nuovi virus, un centinaio. Dal 2005 al 2013 a
Glasgow hanno osservato otto diversi coronavirus. Si presentano nelle malattie respiratorie.
I Corona sono ogni anno tra il 7 e il 15%. A Wuhan se ne è scoperta una nuova
variante ed è stata inserita nella banca dati accessibile a tutto il mondo.
Avrebbe dovuto essere validato da misurazioni e test, ma l’OMS, visto il grande
panico, decide di impiegarlo subito nella statistiche. Il virologo, contrariamente a quanto è
successo, non può dire quanto è pericoloso, ma solo quanto è diverso. La
pericolosità può essere accertata solo da successivi dati epidemiologici,
l’acutezza della malattia, i tempi di guarigione, se ne muoiono di più. PER
QUESTO E’ INDISPENSABILECHE SI FACCIANO I CONFRONTI CON I DATI DEGLI ANNI
PRECEDENTI E SUI TASSI DI MORTALITA’ (accuratamente
evitati. Nd.r.).
Ora,
se cerco il coronavirus in un’intera popolazione, ne troverò tracce tra il 7 e
il 15%. MA SE VADO IN AMBITO CLINICO E CERCO TRA GLI AMMALATI, TROVO OVVIAMENTE
MOLTI CASI POSITIVI IN PIU’. SE POI CERCO NEGLI OSPEDALI NE TROVERO’ A
DISMISURA. Dipende tutto dal numero di persone che
esamino. Se faccio la ricerca tra persone in terapia intensiva, o che
stanno per morire, o che sono morte, troverò sempre coronavirus tra il 7 e il
15%. Ma che quelle persone siano malate o muoiano di coronavirus, o di altri
virus e altre patologie e il corona virus è solo una presenza collaterale, come
faccio a stabilirlo? Vedo che in Italia stanno tutti morendo di coronavirus (e
più nessuno di altro. N.d.r.). E allora voglio sapere dove i test sono stati
prelevati. Quali autopsie. Se i test sono stati fatti su malati terminali in ospedale,
è ovvio che il tasso di mortalità sale, perché è solo lì che si è andati a
guardare.
(Per
la Protezione Civile, tutti i morti vanno nel conto Covid-19. I 1.500 italiani
che muoiono ogni giorno di ogni cosa, finiscono nel listone coronavirus. 37 ne muoiono
di polmonite, che diventa coronavirus, 1 italiano su 10 ha l’influenza, cioè,
per la Protezione Civile, coronavirus. Vi pare onesto?)
Per
quanto riguarda la patologia stagionale chiamata influenza, abbiamo un tasso di
mortalità dello 0,1%. E’ il limite superiore e significa che ogni inverno muore
di influenza 1 persona su 1000. Tocca ora vedere se con il corona ne muoiono di
più. Negli anni passati non si sono testati per coronavirus, come oggi, tutti i
pazienti con malattie serie negli ospedali. Ci saremmo dovuti aspettare fino a
3000 morti di influenza con presenza di coronavirus. Oggi siamo ancora lontani
da questi numeri.
A
Wuhan i virologi hanno talmente insistito sulla gravità del virus da
impressionare il governo cinese e fargli adottare misure straordinarie e
suscitare ripercussioni internazionali. I politici si sono precipitati
sull’occasione e si sono rivolti ai virologi dai quali veniva la conferma che
la cosa era molto preoccupante e che erano pronti a dare una mano a fare dei
test. Insomma, si è montata la cosa, si è fabbricata una rete di informazioni,
di opinioni e la politica si è messa a
totale disposizione di questi ambienti, si è inserita in questa rete. IL CHE HA
PORTATO LA POLITICA A SOTTOMETTERSI AGLI ARGOMENTI DEI VIROLOGI E A UTILIZZARLI
PER DECIDERE CHI AIUTARE, QUALI MISURE DI SICUREZZA, COSA PERMETTERE, COSA
PROIBIRE, CHI METTERE IN QUARANTENA. LA RETE HA DECISO TUTTO. PER CUI ORA
DIVENTA DIFFICILISSIMO ESPRIMERE POSIZIONI ANTITETICHE E DIRE “FERMI, NON
SUCCEDE NULLA DI STRAORDINARIO!”
Questo
mi ricorda la fiaba dell’imperatore senza vestiti. Solo un bambino era pronto a
dire: “ehi, il re è nudo”. Tutti gli altri, quelli della corte, del governo,
attorno al governo, chiedono istruzioni al governo dato che, non essendo
esperti, non possono sapere, si devono fidare, devono giocare la partita
truccata, stare nel coro. Oggi la politica è
corteggiata da molti scienziati (i portatori del dogma, della Scienza con la S
maiuscola, N.d.r), scienziati che vogliono contare in politica, dato che
servono soldi per i loro istituti. Scienziati che nuotano in questa
corrente e vogliono assicurarsi la loro parte. “Siamo noi che possiamo dare una
mano, abbiamo le app, abbiamo il programma giusto”. Significa guadagno e
potere.
Dovremmo
fare domande che nessuno fa. Come avete scoperto che questo virus è pericoloso?
Com’è stato prima? Non c’è forse stata la stessa cosa l’anno scorso? E’ davvero
una cosa nuova? Questo manca. Il re è nudo”.
Fine
Citazione.
Altre
voci interrogative sono state recentemente ascoltate riguardo ad alcune
anomalie straordinarie, come le drammatiche differenze tra i morti da
Coronavirus tra, diciamo, L'Italia e la Germania. Ad esempio, il 19 di marzo,
52 in Germania, 3.405 in Italia.
In
Germania chi muore di cancro, polmonite, arresto cardiaco e Coronavirus, è
considerato morto di cancro, polmonite ecc. Cioè, il virus non è calcolato come
causa di morte, a meno che non sia la causa esclusiva.
In
Italia, invece, chi ha contratto il Coronavirus, si ritiene sia morto da esso -
se muore- insieme a patologie preesistenti.
Consapevole
di questa anomalia statistica L'Istituto Superiore italiano per la salute ha
pubblicato un'analisi basata sulle cartelle cliniche del defunto, cioè quelli
che sono morti per cause esistenti, a cui il coronavirus può aver contribuito,
e quelli che sono morti per il coronavirus. In questa nuova statistica, la
percentuale è dello 0,8%, paragonabile ai numeri in Germania.
In
verità è difficile valutare quanto il coronavirus possa aver aggravato le cause
preesistenti. Una risposta potrebbe essere ottenuta dalle statistiche e dai
record degli anni precedenti. Al momento questa è una domanda senza risposta.
In
base a quanto sopra e aggiungendovi
dati disponibili da tutto il mondo, parrebbe di aver a che fare con un
catastrofismo senza una catastrofe. Cioè, diffondere e seminare terrore tra la
popolazione per quello che è, alla fine, l'ondata di una sindrome influenzale
particolarmente grave – anche se non causa molti più morti di quello che in
media si verificano durante l'inverno – tranne in qualche area particolare per
motivi non del tutto ben determinati.
Ad
esempio, una presenza endemica di meningite che in precedenza ha dato luogo a
vaccinazioni intensive fa sì che il virus sia più aggressivo, come è successo in
alcune aree limitate del Nord Italia.
Inoltre,
un indice di mortalità anormale può essere dovuto a diagnosi errate o a motivi
sanitari particolari. Ad esempio, l'Iran ha una mortalità più elevata, ma l’ha
anche per l'influenza (cosa non segnalata perché ritenuta non degna di nota).
Inoltre, tra i sopravvissuti alla guerra in Iraq ci sono molti anziani i cui
polmoni sono stati danneggiati dal gas velenoso che gli Stati Uniti hanno
fornito a Saddam Hussein prima di ucciderlo.
E
ora un breve sguardo alla politica dell'epidemia del Coronavirus. Come è noto,
la politica si basa su speculazione, immaginazione e deduzione. La logica
suggerirebbe che politica e salute
individuale siano domini separati, ma, come visto sopra, i relativi domini sono
strettamente interconnessi.
Pochi,
probabilmente, potrebbero ricordare l'influenza nordamericana, etichettata come
influenza suina o messicana, anche se nata in California. C'era anche una foto
di Obama che si faceva vaccinare. Da quanto ho letto, quell'influenza ha colpito
e ucciso circa un milione di persone, di cui 16.000 in Europa.
Con
Covid 19, un nuovo elemento, che possiamo chiamare culturale, è/era la Cina. Il
quale ha agito da amplificatore politico per la gestione geo-politica e
geo-medica dell'evento, rapidamente sfruttata da Washington e dai suoi lacché
Europei.
Secondo
questo punto di vista, la Cina si rese subito conto che il coronavirus poteva
essere usato come un’arma contro il suo nuovo programma Silk Road. Malattie o
politiche resesi disperate richiedono misure disperate. Una catastrofe medica
forse improbabile (come dal rapporto del Dr. Wodarg) potrebbe certamente
trasformarsi in una probabile catastrofe politica per la nuova Via Della Seta.
Il che giustifica tutte le misure intraprese dalla Cina, in modo da trasformare
la minaccia in una vittoria morale.
Tuttavia,
lo scenario cinese non può spiegare cosa è successo in seguito in Occidente,
vale a dire la grande paura, sproporzionata rispetto alla gravità degli eventi,
mentre i governi erano inizialmente inattivi rispetto a ciò che la Cina ha
prontamente intrapreso.
Qui
la teoria (o ragione), ha a che fare con l'opportunità, presa dalle potenze
occidentali, di attuare quel controllo totale della società non ancora
completamente realizzato fino ad oggi. Da qui l'uso di statistiche errate e
fraudolente, in modo da creare il panico necessario per raggiungere “il dominio
a spettro completo” della cittadinanza, per usare una frase cara alla CIA e
alla Cabala Anglosionista.
In
Inghilterra, prima che il Coronavirus diventasse una pandemia, e nello stile
della serie TV “Sì, il Primo Ministro” della serie – avranno inizialmente
pensato di istituire un comitato interdipartimentale, con abbastanza ampi
termini di riferimento, in modo che alla fine della giornata, si potesse essere
in grado di considerare le varie implicazioni e arrivare a una decisione a
lungo termine, piuttosto che precipitare una decisione prematura e
possibilmente mal concepita dando luogo ad azioni che potrebbero avere
ripercussioni impreviste. Ma poi la rapidita’ del fenomeno globale ha costretto
ad abbandonare qualsiasi piano dilatorio.
Tuttavia,
per riferimento, le statistiche della Corea del Sud, basate sull’esame di massa
nella zona più colpita, mostrano numeri 35 volte inferiori a quelli, ad esempio,
in Italia.
Mentre,
in Italia, il coronavirus ha permesso la sopravvivenza di una classe politica
in gran parte screditata e asservita alla Cabala finanziaria europea. A sua
volta l'epidemia ha portato ad una situazione di vero e proprio collasso – che,
alla fine, farà dell'Italia un boccone più facile da ingoiare.
C'è
un'eco, qui, della situazione verificatasi nell’Unione Sovietica, poco prima
che gli Anglozionisti riuscissero a distruggerla e a privatizzare (leggi
"comprarle con spiccioli") le imprese russe più redditizie.
Eppure
forse tutto questo non sarebbe stato possibile se non fosse per la presenza di
una diffusa sensazione dell’ avvicinarsi della fine di un'epoca, una sensazione
di amarezza contro l'ideologia neo-liberalista che ha impoverito e privato dei
loro diritti una grande massa di persone. Aggiungasi a questo un senso generale
di distanziamento ed alienazione che alimenta un'aspettativa emotiva associata
al millenarismo.
È
successo nella storia che alcuni eventi fossero metafore per cambiamenti
epocali. Ad esempio, la paura che circondò l'anno 1000 è stata l'invenzione di
epoche successive. Ma in effetti, intorno al 1000 D. C., il mondo medievale era
pronto per una grande trasformazione.
I
neo-millenaristi hanno provato qualcosa di simile con lo spavento del Y2K
dell'anno 2000. Il tentativo, tuttavia, è stato artificioso e artificiale, e
non ha funzionato anche se molti ci hanno creduto.
Portenti
e prodigi, aspettative cosmiche, miracolose, metafisiche hanno sempre
galvanizzato la gente, in particolare in momenti di stress. Miracoli sono stati
riportati e creduti volentieri.
Intorno
al II secolo d.c. la risurrezione dei morti era ben lungi dall'essere
considerata un evento non comune. Edward Gibbon racconta come un nobile Greco,
ansioso di convertirsi al Cristianesimo aveva promesso a Teofilo, Vescovo di
Antiochia, che se lui, il greco, potesse essere gratificato con la vista di una
sola persona effettivamente risuscitata dai morti, avrebbe immediatamente
abbracciato la religione cristiana. È piuttosto curioso -commenta Gibbon- che
il prelato della Prima Chiesa Orientale, per quanto ansioso per la conversione
del suo amico, pensò proprio di declinare questa sfida giusta e ragionevole.
Per
tornare ai nostri tempi, la sensazione o la speranza che l'epidemia di
coronavirus possa eliminare l'invisibile status quo si scontra con la realtà
concreta, dove i soliti pochi già salivano alle opportunità offerte ai
capitalisti avvoltoi dal capitalismo del disastro.
Inoltre,
alcuni oligarchi, esperti e persino politici, che vivono nella marea
dell’ostentazione che batte sulle alte rive del mondo, hanno accennato o
dichiarato apertamente che troppi gentili vivono troppo a lungo, agendo quindi
come un freno sulla crescita della ricchezza degli oligarchi. Una vera e
propria pandemia potrebbe essere un'alternativa intelligente a una terza guerra
mondiale, occultando allo stesso tempo il bubbone che sta distruggendo la
democrazia per la maggiore gloria e il potere dell'oligarchia finanziaria con
il suo castello di carte.
Da
questo punto di vista la ricchezza è l'anima astratta dell'uomo, che dà ai più
ricchi una sorta di salute di base – perché è persino difficile immaginare la
morte a quel livello di ricchezza. O meglio, forse non c'è morte come la
conosciamo, ma solo documenti che cambiano le mani. Deve esserci una
consapevolezza della prosperità, una sicurezza e soddisfazione che la ricchezza
degli oligarchi porta alla loro anima – una pienezza sconosciuta a persone che
hanno bisogno di meno, si aspettano di meno o che pianificano la loro vita
intorno a passeggiate solitarie la sera.
Applicato
allo stile di vita degli oligarchi, persino il Salmo
della Genesi, avviso all'uomo che è solo polvere e che in polvere tornerà,
perde la sua drammaticità. [Memento homo quia pulvis es et in pulverem
reverteris].
Il
che mi porta ad alcune considerazioni cosmologiche conclusive, e solo
perifericamente connesse al Covid-19
Molti,
ritengo, hanno implicitamente accettato la teoria del "Big Bang"
sulla nascita dell'universo. È comprensibile, perché un universo che ha un
inizio è meno terrificante di un
universo che non ha inizio né fine.
Ma
altri astrofisici, ad esempio Freeman Dyson, hanno
proposto una teoria alternativa, secondo la quale l'universo e’ senza inizio e
senza fine. Di conseguenza, ha sostenuto, il fenomeno della vita porta
dinamismo ed entusiasmo ad un universo
che, altrimenti, sarebbe davvero mortalmente noioso.
Ora,
se confronto la mia (nostra) essenza biblica di polvere con l'idea di Dyson di
un universo infinitamente noioso, penso che la prospettiva della polvere sia
quasi più attraente, o almeno meno inattraente. Perché se, tra qualche miliardo
di anni, il sole si espanderà e porterà la terra nel suo grembo, anche la mia
polvere farà parte di una stella. Il che quasi dà una sfumatura romantica a una
prospettiva terribilmente deprimente e cupa. Perché,
se la mia polvere apparterrà a una stella, diventerò (diventeremo) vera e
propria polvere di stelle.
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Note d’autore
A Moglia ho dedicato una
pagina del mio sito
(mlbressani.wixsite.com/marialuisabressani) la sei di Recensioni e non
solo con titolo Dante e Jimmie, Larcher, alberti neurochirurgo. E’ stato per la
presentazione del suo libro NQD (Il Nostro Dante Quotidiano, dizionario di
citazioni dantesche) e poi sul secondo sito www.marialuisabressani.it, dove
inizia la pagina “Gemme ritrovate”. Ora allego la foto dei procioni (orsetti
lavatori) che frequentano la sua casa a Portland dove vive da dopo la laurea in
ingegneria. Quindi potete trovare notizie su di lui.
Però,
dato che il diritto di critica è presupposto della libertà stessa, mi cimento
in un breve commento di «Scienza e fantasia» sul
Covid19.
Non tutto mi è piaciuto di
questo scritto.
p.
10 - Critica alla Protezione civile italiana asserendo che nel listone Covid
vengono inserite tutte le morti anche quelle non causate da corona virus.
Non
vero! Si è sempre specificato che i primi morti per Covid avevano in realtà
altre patologie pregresse specie nel caso degli anziani.
p.12: “Parrebbe di aver a che fare con
un catastrofismo senza una catastrofe. Cioè, diffondere e seminare terrore tra
la popolazione per quello che è, alla fine, l'ondata di una sindrome
influenzale particolarmente grave.
Da
noi è stata anche la teoria iniziale di Vittorio Sgarbi. Di fronte ai camion
militari che da Bergamo, ogni giorno, portavano 70 bare alla volta, perché non
c’era posto nell’inceneritore e nemmeno al cimitero, il critico ha dovuto
ricredersi (è stato insultato e ne è rimasto amareggiato) e ha rettificato nel
programma Tv di Barbara Palombelli.
E’
vero che un politico straniero europeo di cui non ricordo il nome – ed è meglio così! – ha detto che in Spagna ed
Italia abbiamo il culto sbagliato dell’anziano e del doverlo salvaguardare. Ha
detto più o meno così. Sì che nelle fredde distese invernali del Nord un tempo
la vecchia o il vecchio di casa si allontanava nella neve per morire non
volendo pesare sui figli..., ma ora...
p.13 – “Con Covid 19, un nuovo elemento, che possiamo chiamare
culturale, è/era la Cina. Il quale ha agito da amplificatore politico per la
gestione geo-politica e geo-medica dell'evento, rapidamente
sfruttata da Washington e dai suoi lacché Europei.”
Un
pensiero ingeneroso dato che Jimmie da giovane ingegnere si trasferì negli Usa,
a Portland in Oregon, e questa è diventata la sua “patria”: lì si è sposato, lì
ha avuto figli.
Ora
so bene che paga sempre fare i ribelli e critici contro il governo del Paese
dove si vive, ma è anche uno sputare nel piatto di chi ci ha accolto, quindi…
p.14 – “Tra i sopravvissuti alla guerra in
Iraq ci sono molti anziani i cui polmoni sono stati danneggiati dal gas
velenoso che gli Stati Uniti hanno fornito a Saddam Hussein prima di
ucciderlo”.
Vero, ma anche questo
–per opportunità nel momento difficile-
poteva non esser ricordato.
p. 14 - Tuttavia, per riferimento, le statistiche della Corea del Sud,
basate sull’esame di massa nella zona più colpita, mostrano numeri 35 volte
inferiori a quelli, ad esempio, in Italia.
Mentre, in Italia, secondo l’Autore il coronavirus ha permesso la
sopravvivenza di una classe politica in gran parte screditata e asservita
all’Europa e, alla fine, l'Italia al collasso sarà un boccone più facile da
ingoiare.
Diagnosi
vera però in molti italiani- me compresa -passato il virus noi ci ricorderemo
di chi ha svenduto o voleva svendere la Patria. Per noi questo nome ha tuttora
un significato.
[podcast/audiolibro
#unlibroindonoperundonocontroilcoronavirus]
20 marzo 2020
Ai
malati, a chi vuole guarirli, a mio padre.
Il
male non fa distinzione, colpisce e basta.
Il giornalista
scrive di tutto, anche di ciò che non vorrebbe o che gli provoca sentimenti
negativi, ma questo è il mestiere e questa la professionalità.
Mai come per il coronavirus si
raccontano i fatti quasi con disgusto o rabbia.
Mai come in questo
caso il giornalista e l'uomo sono stati quasi obbligati a convivere.
Per questo mi è venuto
spontaneo un qualcosa di simile ad un diario, anche molto personale, sfogando
le sensazioni che sto provando in questo periodo, non finito e che sembra
infinito.
Spero che tutto ciò
faccia riflettere, aiuti ad uscire da questo tunnel nero, lungo e profondo per
trovare, alla fine, un'umanità diversa, forse meno frenetica e tumultuosamente
in movimento, ma più riflessiva e meno prepotente e presuntuosa.
Dedico questa opera
in primis a chi dal male è stato colpito; a chi, medici e personale sanitario
in testa, ha dato l'anima e la sta dando per combatterlo.
Dedico questo
scritto alle persone che amo, ai miei cari, agli amici veri, alla tanta gente
perbene che conosco.
Lo dedico a mio
padre, che conobbe la sofferenza in 12 terribili anni di Parkinson e la seppe
sopportare con grande ed indomita dignità
d.f.
Inutile negarlo:
per la prima volta nella vita siamo tutti, ma proprio tutti, uniti da uno
strano destino. Tanto strano da farlo apparire irreale, un incubo. Invece è
incredibilmente vero.
Il male è tanto più
invisibile quanto diabolico. Non le vedi quando colpisce ma le sue nefaste
conseguenze sono, invece, quanto mai evidenti, visibili, prolungate nel tempo.
No, non sto
scrivendo l'Apocalisse parte seconda, né intendo aggiungere voci spettrali al
momento difficile e così orribile che, anche a parlarne solo in termini di
narrazione, ti sconvolge o, quantomeno, crea disagio. Voglio soltanto provare a
scrivere un diario di sensazioni, in tempo reale, di come un giornalista che
ne scrive e lo descrive, vive il momento storico del coronavirus, il Covid 19
che ha fatto irruzione nella nostra società inquieta e vagabonda e che ha
scoperto una situazione sociale di usi e costumi di perenne viaggiare:
“parto...”; dove vai per le vacanze?”; “sto tornando dall'estero per lavoro”;
“cerco dove andare a caricare le batterie”, “vanno via tutti”; “sono a Roma
per alcune riunioni”. Ecco, questa è soltanto una raccolta di frasi che
quotidianamente vengono scambiate nella nostra società.
Si viaggia spesso per lavoro
perché oggi c'è il mercato, la globalizzazione; si viaggia per diporto
per-ché...così fan tutti, ma anche perché viaggiare è cultura, relax. E se
soltanto un po' di anni fa era costoso, oggi, con l'irruzione del low cost, le
mete mondiali, miti e sogni di un tempo, sono lì, basta allungare un braccio,
fare qualche clic sul computer, per immergersi nella geografia globale. E allora perché stupirsi se abbiamo raccolto
come pur scomodo, non voluto e non invitato al banchetto del movimento turistico-
affaristico, il virus dagli occhi a mandorla che però, emigrando verso Ovest,
ha cambiato geneticamente ed è diventato latino e soprattutto italiano, per
approdare poi alla Ue intera? Del resto siamo il Paese più bello del
mondo e raccogliamo turisti internazionali per le bellezze che offriamo,
mare, monti, monumenti, dipinti e palazzi. Alla fine abbiamo attratto anche il
virus.
E poi dalla Cina
importiamo tecnologia, auto, mobili, vestiti e merce varissima; poteva mancare
una nota stonata e cattiva come il virus?
Riflessioni
forse banali; forse scontate che accompagnano le mie notti in questo periodo,
scandite dai rintocchi di un antico orologio, del 1800 e qualcosa, che mi
permette di sapere l'ora anche ad occhi chiusi.
E verso l'alba mi
viene anche in mente che noi, popolo di naviganti e viaggiatori, poeti,
artisti di grande caratura, come pure ne hanno altre nazioni, avremo un
rapporto con l'amico intimo viaggio mutato.
Non tornerà mai più tutto come
prima. Ci sarà un prima corona ed un post corona, tutto da scrivere perché sarà
necessario attendere la fine ed in che maniera avverrà, di questa situazione e
dell'emergenza virus.
Personalmente e
come cronista ho vissuto e narrato mille eventi negativi che, quando accadevano,
attiravano l'attenzione di tutti.
Molte volte abbiamo
subito calamità come alluvioni, terremoti, disastri di vario tipo, incidenti
gravissimi, gesti terroristici o delinquenziali della malavita organizzata
che, per tempo anche non breve, hanno tenuto senza fiato, in apnea, il nostro
Paese ed il mondo. Ci hanno coinvolti in molti e pareva che tutto il mondo
stesse patendo con noi. La sensazione era che quanto accadeva fosse la calamita
globale che attirava tutto.
Anche
a livello personale ricordo di aver patito diverse alluvioni. Il mio incubo;
ad ogni allerta per me era qualcosa che mi sospendeva la vita, la metteva in
stand by. A volte l'allarme non corrispondeva a quanto sarebbe accaduto, altre
volte invece finivo a spalare acqua e liquami che mi facevano sentire sporco,
maleodorante. Uccidevano per qualche momento la mia ricercata qualità di vita.
Il mondo, per me,
era lì e lo stesso accadeva per tanta gente che, come me ed anche peggio,
viveva quelle situazioni o altro che ho citato sopra.
Ma
però, in quelle occasioni come in altre sociali, economiche, politiche, ci
accorgevamo che, mentre pativamo (o pativano, se era il cronista intonso
dall'evento a narrarlo) pure in un nutrito gruppo di popolo, girato l'angolo,
c'era chi andava a ballare o a divertirsi in altro modo, assolutamente non coinvolto dagli
eventi drammatici.
Questa volta,
invece, nessuno è al di fuori di un momento incredibilmente vero. Non è l'11
settembre, non è il G8 di Genova, non è il terremoto dell'Aquila. E' praticamente
tutto il mondo immerso in ciò che accade, nessuno escluso. L'Italia, poi,
peggio di altri. Terzi al mondo per infetti e morti, dietro a Cina e Corea.
Come per i telefonini: ne abbiamo 40-50 milioni, terzi al mondo dopo Cina e
Corea.
Strana
la vita.
Siamo passati, in
buona parte delle generazioni presenti al momento storico attuale, dal carbone
al calorifero sotto il pavimento, dal telefono nero con ruota al cellulare che
fa tutto, ti dice tutto, ti apre un mondo. Dalla carrozza a cavalli (ricordo lo
scalpitio all'alba, verso il Mercato Orientale, dei carri che trasportavano
la merce quando abitavo in centro ed ero bimbo) al Concorde, pure se dismesso;
dagli aerei ad elica della italica Ati, risucchiata da Alitalia decenni fa, al
Jumbo, mitico 747 che pure moderno e fantascientifico per i nonni ancora in
vita, è stato pensionato ed è considerato vecchio. Nella vita, chi ha i capelli
almeno grigi e andava in viaggio con la cartina geografica del Touring Club,
ora vede nipoti e figli attraversare l'Italia condotti per mano dal Tom tom.
E restando in tempi
recenti siamo passati dai Bot alla Borsa on line, abbiamo vissuto l'11
settembre, catastrofi naturali, attentati mafiosi, terrorismo islamico. Mix
incredibile di bello e di brutto ma di inarrestabile movimento verso nuove mete, orizzonti incredibili.
Da poco più di un
mese siamo bloccati, noi cittadini del mondo, da un coso men che millimetrico
che ha fermato tutto, socialità compresa, come niente e nessuno poteva fare.
Ho
parlato poco sopra delle generazioni attraversate dall'evolversi della scienza:
i nostri padri leggevano Verne, poi hanno visto alla tv bianco e nera diventare
realtà l'uomo sulla Luna.
Tempi
belli del boom economico.
Avevano lasciato alle spalle la
guerra: '15-'18 ma soprattutto quella terminata nel '45. Settantacinque anni
fa. Nemmeno quasi l'arco di una vita vista la longevità attuale.
Quegli
orrendi anni che parevano irripetibili e che avevano coinvolto il mondo e
bloccato forzatamente la vita di tutti, sono l'unico evento che ha compreso
tutti, come oggi, anno del Signore 2020, è riuscito a fare il virus a forma di
corona, che ha poco di regale e molto di diabolico.
Certo ci sono pure
differenze, ma questo blocco di vita è il parallelismo che unisce i due
momenti.
“Nel mezzo del
cammin di nostra vita”: allora quella dei nostri nonni e padri; ora di noi
tutti.
Intanto la luce che
filtra dalle finestre mi dice che la notte insonne, pensando al virus (che
bello quando, giovincello, la passavo pensando all'altro sesso) è alla fine. E'
ora di alzarsi ed affrontare, con speranza, voglia di fare, determinazione,
una giornata nuova con sentimento misto di preoccupazione per superare gli
ostacoli quotidiani ma anche con la voglia di fare, incontrare gente.
Curiosità irrefrenabile di nuovi incontri, sensazioni e perché no? persino di
problemi da affrontare e superare.
Accendo radio,
televisione, accendo il fuoco sotto il caffè utile a dare l'ultima spallata al
sonno residuo, e tema delle trasmissioni è il virus, sempre quello. Il malefico
virus che non mi impedirà di andare a passeggio nel mattino ancora deserto
(motivi di salute); di fare un passo nella parrocchia vicino a casa per avere
la sensazione di parlare, in quel luogo più che altrove, con mamma e papà
(motivi di devozione).
Le sensazioni
cedono rapidamente il passo alla ragione. Alla preoccupazione di un male che
ha soprattutto due caratteristiche inquietanti: il fatto che sia nuovo e
sconosciuto; il fatto che infetti con rapidità impressionante, da fibra
ottica.
I numeri salgono e
si impennano come l'aereo che decolla; la scienza appare quasi balbettante, con
sterili polemiche tra addetti ai lavori. Certamente molti di loro sono dediti
al bene, ma in qualche caso alcuni mi sembrano quasi esibizionisti che colgono
l'occasione per mettersi sotto le luci della ribalta.
La realtà – penso –
è che la scienza non è scienza esatta, così come lo è ancora meno (per
ammissione medica) la medicina.
Per cui il virus
incoronato resta ancora misterioso, in maniera inversamente proporzionale alla
sua espansione, che è invece chiara ed evidente. Avanza più spedito di
Napoleone, passa le frontiere ed il giornalista, che dovrebbe spiegare la
situazione intervistando chi ne sa, ha paura. Sì, è preso da angoscia quando
il primario, professore o medico specializzato fa ipotesi, non ha certezze.
Sì, ha paura del
vicino di casa, dell'amico, di chi incontra, dell'impiegato di banca, del
postino, Siamo tutti contro tutti nel terzo millennio, apoteosi di quanto
l'uomo riesce fare.
Faccio
il giornalista, ma mi trovo a ragionare come la fatidica casalinga di Voghera e
in fondo penso che la semplicità fotografa la realtà meglio della conoscenza.
Non riesco a fare
dietrologia per mentalità. Però mi trovo a divorare tutte le notizie che
arrivano persino dal primo che passa. Guerra batteriologica per il dominio
dell'economia, gossip che racconta del padano avvinto da una sala massaggi
cinese e che ha pagato l'atto impuro con l'infezione prima a se stesso e poi
propagata all'intero Paese.
«Castigo di Dio!»,
mi urlerebbe la solita casalinga di Voghera.
Non credo
alle favole, ma ad ascoltare e leggere tutto quello che viene comunicato a chi, come me, fa il
comunicatore, più che capire alla fine ti confondi e se hai un po' di mal di
gola ti vedi già descritto nel necrologio.
Domenica
scorsa avevo prenotato un Piper per volare alto tra Liguria e Piemonte in una
giornata limpida come se ne contano poche, senza vento e con cielo azzurro. Ad
un'ora dal decollo ho deciso di restare a terra. Nonostante i protocolli di
volo avessero previsto una serie stringente, importante ed assai precisa e
rigorosa che nulla lasciava al caso, di azioni e disinfezioni da fare
all'aeroplano per evitare ogni rischio. Dall'incappucciamento del microfono
all'obbligo di salire a bordo effettuando controlli ed altro con guanti usa e
getta.
Paura
irrazionale o giusta prudenza?
Giro con la
mascherina, stavo in giro 12 ore, ora sto in studio, a casa, 23 al giorno. Ho
scritto delle Fiere italiane rinviate, Salone del Mobile, Vinitaly,
Mercanteinfiera, fiere emiliane, venete e romane. La bellezza italiana in
vetrina. Scrivevo e quasi piangevo perché quelle rassegne le conosco bene; ho
scritto una marea di reportage, negli anni, su quelle. Vengo dall'imprenditoria
e so che l'Expo è il pilastro di economia e benessere italiano e non solo.
Ad ascoltare i miei
interlocutori afflitti dal forzato stop, che parlavano con voce spezzata perché
al di là del business adorano il loro lavoro, provavo un nodo alla gola, peggio
che con il coronavirus.
E penso che, se sopravviveremo
fisicamente al male, ci farà molto male quanto questo inciderà sull'economia.
Le
fiere, con 200 mila espositori e 20 milioni di visitatori all'anno, valgono
per l'economia 60 miliardi di euro e sono una punta di diamante del nostro
export, permettendo agli espositori di mandare oltre i nostri confini il 50%
della loro produzione. E l'Italia è quarta nel mondo per valore assoluto del
comparto fieristico, mentre nel mondo le fiere sono 32 mila per 275 miliardi
di euro e 167,2 di contributo al Pil mondiale. Numeri sintomatici di quanto il
Covid 19 faccia tanto male, tanto male, non solo alla salute. Perché queste
cifre citate per gli eventi fieristici sono indicative di quanto parte
dell'economia sia infettata dal virus. Il giornalista, come qualunque altro
italiano, si rende conto che, superata l'emergenza sanitaria, che non sarà cosa
da poco, ci sarà quella economica. Turismo e connessa ristorazione e
accoglienza in testa.
Quanti posti di
lavoro saranno persi? Quanto ci vorrà a risollevarsi? Un anno? Forse di più?
Riflessioni, ansie
e pensieri che non attenua un pezzo che scrivo per Avvenire, nella bella
rubrica dedicata alla buone notizia “dulcis in fundo”. Racconto della squadra
Multedo 1930, del quartiere di Pra', periferia occidentale di Genova. Giovani e
meno giovani anche bravini con il pallone e che, fermo il loro campionato
dilettantistico, fermi gli allenamenti, si dedicano a fare la spesa e portarla
a casa degli anziani soli o che non riescono a provvedere per le lunghe code ai
supermercati o per altro. Gesto generoso che fanno in 40, giocatori dai 16 ai
40 anni, dirigenti, staff tecnico. Mi spiega tutto il loro mister, Alex Bazzicalupi:
“fare del bene fa stare bene – mi dice – è il nostro motto. Lo abbiamo messo in
pratica dopo che l'idea mi è venuta alle 7 del mattino quando stavo per fare
le convocazioni per la partita che non si fa, causa decreto governativo anti
virus. Li ho convocati a fare questa cosa. Hanno aderito subito tutti”. Ed Alex
mi stupisce quando, con aria serafica mi dice: “sì brutta situazione, ma
magari sarà un punto di svolta, capiremo molte cose meglio. Potrebbe fare in
modo che dopo faremo meglio”.
Dopo la casalinga
di Voghera l'allenatore di Prà: bello fare il giornalista. Impari ogni momento.
La realtà ha più fantasia della fantasia, purtroppo pure per questo corona,
brutto e cattivo.
L'ANSIA (O PAURA?) DEL
GIORNALISTA
Ammetto
che l'ansia c'è. Anche per il giornalista con un passato da freddo cronista di
nera, iniziato con le Br e proseguito con il crollo del ponte, scrivere del
coronavirus spazza via quella differenza che esiste sempre tra narratore delle
vicende umane e protagonista. In questo caso si è entrambi: si scrive, si leggono
i comunicati pienamente coinvolti, tanto da provare l'emozione di scrivere, in
primis, per se stessi.
E' il giorno numero
uno del tutto chiuso in Italia e l'ansia è aumentata dal fatto che il nemico da
battere è cattivo, nascosto, poderosamente potente. Chiamo il mio albergo di
Roma, zona Termini, la mia “casa” romana. C'è la direttora, mia vicina di valle
in Piemonte di cui è originaria, ed un'altra addetta. Telefonata di affetto,
le dico, perché lì ci sto davvero bene nelle mie trasferte sotto il Cupolone.
Mi avverte che l'hotel è chiuso. Zero italiani, zerissimo stranieri e per
tutela di staff e clienti da domani l'albergo sarà chiuso e senza nessuno. La
direttora va a casa sua, in Piemonte.
Mi manca Roma e mi
mancano i luoghi familiari, dopo tre anni di vita tra Genova e la capitale.
Mi assicura:
“riapriremo ad aprile con belle novità; la aspettiamo qua, a casa sua”. Chiudo
gli occhi e vedo quell'hotel su una delle più grandi vie della capitale, fondo
sconnesso, sampietrini peggio che il gioco dello Shangai (ahi, ho evocato la
Cina!), ma zona dove correrei subito se
potessi.
Chiudo la
telefonata; è stata l'ennesima sensazione di quello che sta accadendo.
In mattinata mi ero
letto e riletto l'ultimo decreto del primo ministro. Decreti che sembrano
bollettini, visto che in quattro giorni ne sono stati emanati tre, sempre più
restrittivi. E ci saranno correzioni nei giorni seguenti ed altri decreti.
Leggo e ne scrivo per i miei giornali. Poco dopo chiamo la mia banca e temo, come
tutti gli italiani, per i miei risparmi. Non ho particolare conforto ed allora
azzardo con l'amica bancaria: crisi paragonabile a quella del 2001 per le
Torri Gemelle abbattute dai folli e criminali terroristi islamici. Guardatevi
gli indici di borsa; erano crollati a due cifre e ci hanno messo 20 anni a
recuperare, mutando il sistema di investimenti: le banche avevano i borsini ed
ogni mattina si andava lì per “giocare” (sì, sì, era diventato quasi un gioco)
con le azioni. Le torri gemelle demolite dai Boeing avevano spazzato via questo
divertimento. Cambiate le banche, le persone, i bancari, gli investimenti.
Proseguo il
ragionamento con la bancaria, mia consulente. Se usciamo dalla tenaglia del
virus ci sarà ripresa. Almeno lo auspichiamo. Sarà però più veloce che
vent'anni fa, siamo vaccinati, forse più edonisti e forse abbiamo meno voglia
di soffrire. L'alta finanza ci ha insegnato, da allora ad adesso, a non essere
schizofrenici.
Dico così perché ci
credo, oppure per far credere a me stesso che, alla fine, il “tortino” dei
risparmi tornerà ai livelli almeno attuali?
Non
lo so, forse... in medio stat virtus. La verità è nel
mezzo.
Sta di fatto che
questo virus impegna a riflettere come non mai. Implica ragionamenti che non
abbiamo mai fatto, ma anche che mai sono stati così incerti. Perché ieri l'Oms
dice che è pandemia; oggi che è controllabile. I servizi che con assiduità
seriale e senza sosta ci arrivano da tv, web, radio, propongono interviste,
dirette, mostrano immagini di donne e uomini scafandrati contro l'infezione.
Neppure termina il parlato che accompagna il servizio quando, come the end,
l'immagine proietta un'ambulanza che corre a sirene spiegate.
Se già stavamo male
per le notizie appena apprese, quell'immagine amplia la drammaticità della
situazione.
Lo
dico da italiano, da spettatore, da utente dei media. Questa è la mia
impressione e credo non solo mia.
Non finisco poi di
leggere il decreto che mi raggiunge la notizia che forse chiuderanno alcuni
aeroporti. Non c'è tregua. Né, in questa situazione e con questi presupposti,
si può evitare di pensare di ricorrere ai calmanti che garantiscano una lunga
notte di sonno. E, ancora da giornalista e da italiano, mi ribolle l'idea che
ci sia molta indecisione da parte di chi governa. Non è questione di colore
politico perché da nessuna parte vedo freddezza e lucidità.
La partita è
difficile, certo. Mi domando che farei io al posto di premier e ministri e mi
rendo conto che la cosa è durissima.
Tuttavia, la lotta contro il virus penso che avrebbe dovuto essere iniziata
con più determinazione e cattiveria. E mi torna il mio vecchio convincimento
che la classe politica italiana è troppo derivante dal “corpore” dei partiti.
Poco dalla società civile, fatta da lavoratori, soprattutto da imprenditori,
da professionisti. Gente che ha magari poca virtù diplomatica ma grande senso
pratico e buono. Poi l'attuale classe politica appare titubante, inesperta e
che per non dimostrare incertezza, molto spesso decida con la prima idea che le
viene in mente per dimostrasi sicura e decisionista. E questo è davvero
pericoloso.
Lo dico con
cognizione di causa, essendo stato a lungo imprenditore. Sapendo come i
problemi li hai tutti i giorni e in ogni momento in un'azienda. Ma se non li
risolvi in tempo reale, alla sera, tiri il cassetto ed è vuoto. In politica fai
bene o fai male, lo stipendio a fine mese arriva comunque e magari se non più
eletto vieni ricollocato.
Vero che chi
amministra la cosa pubblica deve vedersela con burocrazia, leggi, partiti,
maggioranze litigiose, opposizione. Ma sono anche certo, come ho detto mille
volte, che buona parte della classe politica, anzi la maggioranza, se dovesse
gestire un'attività commerciale o artigianale, anche piccola, avrebbe grandissima
difficoltà; forse non riuscirebbe.
Insomma, questa lotta contro il
virus è forse la prova più difficile che noi, gente del Bel Paese, abbiamo affrontato
dopo la guerra mondiale del secolo scorso, che fu vissuta da altra generazione.
Comprendo tutto e comprendo la difficoltà di chi governa, però chi gestisce lo
Stato sa benissimo come possa capitare qualcosa di estremamente difficile e
quindi deve sapere, prima di assumere ogni responsabilità, se è all'altezza o
no.
Intanto
i dati sono sempre peggio; vedo un'Italia sbigottita, stavolta senza rabbia ma
con tanta paura. Lo scenario è quello di un film che, se fosse stato realizzato
da un regista fantasioso, alla fine della proiezione avrebbe fatto dire allo
spettatore: “mamma mia, però non è possibile che accada”.
Sono quasi le 8 di
sera e sono ancora al computer. Scrivo pezzi sull'economia all'epoca del virus.
Penso che ci sono persone al collasso economico. Penso che questo mese di marzo
vedrà mille scadenze, affitti, tasse impagate.
E intanto mi arriva
la notizia che il parroco attuale di Brescello, don Evandro Gherardi, paese di
Peppone e Don Camillo, ha messo il Cristo del prete d'assalto che tanto ci ha
divertito in quella impagabile serie di film, nella piazza dove si incontravano
e scontravano il prete ed il comunista.
Per chiedere a Dio
ed al Suo Figlio morto in croce di liberarci dal virus.
Prendo il cellulare
e lo chiamo. A Brescello ero di casa, amico di tutti, appassionato dei quei
film, ci ho fatto conferenze, ho scritto una marea di pezzi.
Mi chiede come sto,
quando tornerò a trovarli e poi mi spiega che sono stati i cittadini a
chiedergli quel gesto, cui lui ha accondisceso volentieri. Dopo tanti anni,
sembra tornata la trama di un film anni '50. Ricordo in particolare la
pellicola che narrava del paesello invaso dall'acqua dell'alluvione, quando
Don Camillo, mai domato dagli eventi, si mise a celebrare messa su una barca.
Questa del coronavirus, però, penso, non sarebbe venuta in mente nemmeno al
Guareschi più vivace e fervido di fantasia.
Allora fu finzione
scenica e l'alluvione della piazza principale fu fatta attraverso un accurato
posiziona-mento di specchi, in quanto l'acqua del Po non potrebbe mai
raggiungerla, per una questione di pendenze. Però funzionò a meraviglia.
“Quando non si sa
dove sbattere la testa – mi dice l'amico prete – ci si affida a Dio. Si chiede
il suo intervento”.
“In un momento
emergenza, Gesù Cristo è il pezzo da 90. Così – mi racconta don Evandro – l'ho
messo in piazza e ho dato la benedizione, con la piazza vuota. Speriamo sia
efficace”.
Intanto, mentre mi
cimento in questa sorta di diario del giornalista impegnato a fare cronaca
chiuso nel suo studio, obbediente al decreto del tutti a casa, il pc continua
ad emettere il suono metallico che avverte dell'arrivo di nuove email. Tutti
comunicati stampa sul tema virus.
Arriva un bel video
del Comune di Genova con messaggio del sindaco Bucci; arrivano i dati della
Protezione Civile che non mancano di impressionare: quasi 13 mila gli
infettati, oltre 1000 i morti. Numero superato però da quello dei guariti,
che, nella sera di giovedì 12 marzo ammontano ad oltre 1.250. saliranno nei
giorni a seguire in maniera impressionante. E arrivano, sempre dalla mia
Genova, notizie di parcheggi gratis a chi espone sul cruscotto
l'autocertificazione del motivo per cui si è lì; che i parchi restano aperti;
che si può fare sport all'aperto o passeggiate purché non in gruppo e che le
rate delle mense scolastiche non dovranno essere pagate in questo periodo. Accoglienza
totale per i senza dimora e la pulizia delle strade sarà fatta senza multare
chi non sposta l'auto. Lo so, questa nel contesto di cui sopra pare una sciocchezza.
Però è un tormentone, una penalizzazione vergognosa quella di multare chi non
ha modo di spostare l'auto in una città senza parcheggi quando c'è lo
spazzamento. Il comunicato dice che si pulirà lo stesso. Insomma, volere è
potere e significa che la pulizia si può fare anche con le auto in sosta.
Ci voleva che
arrivasse un virus micidiale dalla Cina per capirlo.
E casualmente mi
capita di passare davanti alla mia amica sarta cinese di Shangai. Entro, la
saluto e lei ride, vedendomi con la mascherina.
In
italo-cinese abbastanza improbabile ma efficace mi dice che in
Cina “tutto finito, tutto a posto. Nooo qua nooo”. E mi ricorda che dal suo
Paese stanno arrivando mascherine ed altro anti Covid 19 per noi italiani.
Esco dal suo negozio super affollato di capi di abbigliamento da modificare,
cucire ed altro e giro per il centro città con autocertifcazione in tasca. Devo
fare spese di generi primari, devo fare una sorta di reportage su Genova
deserta.
Ma
nemmeno tanto: c'è un po' di traffico, non molta gente perlopiù senza
mascherina che mi guarda come un marziano perché io la indosso. Molti sono
trainati al guinzaglio dai loro animali; altri parlano al cellulare e ti stanno
pure appiccicati mentre aspetti il verde al semaforo. Mi sposto subito, mantengo
il metro ed anche di più... melius abundare.
Torno in
studio, a casa, io antesignano del lavorare da casa, dove mi sono fatto da
tempo una location a misura di giornalista e della mia personalità. Ho
raccolto abbastanza materiale per scrivere e abbastanza roba per sopravvivere
qualche tempo.
Il mio telefono ha
il contapassi. Faccio chilometri, ma mi manca il nuoto. Piscina chiusa.
Il «Piccolo» di
Alessandria mi chiede di seguire due della città ricoverati ad Albenga, colpiti
dal corona. Erano in Riviera, cercavano il sole, il clima mite via dalla nebbia
micidiale della bella Alessandria. Hanno trovato l'epidemia.
Uno
di loro ha 90 anni ed era ricoverato per altra patologia; l'altro poco più di
60. Condizioni “stazionarie” indica il preciso bollettino che, ogni giorno, le
Asl liguri emettono sulla quantità dei ricoverati e relative condizioni. Tutto
con rigoroso rispetto della privacy, senza che sia possibile il minimo
riconoscimento personale.
Scrivo
il pezzo e lo invio alla collega che gestisce le pagine. Parliamo della
situazione. E' gentile, mi chiede della suocera e mi invita a stare attento, a
visitarla solo con mascherina: io, lei e mia moglie nonché sua figlia.
Tre redazioni: Il
«Piccolo», in Alessandria, già zona rossa,
come Milano dove ho la redazione di «Avvenire» e
quella di «Buongiorno!», il mensile che dirigo e che si
trova alle spalle del quartiere cinese nel capoluogo lombardo. Dovevo andarci
il mese scorso ma poi ci ha pensato il virus di nome corona a dettarmi
un'agenda diversa.
Ho scritto i vari
pezzi, compreso uno per «Conquiste del Lavoro» (redazione
a Roma) sulle crociere. Sarebbe stato tutto positivo, nuove ammiraglie, numeri
da record e comparto economico più che in attivo. Ho dovuto cambiarne l'attacco
perché le Compagnie di navigazione hanno stravolto i loro calendari e programmi.
E' ora di chiudere il pc quando le 21 si approssimano.
Sento i vari tiggì.
Il virus appare ancora fortissimo e vincente. Super infettivo e questo è
l'aspetto che mi pare peggiore.
Stringiamo i denti,
domani è un altro giorno e sarà ancora battaglia. Penso che forse ogni giorno
che passa ci avvicina alla fine di questo incubo. Che però mi appare molto,
molto lontana.
Mai ho sentito
tanto nell'anima e nella mente un argomento di scrittura nella mia attività di
giornalista come questo.
Mi impegno a
contribuire come posso e più che posso, nella mia funzione, a lavorare per
battere il virus. Anche se la cosa appare impegnativa. Questo è il mio pensierino
della sera dopo un'altra giornata al corona virus.
BLOCCO TOTALE, GIORNO NUMERO 2
Secondo
giorno di blocco totale di circolazione di uomini e mezzi. Mi sono svegliato
con due sentimenti: uno di angoscia perché abituato a vivere con la valigia
sempre pronta, itinerando per l'Italia, o comunque vivendo giornate fitte di
impegni e cose da fare, pezzi da scrivere. Mi domando cosa farò nei prossimi 15
giorni a libertà limitata. O meglio come reggerò a questa limitazione della
libertà, peraltro ineludibile in quanto terapeutica e inevitabile per evitare
il replay della peste che, fino ad ora, pensavamo soltanto da leggere sulle
pagine scritte dal Manzoni. Di quel grande poeta milanese
(guarda caso) che oggi sarebbe un grande giornalista, dopo aver scritto I
promessi sposi, ma anche Sant'Ambrogio, i Cori dell'Adelchi e quel fenomenale
editoriale dal titolo “5 maggio” in onore del grande Napoleone. Sì, lo so che
molti non lo amano il francese guerriero. Ma io ho un suo busto nel tavolino
accanto alla mia scrivania perché sfidò lo strapotere di chi voleva egemonia
sull'Europa e immediati dintorni. E a me chi rivendica il potere a chi lo
merita e non per censo, concettualmente mi piace. Anche se detesto guerre ed
armi.
Sto
parlando tra e me e me da uomo. Torno a fare il giornalista e smetto di
divagare, facendo mentalmente l'agenda della giornata e penso cosa proporre
alle varie testate per cui lavoro e che sfoglio on line di prima mattina.
IL VIRUS DELL'INCAPACITA'
Deciso che poi,
tutto sommato, anche senza piscina e viaggi riesco ad impegnare la giornata in
maniera completa, il secondo sentimento che sento e che stride maledettamente
con la dolcezza del caffè e latte, biscotti e miele della mia colazione, è la
rabbia contro il virus dell'incompetenza (o peggio) per cui chi è a capo della
Bce, strapagato per questo, ha straparlato facendo crollare le borse. Penso ai
miei risparmi accumulati scrivendo migliaia di pezzi, lavorando alacremente
da imprenditore. Penso a quelli di mia suocera, venuta tanti anni fa dal Sud ed
ai suoi grandi sacrifici. Penso agli italiani ma anche a chi è venuto da
lontano, lavorando con onestà e pensando alla vecchiaia da trascorrere al Paese
di origine.
Si uniscono
giornalista e uomo e penso a scrivere un fondo o un editoriale che affermi come
non bastavano gli incapaci italiani, ora ci si mettono pure quelli europei. Ma
come fa una persona che è al vertice maximo del risparmio e dell'economia
targata Ue a non capire, in un momento come questo, che dire come non siamo qui
per occuparci dello spread, significa far crollare i mercati?
In un contesto
normale la bancaria Cristina, in arte Lagarde, vissuta sempre in bei palazzi e
suppongo nel lusso, sarebbe stata licenziata o si sarebbe dimessa. Contestabili
modo e metodo. Lo capirebbe pure un commercialista nemmeno bravissimo o il
cassiere della banca all'angolo che, in economia, le frasi pesano più dei dollari.
Forte del fatto
che, fin dal giorno della sua elezione, dissi che la signora era inadeguata,
vieppiù oggi credo che chi ha posti di responsabilità debba avere massima ed
attenta competenza e sensibilità.
Già questa vicenda
sarà un massacro per l'economia e firmerei qua, subito, se mi dicessero che tra
un anno avremo risolto tutto e l'economia sarà un punto percentuale meglio che
ante crisi coronavirus. Se pure si dicono frasi irresponsabili e anche
sbagliate perché l'Europa deve guardare al dio spread, perché così (purtroppo)
oggi è costruita, il rischio per i privati diventa peggio della zona rossa. Ed
io, europeista della prima ora, mi sento lacrimare gli occhi a vedere come
funziona ora.
Ricordo le serate
trascorse a Venezia quando ero giovanissimo cronista con Gustavo Selva, detto
“Belva” per i suoi editoriali radiofonici, nella sua casa sulla Laguna, per
fondare l'Unione Panaeuropea che aveva ideato il giornalista, ora scomparso e
che ebbe una vita in altalena, amato, odiato, con fasi molto diverse. Venne a
Genova, cenò a casa mia, tenemmo una conferenza in un albergo del centro per
l'occasione. Preistoria della Ue. Ma eravamo un gruppo che ci credeva e veniva
da tutta Italia.
Ma se avessimo
pensato che un giorno ai vertici avremmo avuto miss Lagarde ci saremmo limitati
a un giro in gondola e saremmo ripartiti per le rispettive abitazioni.
Bruxelles, apprendo
dalle prime agenzie, sta cercan-do di
mettere una pezza alle incaute dichiarazioni della francesina e la Borsa di
Milano apre volando. C'è chi in tutto ciò guadagnerà molto perché l'assist è
stato perfetto per una speculazione che non aspettava altro che qualche
pretesto per creare una discesa degli indici, mai così alti in questo secolo
come prima dell'irruzione del Covid 19.
Scaricata la posta,
riletti i miei pezzi usciti in mattinata, compreso uno sulle crociere che, tra
i pochi comparti ok, avranno un tracollo, è il momento di mettersi guanti
monouso, mascherina, autocertificazione in tasca ed andare a vedere com'è la
situazione in città, in un possibile reportage su Genova, grande città italiana,
al pari del resto del Paese, chiusa per contagio da evitare.
In centro c'è
pochissima gente, è tutto chiuso, ma a contorno (dire...a corona sarebbe
disdicevole) nel cuore dei vari quartieri che compongono il centro ci sono code
sia nei negozi di vicinato rigorosamente alimentari, che davanti ai
supermercati.
Però le mie fonti
decentrate mi dicono che, invece, nei Municipi a latere del centro, c'è
movimento. Non c'è folla ma parecchia gente.
Spiegabile perché
il capoluogo ligure è città policentrica, dove gli abitanti vivono la loro
zona come sorta di città nella città, realtà a sé stante. Qui il movimento è
maggiore e si trovano persino mascherine.
Le chiese sono
aperte ma deserte. Rarissimi i fedeli, in maggioranza stranieri. Poche auto in
strada, bus vuoti. Controlli zero, anche se il consueto mattinale che la
Questura invia per email alla stampa, informa di una manciata di denunce: una
coppia mista che litiga per strada dove non dovrebbe essere; un'ecuadoriana
del milanese ubriaca che è invece in centro Genova ed un bar periferico che
vendeva ad 1,80 eu-ro cappuccino e brioche. Tutto proibito dal decreto del
premier Conte, per cui sono scattate le denunce. Mi stupisce poi come la gente
non si protegga. Pochi sono in maschera, molti non tengono le distanze. Niente
mascherine e guanti neppure per chi sta dietro ai banchi, al mercato. Mercato
Orientale, principale di Genova non proprio deserto. Poche mascherine e
guanti, persino negli esercenti, la gente non tiene distanze.
Anzi c'è chi mi
guarda come un appestato o un marziano indossandola. Mi domando: ma la società
di oggi non teme neppure per la propria salute?
E poi, altro motivo
di stupore, gli anziani, dicono gli esperti, sono soggetti maggiormente a
rischio soprattutto se con patologie. Eppure, la maggior parte dei girovaghi
sfida-decreto mi appaiono anche molto anziani e spesso malandati. Camminano da
soli, senza mascherina.
Come giornalista
devo capire e ipotizzo che, essendo Genova città anziana e con il 30 e passa
per cento over 60, questi sono in maggioranza. Molti di costoro vivono da soli
e non hanno nessuno che gli faccia la spesa. E sono perciò costretti a fare da
sé, anche se forse se ne farebbero volentieri a meno.
Il
contapassi del mio cellulare mi dice che ho camminato per 5 chilometri; ho
visto molto per i miei servizi ai media ma, nell'occasione, ho anche supplito
un po' all'attività natatoria che è tra le cose che mi mancano di più. E
proprio di venerdì, uno dei giorni deputati al mio mens sana in corpore sano,
tra le corsie in acqua. Ne compio ancora qualcuno per tornare a sedermi alla
mia scrivania e scrivere notizie ed impressioni sulla città di Colombo (ma
penso che anche negli altri mille italici campanili lo scenario sia fotocopia)
quando incontro un vecchio amico di antica fede monarchica che, decenni fa, mi
volle come giornalista al seguito per raccontare di una loro riunione-incontro
al monastero cistercense e poi benedettino in terra francese di Hautecombe,
da secoli mausoleo e luogo di sepoltura di Casa Savoia, dove mi presentò pure
Vittorio Emanuele al quale feci una breve intervista, quando ancora era in
esilio.
E nel mio spirito
che cerca sempre l'ironia anche in momenti “pesanti”, la battuta mi viene
spontanea, non avendo lui la mascherina: “stammi lontano non uno ma due metri;
sei monarchico e con la... corona sei contiguo”. Lui sorride ed io proseguo per
il mio studio.
Accendo il pc e
vado a riguardare il video messaggio del sindaco Bucci alla città. Bello, non
concede nulla al mellifluo o al pietistico. Rivendica il modello Genova per
battere il virus sull'esempio del ponte, che va avanti nonostante gli
accadimenti. Lo aveva già citato anche l'avvocato-premier Giuseppe Conte.
Il parallelo mi
piace ma questa è altra storia. Tra salute ed economia, la partita mi appare
più difficile, mentre dalle agenzie leggo che arrivano i medici, tecnici,
mascherine cinesi ed a Napoli un anti infiammatorio potrebbe curare almeno in
parte gli effetti da questa sorta di peste del tremila.
Sì,
lo so che è cosa seria. Ma mi viene repentinamente in testa il cantautore
genovese Bruno Lauzi, con cui condivisi un pranzo parlando di canzoni e
politica e lo trovai un uomo perbene e di grande intelligenza, che cantò
l'indimenticabile “arrivano i cinesi, arrivano a milioni, più gialli dei limoni
che metti dentro il the. Dice Ruggero Orlando che domani sono qui”.
Un
genio, antesignano dei tempi moderni.
Il sorriso si
spegne quando la posta del computer riempe lo schermo di email e comunicati di
nuovi morti ed aziende che chiudono almeno per questo periodo. Profumi,
abbigliamento, mobili, ma anche strutture pubbliche, parchi.
L'emergenza appare
totale, quasi sconfortante, infinita. Slitta tutto, campionati vari sportivi,
Formula 1, si annullano eventi culturali. Slittano
mille eventi e molti saranno probabilmente cancellati. Il 2020 a dispetto della
sua precisione numerica, 20 – 20, sarà probabilmente un anno di stand by della
nostra vita. Slittano referendum, forse elezioni e chissà quanto ancora.
Difficile avanzare previsioni nel momento della tempesta. Sarebbe come dire:
quando attracchiamo in porto avendo superato mare forza 10 faremo questa e
quella escursione. Non sappiamo quando arriveremo e come, non possiamo fare
programmi e previsioni nel momento in cui, Italia chiusa in casa, in due giorni
l'effetto è stato quello di un peggioramento della situazione.
Speriamo nella
Pasqua che ha il concetto di Resurrezione?
La data è vicina,
temo che non sarò una gran festa. Tutto va verso data da destinarsi. Lo sarò pure
il Natale? Slitterà anche questa santa festa, la più bella. Lo so che deve
passare un'estate, un autunno e si deve entrare nel prossimo inverno, però, da
cronista consumato mi sento neofita e più incerto che nei miei primi servizi a
dover scrivere e descrivere ciò che non ha precedenti o termini di paragone
nella letteratura dei media e dell'informazione.
Ormai il mondo pare
ostaggio del piccolo microbo invisibile.
Mi viene in mente
un mio vecchio editoriale: “Navighiamo in internet, affoghiamo in un
temporale”, perché le alluvioni erano il mio incubo. In quell'editoriale
volevo significare come siamo padroni di scienza e telematica e un pc ed un
telefonino sono i nuovi scettri del potere e poi, se una nuvola scura, massiccia
e cattiva decide di mettersi sulla nostra verticale, ci indica senza tema di
smentite, che può distruggerci la vita, le nostre cose, come accadeva nei
secoli passati, quando i mezzi di trasporto erano cavalli e non i jet o i
treni da 300 all'ora.
In questo caso con
la tecnologia riusciamo a parlarci in tempo reale ed in diretta da qua a
Singapore o a New York; riusciamo a trovarci dall'altra parte del mondo in
poche ore. Nulla ci potrà fermare se non una frazione di millimetro fatta a
coroncina.
Uomo onnipotente o
uomo fragilissimo?
Lo penso spesso
quando sono alla cloche di un Piper o di un Cessna o un Robin. Sto vincendo la
gravità, resto senza fiato guardando lo spettacolo della natura, il cielo, il
mare, Mi diverto ad andare al di sopra delle nuvole. Guardo i monti più bassi
di me, la terra. Basta un movimento minimo a spostarsi nell'aria a proprio
piacimento e provo un piacere indescrivibile in questo dominio della macchina
sulla natura.
Ma poi penso che la
sottile barriera che divide la vita dalla morte, l'essere dal non essere,
l'esistere dal non esistere, è un momento di pochi secondi perché, come
avvenne per le Torri Gemelle, basterebbe un impatto contro l'orografia che mi
contorna per mettere fine a tutto.
Triste, quasi
angosciante. Ma la malattia crea ansia; paura, come l'attesa di analisi
cliniche, per questo virus che sta cambiando il mondo. Se vogliamo ragionare
da uomini evoluti, la vita non può mancare di indurci a pensieri anche così
tristemente profondi.
Ma sono soltanto
pochi minuti concessi all'ansia perché, subito dopo, occorre avere contezza
che neppure il morbo è onnipotente e l'uomo è homo sapiens. Dobbiamo pensare
che alla fine, vinceremo noi.
Anche se in queste giornate
difficili per ciascuno di noi, per la nostra Italia ed il mondo intero i numeri
che fornisce con eccellente precisione la Protezione Civile tramite il suo
ufficio stampa appaiono inquie- tanti. La giornata registra lo sfioramento di
15 mila casi, oltre 1200 i morti, un po' di più, circa 1500, i guariti. Pochi
giorni e si andrà ad oltre tremila.
Per oggi il
mio diario lo faccio finire qua. Devo ancora scrivere, organizzarmi per domani,
leggere la quantità industriale di email che continuano ad arrivare.
Ed
ogni sera penso: domani è un altro giorno, ed ogni giorno avvicina alla fine di
questo incubo, anche se ogni giorno che passa allunga – ahimè – il numero di
quelli in cui stiamo soffrendo.
E penso ancora, in questo
frangente, dove inizia e finisce l'uomo e dove inizia e finisce il cronista?
Mai come in questa occasione mi è difficile separare e dividere i due ambiti.
La giornata è stata
altalenante, difficile e non è finita. Ancora un controllo alle agenzie, alla
posta e a gettare qualche idea per domani sull'agenda.
E' sabato ed inizia
il primo fine settimana dell'Italia chiusa per virus, leggo on line i giornali
e penso a cosa dovrò scrivere nella giornata.
I grandi numeri e
l'estensione sempre in aumento del Covid 19 è la news non buona che apre la
giornata, che vede in altalena bene e male: nuovo vaccino, aumento dei casi,
aumento dei malati ma anche dei guariti, espansione in tutto il mondo.
Stare
in casa, stare fermi induce ad usare il telefono ed i miei cellulari squillano
di continuo. Interlocutori da varie parti d'Italia e non solo dalla mia Genova,
che mi chiamano in quanto colleghi di lavoro, come amici. Con i primi
discutiamo delle notizie ma anche, vista la mia funzione di consigliere
nazionale, del futuro della categoria e dello stesso Ordine dei giornalisti
che vive questa epoca già difficile, pure non ci fosse stata la mazzata del
virus. I problemi in campo sono molti e complessi e, sperando che cali il
sipario sull'infezione, il futuro sarà da ricostruire.
L'impressione che condivido con i
colleghi è che non si risolverà in breve tempo. Tutto finisce, anche i virus,
ma ci vorrà tempo e gradualità. Con il collega, altissima carica del nostro
Ordine, diciamo che l'estate volerà via senza essere la festa vacanziera di
sempre; che il turismo, nostra seconda industria prenderà il virus della crisi
profonda e convergiamo sul fatto che probabilmente se si arriverà a normalità,
sarà forse verso Natale.
Altre
chiamate vengono da amici, avvocati, dirigenti, funzionari, liberi
professionisti che si rivolgono a me come se possedessi la verità sul virus:
“ma ci dicono tutto secondo te, che sei giornalista?”. Rispondo che penso di
si, che dicano quello che sanno e comprendono. Sul resto dico che se avessi
queste doti divinatorie, sarei un dio. Smentiamo la credenza popolare per i
cui i giornalisti sanno tutto di tutto. Sanno di quello che devono narrare in
quanto ci si concentrano, si informano, approfondiscono e controllano per poi
illustrarlo a lettori, ascoltatori, telespettatori.
Io poi non
sono dietrologo e penso che la vita non sia infarcita di cupole misteriose o di
misteriose incredibili verità. La vita è quella che è, con qualche inevitabile
fatto nascosto, pure con qualche trama ma con tanta informazione che ormai non
sfugge più nulla alla conoscenza di tutti.
E così rispondo,
spiegando le mie idee: la vicenda è molto pesante e seria. Ci si uscirà con
fatica e scienza. Si troveranno adeguate cure e mi auguro che il caldo spazzi
via il virus anche se questo scientificamente non è assolutamente certo,
purtroppo. Penso che comunque la natura poi si compensa e si auto controlla,
più forte di noi e del nostro sapere.
Salvata la pelle,
ci sarà il problema non da poco del portafoglio che temo subirà un attacco
epocale. Rimando invece ogni riflessione sulle riflessioni (voluto gioco di
parole) e mi rituffo nelle notizie.
Per quanto riguarda
ciò che dovrò scrivere rilevo come le Compagnie aeree, che necessitano di
incassare denaro ogni giorno, stiano cominciando a licenziare e temo che il
dopo virus sarà peggiore del dopo 11 settembre.
Nelle mie redazioni
lavorano in affanno, in parte da casa, in parte in loco. Personalmente nel
primo sabato di tutti a casa non dovrò scrivere molto.
Scorro comunque le
notizie e la mia guardia a queste sarà tesa fino alla chiusura delle pagine.
Scorro le agenzie e, nel mare magnum delle notizie complicate e non buone, ne
scorgo una che mi fa sorridere almeno per un attimo: in Germania scarseggia la
carta igienica. Scopro che la gente teutonica è in testa al consumo europeo e
non ne approfondisco il motivo perché sarebbe ricerca difficile, ma apprendo
ancora che all'ombra della Porta di Brandeburgo ne stanno facendo scorta.
Se qualcuno ha
amici e parenti in quella nazione amica, provi a porgli questo curioso
quesito.
Si fa sera, indica
l'orologio, anche se è ancora chiaro e la giornata luminosa. Sarebbe bellissimo
partire per la montagna, andare in riva al mare. La stagione è mite, il cielo
ha qualche nuvola ma anche parecchi spazi sereni. Sarebbe un bel sabato sera da
vivere pienamente al termine di una settimana di lavoro.
Invece lo scenario che esalta la
bellezza della natura è rovinato dall'altra faccia della medaglia della natura: il virus, la malattia, che pure esiste in
natura e stavolta ha usato una violenza forse senza precedenti, almeno per
quanto ha suscitato nell'umanità.
Nei prossimi
giorni dovrò scrivere un editoriale per il mensile che dirigo e che dovrà
uscire, anche se questo mese confezionarlo appare meno facile del solito,
quando è invece solitamente quasi divertente. E su questo concentro
l'attenzione e preparo le idee.
Non
facile però.
Vorrei mandare un
messaggio di speranza ai lettori, ma siamo in mezzo al guado ancora; il quadro
non è preciso. Non vorrei generare illusione e men che meno paure o
scetticismo.
Per ora penso di
dargli solo il titolo: “Il virus della speranza”. Sul contenuto mediterò nella
notte o domattina sotto la doccia. Momenti banali quando però ti vengono le
idee migliori.
Sul momento, sul
direttore che fa editoriali prevale il cronista che ha la funzione di riportare
i fatti con precisione e per quello che sono.
Qualche
piccola riflessione l'ho fatta prima, ora nella mente ho che, al di là di
proclami dei politici, slogan ed inni belli, umani ma che restano tali e vogliono
solo “tifare” per una resurrezione laica e auspicabile, credo che dopo il
malvagio corona virus non saremo mai più come prima. Umanità che ha scoperto i
viaggi per il mondo, la necessità di raggiungere luoghi sempre più lontani,
caratteristici, stupefacenti, usando il pc per organizzare la trasferta al
costo più basso possibile, prenotando fino ad un anno prima per spuntare il
prezzo più conveniente. Perché questo male globale ci induce a pensare che è
proprio questo movimento ad aver generato l'espansione del male. Anche se è un
peregrinare in parte necessario per il lavoro e quindi per il benessere, in
parte emulativo perché è naturale che si tenda a seguire usi e costumi che si
rinnovano sempre più velocemente e che, quindi, se vanno gli altri devo andare anch'io.
Nei tempi andati
peste e colera distruggevano comunità circoscritte perché il mondo era piccolo
attorno a queste. Oggi invece la nostra Patria è il mondo e ne siamo cittadini
in movimento. Da qui si è creata anche un'industria di grande fatturato e la
bellezza del viaggiare unita al business è diventata una coppia d'oro.
Così
dovremo tornare, ma con qualche spunto di riflessione in più e con modi forse
più intelligenti e prudenti, ad affrontare questo modo di vivere globale.
Rivaluteremo forse
valori perduti di vita sana, muoversi a piedi, fare sport amatoriale, seguire
le proprie passioni.
Delle mie passioni
ho fatto argomenti di temi giornalistici: la piscina, il volo, i viaggi.
E la voglia di
tornare a viverli spero possa aiutare a battere il virus. Io come singolo cerco
di fare qualcosa con i miei scritti, confidando che ciascuno di noi segua le
sue passioni, ciò che gli piace. Soltanto però dovremo imparare ad usare tutto
“cum grano salis”, con un po' più di attenzione ed intelligenza.
Questo evento del primo secolo del
terzo millennio è paragonabile – come ho già detto – per gravità ed estensione
soltanto alla guerra del secolo scorso, che investì in pieno la gioventù dei
nostri genitori e che la soffocò in buona parte. In questo senso noi siamo più
fortunati perché oggi, anche chi sta male, in fondo sta assai meglio di chi
stava bene ieri. Per questo avvertiamo e patiamo il disagio con maggiore
sofferenza.
La sento anche io
ma però subito dopo penso che, in questa situazione, ci sono molti che se la
stanno passando peggio di me.
Per cui
adeguiamoci, rispettiamo gli atteggiamenti prudenti e corretti e speriamo di
uscirne presto, Avendo imparato qualcosa e fatto un'esperienza unica e
importante per noi, sempre così super sicuri di noi stessi e che ci arrabbiamo
solo se un treno è in ritardo o ci sentiamo onnipotenti con il solo cellulare.
In mondo in mano....Ma non è così.
Forse questa
forzata pausa potrebbe essere persino pedagogica.
Mi
manca la mia vita intensa di sempre anche se, per il mio lavoro, sono impegnato
comunque tutto il giorno. Per fortuna, dico. Abituato, come sono nella vita, ad
essere stato ed essere sempre in attività seria, in prima linea, mai facendo
qualcosa tanto per fare.
Mi manca Roma,
Alitalia, Trenitalia e penso che per l'Italia il 2020 sarà ormai, fino alla
fine, un anno di attesa.
Intanto scorro
ancora le agenzie e vedo che la situazione resta difficile. Va meglio in Cina
e da Napoli arriva qualche speranza sulla cura del virus.
Sorrido e, nella
difficoltà del momento dico che occorre trovare anche un po' di
sdrammatizzazione. Anzi è doveroso. Mi chiedo se cinesi e napoletani ci salveranno.
I primi hanno inviato una delegazione in Italia e tante mascherine ad oggi
introvabili qui da noi. A Napoli i medici sperimentano con apparente successo
una terapia? Beh c'è da dire che cambierebbe la letteratura dei luoghi comuni,
altro che Milan l'è 'n gran Milan o Vedi Napoli e poi muori.... qua vedi Napoli
e sopravvivi!!!!
E ' SERA
Intanto
adesso “era già l'ora che volge il disio”, come disse il grandissimo Alighieri,
perché dalle finestre dello studio, alzando un attimo gli occhi dal computer,
vedo che la sera diventa scura. Ultimo giro di agenzie e sui vari siti a
verifica di avere tutte le notizie. L'uomo cede il passo al giornalista, che
ha sfogato i suoi pensieri in queste pagine; dialogo fitto con i lettori,
scambio di idee e riflessioni nelle quali molti si ritroveranno, altri no.
Mi
importa quello che mi importa di più è che susciti riflessioni, induca pensare:
il coronavirus come molte malattie si battono con il cervello. Me lo disse un
amico di professione geriatra: “a morire è il cervello, non il cuore. Così si
spegne una persona”.
Intanto gli
eventi mi inducono a scrivere un editoriale. Un giornalista, se lo è
nell'animo e per davvero, è esternatore. Scrivere, narrare è una necessità. Lo
faccio per il sito genova3000.it quando è
domenica, bellissima, limpida e quasi calda.
Prendo
il sole sul terrazzo di casa e mi viene in mente il titolo: “Il virus nel 3°
millennio”. Torno alla scrivania e le dita volano sulla tastiera del pc.
L'EDITORIALE
Ecco quello che
scrivo e che penso sul momento: “Correva l'anno 1999 e nei giorni che il calendario
dava assai prossimi a San Silvestro, ero in montagna pronto a festeggiare, come
il resto del mondo, l'ingresso planetario del terzo millennio.
Quando un vento
violento ed inusuale per la nostra Europa costrinse a restare dentro casa.
Oltre il confine italiano andava peggio, e Parigi venne investita da un
ciclone che, alle nostre latitudini, non era mai arrivato. Poi venne l'11
settembre ed ora il coronavirus. Noi, uomini del tremila, se riflettiamo un
attimo, ci rendiamo conto come mutino usi, costumi, modalità di vita, il mondo
sia irriconoscibile a chi lo visse soltanto che cento anni fa, ma siamo anche
sempre uguali – fatte le debite proporzioni – a noi stessi. Esemplare la peste
manzoniana e o gli sconvolgimenti dei secoli passati, l'impero romano messo a
ferro e fuoco dai barbari e dai suoi eccessi. Scenari diversissimi dai noi,
nell'era di computer, missili e telefonini, ma che analogamente sconvolgono e
stravolgono il genere umano.
Del Covid 19 noi
giornalisti stiamo offrendo notizie in quantità illimitata. Non eroi come i
medici ed il personale sanitario che propongo, tutti, nessuno escluso, per il
prossimo Nobel, ma anche noi eroi dell'informazione, importantissima in questo
momento.
Per questo ora è anche tempo di
riflessioni, ragionamenti, per quanto ci conceda la tempesta sanitaria ancora
in pienissimo vigore e con cronaca e storia ancora tutta da scrivere. Di questo
virus credo inquietino due elementi: la scarsa conoscenza che ne abbiamo
finora, in quanto nuovissimo e perverso male sulla scena globale. E la sua
straordinaria diffusibilità e la grande capacità di questo maledetto micro
organismo di riprodursi ed infettare. Per questo noi potentissimi uomini che
con un cellulare in mano siamo al centro del mondo, siamo costretti a
tapparci in casa e raccomandarci a Dio, temendo un colpo di tosse del vicino o
l'incrocio con uno sconosciuto che potrebbe essere portatore sano. Quale
differenza allora c'è con la fuga dei nostri pro pro pro pro genitori al suono
della campana che annunciava l'approssimarsi di un appestato? Per fortuna la
tecnologia, la scienza, gli strumenti che il genio umano ha partorito nel tempo
ci stanno aiutando tantissimo e il genio degli scienziati batterà il virus.
Certamente la nostra vita è stravolta e l'unica similitudine è quella con la
guerra del secolo passato, che coinvolse l'umanità intera come il microbo
coronato fa oggi con noi.
Usiamo la testa,
rispettiamo massimamente la prudenza, il buon senso, ascoltiamo la scienza che
ci indica cosa fare. Non sentiamoci dei Rambo ma piuttosto degli esseri
fragili ed esposti alla natura, benevola ma anche malvagia come in questo caso.
Da tutto ciò
uscirà un'umanità diversa, forse meno frenetica e tumultuosamente in movimento, più riflessiva e
meno prepotente e presuntuosa.
“Pensiamo innanzitutto a salvare
la pelle”, mi ha detto giorni fa un'amica che lavora nel mondo della finanza
e che stimo molto. “Poi – ha concluso – penseremo ai soldi”.
Perché certamente
se il virus fa male alla salute, prepariamoci ai grandi mali che, purtroppo ed
inevitabilmente, farà all'economia. Grosso, grosso, problema. Ma avremo modo
di riparlarne a suo tempo.
Mi
raccomando, mascherina, guanti, distanza di...sicurezza e massimo rispetto di
se stessi e gli altri”.
Queste pagine come
scrittura finiscono qui, ma solo per il momento.
E' come se fosse la
prima serie di una serie, appunto. Perché nel momento storico attuale siamo
pienamente ancora immersi nel problema.
Addirittura,
l'ultima cattiva news che mi arriva è che L'«Eco di Bergamo», il quotidiano doc
della città lombarda tanto offesa dal male ed al quale, in passato, collaborai
per qualche tempo, ha aumentato da 3 a 11 le pagine di annunci mortuari.
I tempi sono duri,
la situazione è seria. E in questa situazione il mestiere di cronista e
direttore impone massima attenzione e professionalità. La giornata finisce,
chiudo il pc, ma domani sarà di nuovo impegno totale.
Continuazione e,
speriamo, fine al prossimo numero. O, in un tempo non lontano, speriamo con
forza che torneremo a raccontare una tragedia finita e l'inizio di una nuova
vita
Non lasciamo che il
virus ci rubi la vita; facciamo in modo che sia solo un capitolo, brutto ma
forse tanto educativo della nostra vita.
Forza e buona fortuna a tutti noi.
Bello questo
libro scritto da Dino Frambati in soli quttro giorni, con passione di
giornalista e d’italiano.
Con il testo
precedente di Jimmie Moglia, ha un punto di contatto in Manzoni, che secondo
Dino se vivesse ai nostri tempi sarebbe un grande giornalista anche per quel
suo “5 maggio” dedicato a Napoleone. Sa bene che questi non piace a tutti, però
a lui sì al punto di averne un busto sul tavolino a fianco della scrivania dove
lavora: “perché sfidò lo strapotere di chi voleva egemonia sull’Europa”.
Commenta ancora: “siamo
sempre uguali – fatte le debite proporzioni – a noi stessi. Esemplare la peste
manzoniana o gli sconvolgimenti dei secoli passati, l'impero romano messo a
ferro e fuoco dai barbari e dai suoi eccessi… Scenari diversissimi da noi,
nell'era di computer, missili e telefonini, ma che di nuovo sconvolgono e
stravolgono il genere umano”.
Dino iniziò
“come freddo cronista di nera”, iniziò con la cronaca sulle Br e l’altro drammatico evento che lo ha segnato
come giornalista è stato il crollo del ponte Morandi.
Ricordo che
iniziammo a collaborare al Giornale pagine di Genova quasi nello stesso
periodo. Quando dal ponte in autostrada, a Nervi, cadde quel pullman di
militari, il caporedattore -che ci teneva sotto il suo pugno imperioso- scrisse
un articolo di cui mi rammento
solo“l’urlo nero delle madri” private dei figli (espressione forse
tragica ma anche orribile). Dino invece ne mise in pagina, al suo fianco, uno
di grande umanità e sensibile partecipazione.
Ora in questo
dramma che stiamo vivendo e in cui sottolinea che il nostro Paese, il più bello
del mondo, ha attratto anche il virus, ci parla anche della squadra Multedo
1930 di Prà, composta di atleti giovani e meno. Questi ora, sospesi gli
allenamenti, si dedicano a portare a casa la spesa per gli anziani perché come
dice il loro coach “far del bene fa star bene”.
Non a caso
l’unico libro che ha pubblicato Dino, e di recente (che è una raccolta di suoi
articoli), ha come titolo Quando la notizia è buona. Su «Avvenire»
il giornalista tiene una rubrica con questo titolo.
Ma sempre attraverso le sue pagine, risalta il popolo di anziani che siamo ormai
diventati. Sono rispetto al Covid 19 i soggetti maggiormente a rischio,
soprattutto se con patologie, eppure sono sempre loro la maggior parte dei
girovaghi sfida il decreto dello star a casa: spesso malandati, camminano da soli, senza mascherina.
Questi anziani
sfidano la vita o stringono la vita che hanno con i denti perché non vogliono
stare in una gabbia, pur se incarcerati a casa propria.
La sete di umanità
è la stessa che caratterizza da sempre il cronista Dino. Quanto al governo
lamenta – e con rabbia - l’indecisione. “Peccato – sottolinea con l’orgoglio di
una vita anche da imprenditore - che i
politici derivino dal “corpore dei partiti”, poco dalla società civile. E ci fa
rimarcare: “l’imprenditore se non risolve i problemi subito, a sera quando tira
il cassetto lo trova vuoto. In politica, fai bene o fai male, a fine mese ti
arriva lo stipendio e se non sei eletto vieni ricollocato”.
Quanto all’Europa
lui che aderì all’Unione Paneuropea, ideata dal giornalista Gustavo Selva, detto “Belva”
per i suoi editoriali radiofonici, ritiene che miss Lagarde avrebbe dovuto
dimettersi o “esser licenziata” per il suo scivolone riguardo l’aiuto da dare
all’Italia. Se questa deve essere l’Europa, con Selva, che stava a Venezia, si
sarebbero limitati ad un giro in gondola più che pensare ad una Casa comune.
Un capitolo a parte
nel giornalismo di Dino è stato il suo amore comune a tanti di noi per don
Camillo e l’onorevole Peppone. Ciò significò per lui frequentare Brescello dove
nella piazza delle liti o confronto dei due personaggi di Guareschi, ora il suo
amico don Evandro Gherardi ha posto il Cristo della Chiesa:è nei momenti
dell’angoscia che l’unico che ci può aiutare è Dio.
Bravo Dino,
bravissimo giornalista e italianissimo nel cuore!
(Una postilla. In queste pagine, scritte con
foga e slancio, Dino ha detto che le
idee migliori gli vengono quando è sotto la doccia. Così è sempre successo
anche a me. Ho una foto che mi scattò mio marito (e per cui mi arrabbiai
moltissimo), dove con cuffia in testa, asciugamano arrotolato intorno, sono
alla macchina da scrivere: ero saltata fuori dalla doccia per fermare sul foglio
quella frase che poi non avrei ritrovato così perfetta).
Massimiliano
Lussana
Wordpress, 20 marzo 2020
a
Bobbio 10 giugno 2006,
alla presentazione del mio
Lettere d’amore e di guerra)
Massimiliano
Lussana è stato il mio caporedattore al Giornale, la terza volta che vi tornai
dopo esser diventata pubblicista con Massimo Zamorani (iniziai infatti con «il
Giornale»), poi richiamata da Luciano Basso e, appunto con Lussana, nei
miei ultimi dieci anni di giornalismo
attivo.
Ricordo Lussana per la sua
sensibilità e la sua intelligenza e ricordo che il suo terzo figlio
nacque proprio quando a me arrivò uno dei nipotini: dono grandioso della vita
l’esser nonna!
Dei miei capi
ho voluto tanto bene come a Lussana solo a Gianni Buosi al «Giorno».
Potete
leggerlo su: massimilianolussana.wordpress.com e su
tiscali.it sezione le firme. La sua
rubrica porta il simpatico nome La puntina.
Massimiliano,
abita a Genova ma è di Bergamo e quando l’ho ricontattato in questo triste
momento mi ha scritto:
“gli amici cadono come foglie”
.
Tutti, dico
tutti, hanno sbagliato.
Chi diceva che era un'influenza, e non era un'influenza e questo è stato un iniziale errore tragico e che si è portato dietro tutti gli altri.
Chi doveva premunirsi di mascherine
e presidi, e spettava alle Regioni, non al governo.
Chi doveva mandare mascherine buone e non
che si scioglievano e si strappavano, una volta che è stato chiaro che le Regioni non ne avevano, e spettava alla Protezione Civile Nazionale.
Chi non doveva buttarla in politica
e nel razzismo, ed è responsabilità soprattutto del centrosinistra.
Chi doveva chiudere Alzano Nembro, ed è responsabilità in primis delle amministrazioni locali e della Regione Lombardia di centrodestra, del livello territoriale e degli imprenditori, e degli stessi che dicevano “Aprire, aprire tutto" e sono gli stessi che dicono oggi "Chiudere, chiudere tutto”.
Quindi, non
si può oggi sentire leggere e vedere commenti contro Conte. Ma per carità. Ognuno di quelli che predica oggi, che critica, che dà lezioni ha un tweet o un comportamento inappropriato a incastrarlo.
Perchè è ovvio
che si può criticare chiunque, ma ci vuole credibilità per farlo, bisogna essere senza peccato per scagliare la prima pietra.
Che si pensasse
a lavorare, che ai processi penseremo dopo e ce ne sarà per tutti. Ma non è questa la priorità.
La Puntina
ragiona
diversamente.
La Puntina
ragiona sulle persone.
Ieri mi sono
permesso di segnalare a Sonia Viale - che lavora 24 ore al giorno insieme a Paolo Ardenti, a Paola Cerri, a Piera Pastore - il caso dei ragazzi gravemente disabili costretti in casa.
In cinque
minuti ho avuto la risposta, non per una persona, ma per migliaia di famiglie liguri.
Poi,
domani, la criticherò di nuovo, come ho fatto spesso e volentieri, se sbaglierà.
Ma,
insomma, Sonia ha dimostrato un'umanità rara in politica, in mezzo a cinismo che trasforma tutto in campagna elettorale permanente, come se fosse un grande reality, e la ringrazio pubblicamente.
Intanto, i
bollettini degli ospedali e delle Asl liguri continuano a diffondere un drammatico bollettino di guerra: morti, morti, morti, sempre meno anziani, sempre più giovani.
E tutto
questo appare in tutta la sua tragicità nella mia città di origine, a Bergamo. Dove ho centinaia di parenti ed amici e da dove, ogni giorno, mi arrivano testimonianze drammatiche.
I camion
dell'esercito a prelevare le bare sono l'immagine iconica e drammatica di quello che sta succedendo e torno a ripetere quello che ho scritto nei giorni scorsi e che ha spiegato benissimo il farmacista di Clusone ieri al Tgl.
I morti
per Coronavirus, almeno a Bergamo, sono almeno dieci volte tanto quelli dichiarati.
Tutti quelli morti in casa, tutti quelli morti nelle Rsa (e lo stesso avviene ovunque, anche a Genova, i bilanci sono drammaticamente sottostimati).
Basta vedere l'evoluzione
storica dei morti: se per trent'anni in un Comune in marzo sono morti in mille (con punte in alto e in basso di 950 e 1050) e quest'anno i morti sono diecimila nello stesso paese, è chiaro che i novemila in più sono tutti di Coronavirus.
Altro che minimizzare.
Altro che accusare di allarmismo
chi si limita a dare le notizie, anche quelle che non mi piacciono.
E poi
c'è l'aspetto umano di queste morti.
Condivido con voi quello che mi ha
scritto Patrizia, una mia amica e compagna di classe a Bergamo: "Sto perdendo mio padre in queste ore, è in una casa di riposo. Non potrò nemmeno vederlo, nè abbracciare mia madre o mio fratello. Questa è mia maggiore angoscia".
Ecco, è
tutto qui, in queste parole. Non serve aggiungere altro. E come il papà di Patty sono in migliaia e migliaia, in una Spoon River che Anna Daneri ha iniziato a raccontare con i suoi amici.
Che mi piace condividere con gli amici bergamaschi di nascita
o di origine, con Giovanni Nani, con Francesca Bozzolo, con Alessandro Sportiello, con Paolo Ceni che è un manager che è, esattamente come il suo alter ego al Cetena Sandro Scarrone, l'immagine della capacità di abbinare cuore e anima, impresa e umanità. Una persona perbene, due persone perbene.
Una Spoon River che ha avuto
anche il dramma aggiuntivo della partita dell'Atalanta a San Siro che potrebbe aver scatenato il contagio e della surreale intervista di Gasperini che chiedeva di continuare a giocare a porte chiuse.
Ecco, sentendomi
vicinissimo ad amici che oggi sono lìo anche che magari non sentivo da decenni, ma è come se fosse ieri, mi piace farvi leggere un intervento di Cristiano Gatti, il primo che mi ha dato l'opportunità di fare questo mestiere al "Giorno" a Bergamo, pubblicato sul blog @altroPensiero.
Eccolo, è
un po' lungo, ma ne vale davvero la pena: "Un poco ci hanno giocato le tetre sfilate dei camion militari con sopra le bare. Ma soprattutto ci stanno giocando i numeri. Resta il fatto che negli ultimi giorni ho ricevuto telefonate e messaggi affettuosi da tante persone care sparse in giro per l'Italia. Anche da semplici conoscenti. Tutti mi pongono con dolcezza la stessa domanda: come va lì a Bergamo?
Come va,
come va. Io non sono Manzoni, che ha rappresentato in modo così sublime la peste del 1630. Lui però aveva due secoli di distanza, così da poterci studiare e ragionare sopra a mente fredda, con l'occhio del saggio e dello storico. Noi qui ci siamo dentro: dal vivo, in tempo reale. Con tutte le emozioni e le concitazioni del caso.
Questa storia, in
fondo, è nata poco più di un mese fa. Una sera, guardando i reportage dalla Cina, mia moglie disse a tavola qualcosa del tipo ma santo Iddio, quella povera gente, pensa come devono vivere, pensa la paura. E pensa se capitasse a noi...
Il 20
febbraio, il primo caso di Codogno. A molti, qui, sembrava lontano. A me sembrò subito in casa: cosa sono 50 chilometri per un virus. Difatti, poco tempo dopo, Alzano e Nembro. A seguire, il resto della provincia.
Attorno, nei
primi momenti, la cornice che ormai conosciamo bene: da una parte i preoccupati (come me) definiti più o meno paranoici, ansiosi compulsivi, profeti di sventura, e sopra invece il coro possente degli ottimisti, perchè questa è una zona nevralgica per l'economia, come si fa a fermare le attività produttive, con lui autorità molto più in alto, il governatore Fontana per il quale via, questa in fondo è poco più di un'influenza, il sindaco Sala a Milano che suona la grancassa, non possiamo ridurre Milano a un mortorio, hashtag Milanononsiferma, a Bergamo il nostro Gori che non vuole restare indietro e lancia con i commercianti il suo orgoglioso hashtag Bergamononsiferma.
E'
inutile girarci attorno: ci ha fregati la nostra virtù più nota e riconosciuta, l'operosità imprenditoriale. Quel fuoco che abbiamo dentro da generazioni, che ci spinge a fare, a fare, a fare, in ultima analisi per produrre, produrre, produrre, per guadagnare, guadagnare, guadagnare. E' un po' forte dirlo, ma non bisogna temere la forza delle parole: la nostra cultura volgarmente detta palancaia, qualcosa che ha a che vedere con l'intraprendenza congenita, ma anche con l'avidità, ci ha impedito di fermarci. Di tirare il freno prima di andare a sbattere. E abbiamo sbattuto.
Come si fa a
fermare la locomotiva d'Italia? Come si fa a fermare tutto? Come si fa: visto che non ce l'hanno ce l'ha mostrato uno stupido virus, come si fa. Per non chiudere qualche paese, adesso abbiamo chiuso il mondo.
Io abito
appena sotto le Mura della Città Alta. Ora apro la finestra e dove vedevo tanta gente passeggiare con vista sulla pianura adesso vedo deserto e desolazione. Anche qui fuori, nella città bassa, risuonano più che altro sirene di ambulanze e rombi di camion che spruzzano disinfettanti. Qualche padrone di cane in giro col cane, qualcuno che va a fare la spesa, qualche runner esaltato che proprio non capisce. In generale, però, tanta disciplina. E tanto, tanto, tantissimo senso del dovere, che qualcuno sui media definisce eroismo, ma che qui è semplicemente fare ciò che si deve fare: i medici, gli infermieri, i volontari, tutta una favolosa combriccola che non crolla nemmeno sotto le mazzate del bisogno, della fatica, della disperazione.
Di certo, non si può dire che Bergamo sia la capitale dei flash mob. Qui c'è un solo, corale, assordante flash mob
Silenzio. Partecipano tutti spontaneamente. E sta durando ormai da giorni e giorni. Soltanto qualche disegno di bambino ai terrazzi, “andrà tutto bene”, com'è głusto far scrivere ai bambini in questo tempo di buio e di angoscia.
D'altra parte, non è così naturale andare sui balconi a cantare Azzurro quando il lutto è entrato in casa. l'ha lambita. Non c'è famiglia, si può dire, che non sia toccata. Solo come esempio: io ho salutato tre persone care in una settimana. Non parenti stretti, ma persone care. Come tutte, sono morte nel modo peggiore, supposto ci sia un modo migliore: portate d'urgenza all'ospedale, la famiglia tenuta lontana, la solitudine come compagnia. E da lì la fine, senza una mano familiare per l'ultima carezza, senza una voce per l'ultima parola. I loro cari rivedranno soltanto un'urna, quando sarà possibile.
Ho salutato
il pediatra che ha curato i miei figli, il grande dottor Zavaritt, medico e tante altre cose, tra le quali assessore repubblicano all'ambiente quando l'ambiente era ancora tutto da scoprire, ma soprattutto persona di intelligenza vera. E il dottor Lussana, che qui nel quartiere ha speso tutta la vita al servizio degli altri, con umiltà e discrezione, sacerdote di una sola religione, la medicina. E poi il signor Marino, amico di famiglia, banchiere con la passione della campagna, che ogni tanto ci regalava i suoi salami, altro che bio. Nomi che altrove non dicono niente, ma storie preziose, uniche, vere, di una Spoon River che si sta formando ora dopo ora. Sì, avevano ottant'anni, ma se qualcuno si avvicina a dirmelo col tono di questi tempi, dai, tutto sommato muoiono solo gli ottantenni, giuro che sparo. Sarà che per me l'importanza di una vita non si misura in anni.
La verità? La verità è che in questa terra è entrato di prepotenza, senza contratto e senza permesso di soggiorno, un immigrato odioso: la paura. Di fatto è il primo cittadino, più di qualunque sindaco. Nessuno l'ha eletto, ha preso il comando con metodi stalinisti, e non ammette obiezioni. Domina in tutte le case, s'è insinuato capillarmente ovunque, s'è infiltrato da tutte le fessure. Faccio outing: uno dei miei figli soffre da sempre delle allergie primaverili, da un paio di giorni ha cominciato a starnutire, vogliamo credere che sia la solita seccatura. Ma l'idea remota che sta seduta là in fondo, all'ombra del dubbio, quanto meno riesce a smuovere qualche brivido.
Eppure. Eppure
Bergamo non cede. E' in ginocchio, ha le sirene nelle orecchie, ma non cede. Prima o poi il domani comincerà. Anche qui.
Aspettando questo domani, da
Bergamo non
possiamo non spedire lettere come questa, che servano al resto d'Italia da esempio e da monito. Vorrei che la leggessero in tanti, in tantissimi, tutti: aiutatemi a divulgarla, anche se è lunga e fa a cazzotti con le regole d'oro per chi scrive online, regno della brevità e della superficialità. Ma non mi interessa. Non è tempo per queste sciocchezze.
Piuttosto, dico
a tutti: guardateci. Pesate la nostra pena. E considerate che avete una piccolissima fortuna, eppure decisiva: proprio il caso Bergamo. Cioè qualche settimana di vantaggio. Noi avevamo Codogno, ma l'abbiamo ignorato, spavaldi e incoscienti. Voi usatelo, questo vantaggio. Per mettervi al riparo. Non commettete i nostri errori, non fate i faciloni, non pensate "come si fa a fermare tutto”. Meglio fermarci subito e metterci in salvo, che fermarci dopo, per forza, con tanti morti attorno. Purtroppo, abbiamo tutti dentro un richiamo ancestrale vagamente suicida: siamo convinti sempre che a noi non possa succedere. Andiamo anche ai funerali con questa inconscia certezza: succede agli altri, a me no.
Da Bergamo, posso solo lanciare a tutta Italia questo accorato messaggio: non è nuovo, è antico come il mondo, anche se puntualmente ignorato dagli uomini: non c'è niente, proprio niente, che valga la vita. E' adesso il momento di ricordarlo”.
Mai mulà.
Mai mollare, significa
in bergamasco.
GUIDO CERONETTI
LA STAMPA, domenica 27 Giugno 1999
Nostradamus
A
Ceronetti viene chiesto di scrivere un articolo in quella domenica estiva
perché a luglio del 1999 poteva esserci la fine del mondo secondo una
«centuria» del medico profeta.
L’autore racconta un episodio inquietante della vita
di Nostradamus pseudonimo di Michel de Nostredame, vissuto dal 1503 al 1566,
astrologo, scrittore, farmacista e speziale francese. Lo fa con la sua consueta
aruguzia di commentatore: “Se io – dice - incontro un giovane guardiano di
maiali di nome Peretti, dopo aver parlato un poco con lui la mia percezione di
soƒòs arriva a pensare: il tipo sembra piuttosto intelligente; sicuramente farà
di meglio, un giorno. Ma se di lì si trova a passare Nostradamus, ecco che gli
si prosterna davanti chiamandolo Santità. Accadde nel Piceno, dove il giovane
pastore era da poco entrato nell’ordine francescano. Molti anni dopo l’ex
guardiano di maiali diventa Papa con il formidabile nome di Sisto V (1585:
Nostradamus era morto da un pezzo).
“La
differenza - conclude Ceronetti - delle due percezioni è che io brancico in un
vago futureggiare, mentre il veggente Nostradamus vede, al presente, il Papa e
lo chiama col suo titolo.
“Allora
dov’è , dove abita il futuro? E il caso? E le circostanze? E la libertà di
scelta?
“I nomi
dei vincenti e dei perdenti sono leggibili, da chi abbia il dono di veggenza in
un libro di prima del Big Bang, la cui data di stampa è sempre e soltanto adesso.
“La visione profetica non antivede nulla: vede
come oggi quel che in realtà sarà sempre e soltanto oggi, pur creduto e
chiamato domani.
“Butterei
il libro perché Nostradamus mi toglie il futuro…Sia come angoscia, che
speranza, che come ignoto.
“Se il
Delfino di Francia, sposando Maria Antonietta, avesse letto (e capito: non era
molto sveglio) certe quartine delle Centurie di Nostradamus, avrebbe saputo che
lui e la sua regina erano già stati ghigliottinati illo tempore, avrebbero
entrambi scoperto che meno di duecentocinquanta anni prima un medico di
Provenza aveva visto tutto, ma proprio tutto, della grande Rivoluzione che li
avrebbe travolti”.
“Un’emozione
fu, per me, riconoscere Maria Antonietta condotta al patibolo nella quartina
Cent. 1, 86: vi è fotografata, vista come un flash nel presente dell'Essere
orfano di futuro, in un giorno (era il 16 ottobre 1793) senza principio né
fine, pura voragine atemporale: però quell'istante di rivelazione manca di
tragico, un’emozione molto più profonda la dà il disegno tracciato da David al passaggio
della carretta all’uscita dalla Conciergerie, una traccia luttuosa e febbrile, la fierezza di una vera regina martire, che tace.
Conclude
Cernetti, grande affabulatore: “La parola veggente, che accetto soffocantemente
veridica, non deve scalfire minimamente la mia libertà d'interpretare e
rivivere - d'iscrivere nel tragico -
tutto quanto l'indecente fermento di fatti: se voglio guarirmi dal
mondo, dal finito, posso ben farlo senza tormentarmi con il destino e la fine
delle nazioni. La mia interpretazione della quartina X, 72, (cioè quella
riguardante la fine del mondo a luglio 1999, può incominciare da qui, ma ho
esaurito lo spazio. Forse ne tratterò in un altro articolo, sia pure
malvolentieri. Prima o dopo luglio, chissà".
SILVIA RONCHEY
Aspettando
l'Apocalisse
Scrive a
proposito di quel luglio 1999 che doveva vedere la fine del mondo la
giornalisti Silvia Ronchey: “Secondo alcuni commentatori è evidente che le
profezie di Nostradamus sugli ultimi anni del '900 si siano già avverate, così
come i castighi rivelati a Giovanni tra le rocce di Patmos potrebbero
riconoscersi nelle piaghe della società odierna da Enola Gay, al nucleare
quotidiano, alla droga all'Aids. A fine secolo non è forse anche compiuto il
declino spirituale dell’uomo d'occidente, previsto da tutta la letteratura
apocalittica apocrifa, occidentale e bizantina, allucinata, fantastica,
borgesiana?
(Hieronymus Bosch, San Giovanni a Patmos)
Goethe
nel Faust II aveva annunciato la conseguenze della civilizzazione distruttrice,
mettendo in scena il dramma dell'alchimista-scienziato che vuole conquistare la
natura senza sapere dominare se stesso. E nell’Atto V, ai vv. 1119-1132, aveva
preannunciato, come prima catastrofe, la distruzione delle coste. Ora, la
cadere del ‘900, l’uomo non sta forse ricevendo una punizione per la temeraria
arroganza che ha dimostrato negli ultimi secolo verso la Natura?
RENZO
BASCHERA
Questo
testo edito Longanesi nel 1974 nella collana I Libri Pocket Italiani raccoglie
26 profezie e desidero soffermarmi sull'ultima: La profezia delle tre piante velenose.
Prima
desidero anche spiegare il perché e soprattutto mi piace ora inserire la prima
pagina dell’edizione Longanesi e l’attestazione della Targa d'argento assegnata
a questa collana dei Pocket a Pontremoli, in occasione del Premio Bancarella
1971.
La
profezia sulle tre piante velenose venne scoperta ad inizio del ‘900 in una
chiesa del Veneto e si presume sia stata scritta da un religioso intorno alla
prma metà dell’Ottocento. I simbolismi risultarono incomprensibili, non si
capiva come una pianta avrebbe potuto avvelenare l’aria, né come l’Itlaia
avrebbe potuto un giorno avere alla sua testa « il re della foresta».
In
pratica l’interpretazione divenne sulla terza guerra mondiale, ma soprattutto
sembra descrivere i nostri tempi. La pianta denominata «la soffocante»
rappresenterebbe gl’inquinamenti del cieli, «la delirante» la psicosi della
politica consumistica,
«la mendicante» la crisi energetica accompagnata da inflazione che
investirà tutto il mondo.
Questa
l’interpretazione riportata da Baschera e che trasportandola al tempo attuale,
quasi cinquanta anni dopo, io invece interpreto così.
«La
soffocante».
(Bruegel, I ciechi)
E’
l’attuale Covid 19 che toglie il respiro e fa morire le persone per mancanza
d’ossigeno.
«La
delirante» si vede già nell’assalto ai supermercati al Sud e comunque è più che
certo che in tempi grami si riscopre l’homo homini lupus.
(Hieronymous Bosch,
La nave dei folli)
O folli
siamo tutti noi con la gravissima colpa di non aver saputo prevedere.
«La
mendicante» potrebbe riguardarci tutti se le previsioni della recessione
economica diventassero realtà. E allora i nostri figli, i nostri nipoti? Come
ce ne andremmo da questo mondo?
(Bruegel: i mendicanti)
Però
ancora a proposito della “veggenza”, o almeno del saper prevedere, un fatto che
mi riguarda.
Da
giovane sposina persi i miei primi due bambini, due aborti spontanei, e per la
gravidanza della mia primogenita il ginecologo m’impose di stare a letto.
Leggevo, studiavo, sferruzzavo, guardavo un poco di Tv, ma il tempo non passava
mai.
E mi
accorsi di un fatto, dico fatto - non allucinazione -
stranissimo: “Avvertivo ogni minima scossa di terremoto”.
Una volta,
in quel periodo, ce ne fu una lieve a Genova e vidi tremare il lampadario, ma
avvertivo anche quelle al Sud Italia o fin in Grecia. Ne ero terrorizzata anche
perché pensavo: “Se ne venisse una forte, dove scappo?” Scendere in strada, per
le scale, dal quinto piano del mio caseggiato era un lungo tragitto e
l’ascensore mi sembrava il posto più a rischio: insomma avevo paura. Mi abituai
a prendere l’ora di questi “terremoti” che avvertivo proprio sull’orologio e il
giorno dopo leggevo di essi puntualmente sul giornale.
La paura
forse era anche nel mio inconscio perché per la perdita del secondo bimbo, alla
fine del quarto mese, mi avevano portato via con la Croce Verde dato che
continuavo a perdere coscienza. Mio marito diceva. “Aspettiamo”, mia madre. “No,
corriamo, bisogna far presto". All’ospedale quando riaprii gli occhi un
giovane dottore mi disse. “Bentornata tra noi, per più di venti minuti abbiamo
creduto di averla persa”, quindi qualcosa doveva essermi rimasto dentro. Io
però pensai allora che senza mio figlio (poi un’infermiera mi disse che si
trattava di un maschietto e benché il primario non mi avesse voluto mettere al
corrente, in quanto senza sapere è più facile dimenticare), io proprio – senza
il mio bambino - non volevo vivere…
In
seguito, ormai di nuovo di corsa sulle mie gambe e in corsa dietro ai tre
figli piccoli e scatenati, pensai che
quel periodo in cui come un sismografo avvertivo i terremoti doveva essere
stato di un mio regresso ad un’età ancestrale, pensai di esser stata simile in
quel periodo ad un cane che si dice avverta il pericolo del terremoto prima
degli umani.
Sono
infinitamente grata di non aver più provato quelle paure e di non aver il dono
della veggenza pur se in passato ebbi anche sogni premonitori. So che pure questo
è un discorso molto lungo, ma il prevedere qualcosa del futuro mi terrorizza e
prego non mi succeda più, né da sveglia né in sonno.
Per
concludere ho molto cara la prefazione al mio primo libro Begonza
(il titolo doveva essere accompagnato da “yé,yé”,
poi pensai bene di essere più sobria). Questo primo libro, edito nel 1977 da
Antonio Lalli, che organizzava il Premio Edicola dove ero stata la seconda
classificata, ebbe una prefazione - che ho molto cara - di Angiola Sacripante,
(una poetessa alla cui firma si devono molte delle prefazioni per i libri di
Lalli).
Sacripante
definì così il personaggio di Begonza (=la donna “due volte gonza”,
dato che avevo scoperto tanti essere i “gonzi” di cui si parla nella nostra
Letteratura ma per contro di nessuna donna “gonza” e mi ero inventata
quell’etimologia): “Bruegheliana pitocca di un medioevo venturo o già
avvenuto”.
Mi sentii
perfettamente compresa dalle sue parole, però la mia ignoranza era allora ancor
maggiore dell’attuale e dovetti cercare chi fosse Bruegel e quando lo scoprii
per me fu un vero colpo di fulmine.
Dato che
con la profezia delle tre piante velenose sono arrivata al pensiero della fine
e della morte inserisco ora un articolo su questo tema di Gianni Baget Bozzo
che ho conosciuto ed apprezzato per intelligenza ed umiltà, dote questa che
stimo al massimo.
Ma siamo proprio sicuri che nulla di ciò che ci
sta succedendo non sia già successo o che altri non abbiano già tanto sofferto?
O siamo sempre e solo cicale che – immemori - friniscono al sole? Il cantante
britannico Sting ci ha dedicato una canzone: La sedia vuota, pensando al nostro
caro che più non è falciato dal Covid 19. E la sedia vuota mi ha portato a
ricordare il sublime maestro Van Gogh di cui allego prima il vecchio sofferente
e a fianco la sedia vuota con la sua pipa di quando fumava tranquillo nella sua
quotidianità.
Concludo con un pensiero di Sant’Agostino: Coloro che amiamo e
che abbiamo perduto non sono più dove erano ma sono ovunque noi siamo”.