Anime Solitarie

            di Alessandro Ballerini

 

 

                (Cover e retro)

 

       

(Gianni Schicchi e l’Autore      Blac, uno dei personaggi

Gianni, personaggio di un film   del libro e vissuto a Bobbio

di Marco Bellocchio)

 

Anime solitarie, un libro edito e finanziato dall’autore Alessandro Ballerini che meriterebbe di essere ripreso da una grande Casa Editrice per avere più vasta diffusione in quanto un po’ ci riguarda tutti. La storia siamo noi e questa pubblicazione con 70 personaggi particolari, clochard e barboni che hanno vissuto in 28 luoghi tra Piacenza, Bobbio, Ponte dall’Olio, Fiorenzuola d’Arda e tante piccole località di questa area geografica un po’ ci appartiene. Non foss’altro perché nulla abbiamo fatto per questi Invisibili della nostra società salvo una monetina se alcuni di loro chiedevano l’elemosina.

In copertina un quadro di proprietà dell’autore, un “clochard” vissuto nel piacentino tra l’’800 e ‘900, e dipinto da uno storico pittore locale, noto con il nome “muto di Carmiano”. Un pittore autodidatta, che spesso ritrasse un anonimo vagabondo. Forse il più toccante del libro è il clochard che seduto nella stalla mangia la sua minestra in una gamella militare.

L’autore Ballerini forse si fece come un nodo alla memoria quando passando per rientrare a casa vide che portavano fuori da una locanda un barbone che si era appoggiato alla spalla di un amico come dormisse e invece era morto. Uomo poliedrico, l’Autore Sui vent’anni (1955-1980) è stato un valido sportivo: lanciatore e decatleta, pugile della Salus et Virus, anche canoista (in un’improvvisa onda di piena del Trebbia si salvò rimanendo appeso ad un albero), atleta di rugby e di pallanuoto diventando allenatore federale di pugilato organizzando incontri internazionali di pugilato in Italia ma anche nelle feste della birra in Germania.

Ha lavorato come Commercialista Tributarista e Revisore Ufficiale dei Conti, è diventato Assessore alla Cultura e al Bilancio a Piacenza e anche in questo campo si è distinto per egregie iniziative.  Ma tra tante eccellenze di una vita laboriosa ha maturato l’impegno di scrittore (molte le pubblicazioni di ricerca storica su Piacenza e le valli che la circondano, molti i riconoscimenti per le sue poesie dialettali e cinque le sue commedie in dialetto) e la gioia effervescente di musicista. La sua canzone Bobbi l’è bell è stata usata come colonna sonora in diversi filmati tra cui un corto del regista Marco Bellocchio, suo amico d’infanzia.

Non a caso il libro inizia con alcune canzoni-poesie sue e di autori molto noti come Uomini soli dei Pooh-Negrini o Io vagabondo de I nomadi e Piazza Grande di Dalla, ma prima di tutte queste pregevoli, la traduzione di Sole scritta da Quinto Orazio Flacco, poeta latino che gli divenne caro grazie alla sua insegnante delle scuole medie a Bobbio, l’indimenticabile professoressa Paramidani.

E per far capire quanto sia rimasto importante questo contesto bobbiese in cui ha vissuto la giovinezza nel libro c’è il ricordo di tre amici che si sono distinti anche loro per l’amore a Bobbio: l’avvocato Pietro Mozzi che sapeva riunire intorno a sé come un cenacolo di bobbiesi elitari e Malli Zerbarini e Gigi Pasquali che si sono distinti a loro volta in campo culturale: Malli dando vita al Premio Letterario Internazionale dedicato a Pietro Mozzi (i nomi ritornano ma questo è un poeta dialettale dell’’800 antenato dell’avvocato) e Gigi autore del dizionario Bobbiese.

Entro finalmente in argomento degli Invisibili con una riflessione dell’Autore: “ci sono persone che lottano tutta la vita per mettersi in evidenza e sono le prime ad essere dimenticate e al contrario persone che non fanno nulla per essere ricordate ma   nell’opinione pubblica al punto di essere ricordare anche per una  frase come quella del primo personaggio presentato: “Al Lolu Ad Torsella”, nato nel 1870 a Piacenza con il nome di Luigi Guerra. Storica la battuta che si era originata pensando a lui: “fa mia al Lolluvaa!” cioè “ma non fare lo scemo”. Era un facchino, con una forza straordinaria, non si prese nemmeno la Spagnola (1918/22) che a Piacenza causò centinaia di vittime.

E con Lolu anche la prima foto storica del libro come per ogni altro personaggio. Così il libro diventa non solo di cronaca e memoria anche d’arte. Come attesta il particolare di un affresco nella Chiesa di Badagnano-Rezzano di Carpaneto  del pittore eremita detto anche Al Sant per la sua fervida fede. Non mancano altri artisti tra questi clochard vagabondi come Pino il Madonnaro di Piacenza  o Valter Marras, al pittur  di Bettola. Ci sono diverse donne clochard, ben nove, di cui una chiamata “la nobildonna” e un’altra fotografata mentre dà cibo ai piccioni. C’è un personaggio soprannominato Anguria nome che fa capire la sua stazza ma torno  quasi ad inizio della galleria per il ricordo di “Blac” di Bobbio. Decise di diventare eremita in una grotta nell’ansa del Trebbia alla confluenza con il Dorbida torrente noto per le sue piene come quella di metà ‘800 che distrusse il vecchio camposanto portandosi dietro casse dei defunti, lapidi ed altro. Blac diede alla grotta l’aspetto di una casupola costruendo la facciata d’ingresso. Al piano terra teneva un paio di maiali, aveva un pollaio e a sera con il suo fischio chiamava una piccola biscia d’acqua che lo raggiungeva per dormire con lui. Una volta con generosità accolse un amico, Miccon, sfrattato e rimasto senza casa, però quando questi si fece troppo invadente gli smontò il tetto della casupola che aveva costruito per lui per farlo bagnare dalla pioggia e costringerlo ad andarsene. Blac era emigrato da giovane in Argentina lavorando come muratore e mettendo da parte 300mila lire che allora erano davvero tante. Tornato a Bobbio le depositò alla Banca Raguzzi ma quando con il crollo di Wall Street la crisi si propagò anche da noi le banche fallivano e ogni giorno Blac andava a richiedere i suoi risparmi ma la Banca non ci sentiva proprio. Allora Blac prese la sua roncola da boscaiolo e seduto fuori dalla banca iniziò ad urlare in dialetto: “venite fuori uccellini che vi taglio il collo”.  Il direttore temendo davvero di poter essere aggredito lo fece passare da una porta secondaria e gli restituì i soldi purché  non lo dicesse a nessun altro in modo da evitare altre richieste di rimborsi. La galleria si chiude con un eremita che si era ritirato in una caverna sul Lesima, la montagna più altra della Provincia (m. 1724). Di giorno e anche di notte questo eremita s’inginocchiava pregando. Non si seppe mai chi fosse pur se la vulgata raccontava che fosse scappato da una grande città perché coinvolto in una rissa dove ucciso un uomo. Un giorno sparì e non si seppe più nulla di lui. Aveva voluto diventare un Invisibile e tale rimase per sempre nella memoria. Però    quella sua caverna era stata storica perché si narra che fosse stata il rifugio di Annibale che vi avrebbe sostato con elefanti e soldati al ritorno dalla vittoria sui romani nella battaglia sul Trebbia nella Piana di Tuna e Rivalta di Gazzola. Annibale si fermò appunto a Zerba per prendere accordi con i Liguri, noti nemici dell’Impero Romano e questi lo ospitarono sulle pendici del Lesima in Val Borreca.

In quarta di copertina questa massima cara all’Autore:

“l’amore più fedele al mondo è la speranza, ti tradisce ogni giorno, ma vivi con Lei per tutta la vita”.

E poiché dopo tante esperienze di una vita intensa l’Autore è diventato un po’ filosofo all’inizio della lettura ne ha raccolte altre che gli sono care: “Dicono che la vecchiaia sia l’età del tramonto, ma ci sono tramonti che tutti si fermano ad ammirare”; “La mente è come un paracadute, funziona solo se lo si apre”.

 

Di seguito l’articolo uscito sul Giornale del Piemonte e della Liguria (inserto de il Giornale) domenica 16 luglio e per chi come me non scrive più sui giornali dal giugno 2013 è una gran soddisfazione. E’ uscito grazie alla gentilezza di Monica Bottino che era allora mia collega e che molto più giovane di me continua egregiamente il suo lavoro di giornalista.