INDICE

 

1) 1979 Crociera sul Po con il Giornale accompagnatori Gianni Granzotto Giorgio Torelli Bruno Lauzi, articolo di Maria Luisa Bressani

2) Alberto Rosselli, La Caduta dell’Impero Ottomano e le radici della politica di Erdogan, Archivio Storia, 2021

   3) Paolo Merlo, La Religione dell’Antico Israele, Carocci editore, 2009

 

E’ stato alla Crociera sul Po che conobbi un giornalista di cognome Rosselli che da allora di strada ne ha fatta molta. Ora poiché i ricordi a tanti anni di distanza possono essere sbagliati e poiché le omonimie sono tante potrebbe anche non essere il giornalista e storico Alberto Rosselli di cui ho messo la mia recensione (o mini-saggio per la lunghezza)al suo La Caduta dell'Impero Ottomano e le radici della politica di Erdoğan, però riporto lo stesso le impressioni che scrissi su quella crociera. Il testo è già alla pagina “I Maestri"di mlbressani.wixsite.com/marialuisabressani, mio precedente sito su wix (ancora attivo). Però mi piace iniziare con questo ricordo caro al mio cuore anche perché vi rivedo in foto i miei figli bambini e ormai cinquantenni. L’amichetto che gioca con loro (e con cui nel tempo - purtroppo- ci siamo persi di vista) è figlio di una coppia di giornalisti con cui allora stringemmo amicizia periti poi in un tragico incidente stradale quando lui era ancora ragazzino.

           Crociera sul Po con Il Giornale.

       Nella foto sulla Stradivari:

          mio figlio Edgardo,

   Bruno Lauzi, Giorgio Torelli e Edgardo,

"Bimbi in gioco": Edgardo e un amichetto,

        di spalle  mio figlio Cesare.

 

 

             

  

Non molto dopo la nascita de Il Giornale, il 25 giugno 1974, Montanelli venne a Genova alla Fiera del Mare per un incontro con i lettori ed ebbe un bagno di folla. Non potei andare.  Mio marito mi raccontò di aver incontrato due sposi che, avendo la casa piccola, tenevano tutti i numeri di questa testata impilati sotto il letto. Hegel definì i quotidiani “preghiera del mattino dell’uomo moderno” e del nostro i due sposini avevano fatto così un loro grande breviario.

Nel maggio 1976 ci fu il terremoto del Friuli e i miei tre bambini ruppero i salvadanai per portare l’importo a Luigi Vassallo, primo caporedattore delle pagine genovesi. Era ad accogliere di persona la gara di solidarietà  e diede un buffetto al più piccino.

Quando Il Giornale lanciò i primi viaggi, occasione per conoscere, ma anche per conoscersi tra lettori e con fior di giornalisti come accompagnatori, decidemmo d’andare. Il motivo più importante, per me, far capire ai figli, nel ‘79 tra gli otto e i dodici anni, che qualora avessero incontrato insegnanti politicizzati, potevano guardare al Paese con amore e in modo non fazioso come attraverso le parole dei nostri accompagnatori: Gianni Granzotto e Giorgio Torelli.

Trent’anni fa, ad accompagnarci sulla motonave Stradivari, anche il liberale d’idee Bruno Lauzi, le cui canzoni sono un amore grande per la vita.

Chiedo oggi ai figli,  a loro volta genitori, cosa ricordino del viaggio. Il più piccolo mi risponde da Torino: “Ah la hostess, Carla! Devo avere la sua firma conservata da qualche parte”. Carla era una storica segretaria de Il Giornale. La figlia maggiore, da Milano, ricorda l’hotel dove pernottammo a Venezia: L’Ϊle des Bains, il primo bell’albergo da lei conosciuto. Il mediano, anche lui da Milano, mi dice: “Giocavamo a sette e mezzo, che è un gioco d’azzardo”.

A quel tavolo-“bisca”, a presiedere i giochi con tre bimbi, i miei due maschietti ed un altro dell’età del mediano, Bruno Lauzi, divertendosi assai e come un perfetto baby sitter! Sarà stato un gioco d’azzardo con lo spirito del ruba-mazzetto, quello che credevo stessero praticando.  Lauzi era sempre con i bimbi o solitario a prender sole sul ponte.

Nella prima serata ci era entrato in cuore, scaldando l’atmosfera con le sue musiche e la sua voce speciale, inframmezzando con barzellette sui nostri “tic” caratteriali, di piemontesi, liguri, napoletani..., tutta un’Italia. Con mio marito passeggiavamo sul ponte, e qualcuno ci gridò: “Lauzi sta dedicando una canzone a voi, i due genovesi mano nella mano”. Riascoltammo, commossi, “Ma se ghe penso”.

Granzotto, che fu presidente della RAI, in Tv aveva spiegato la politica estera creando una moda con l’impugnare la penna a sottolineare le parole. Sul Po, per timidezza (ce lo disse Carla), sfuggiva, rintanato in cabina, ma nelle pause dopo i pasti c’intratteneva con chiarezza eccezionale sui grandi temi politici e sociali del momento.

Ad essere assediato dai croceristi, Giorgio Torelli. Ci raccontava di Marcello Candia, l’industriale che curò i lebbrosi e del progetto di costituire una Fondazione a suo nome, di cui poi è stato primo presidente. Torelli salì a bordo a Mantova,  per me era un mito avendolo seguito su Grazia, la rivista femminile cui fin da ragazzina mi aveva abbonato Pina, la zia madrina. Avevo letto del suo viaggio di quasi un mese su un Piper, con pilota un missionario Saveriano, per consegnare il primo Presepe per la chiesa  congolese di Uvira con statuette in gomma antitermiti. Su Il Giornale, nella rubrica “Cosa Nostra”, era ormai di famiglia.

Ritrovo un suo articolo “L’Omone che teneva gli alberi in pugno”. Vi scrive di un dottore in scienze forestali che gli dice: “Da sei mesi, lei è mio fratello”. Spiega che lo legge dal primo numero del Giornale per concludere: “Mi considero - qui in Cadore – alfiere della più coraggiosa bandiera di carta che si sia alzata sulle rovine italiane. Lei non è forse parte della bandiera? Non è lei che dedica le sue colonnine ai solitari che resistono ai tempi? Ebbene, io la leggo e mi sento rappresentato. Lei è dunque mio fratello”. E’ il significato de Il Giornale di ieri e di oggi.

Di quel viaggio ho un grato ricordo per il giornalista Nicola Fudoli: a Venezia quando ci smistammo su due degli ordinari traghetti, il figlio più piccolo mi sfuggì correndo sull’altro. I parapetti dell’imbarcazione, con molto spazio vuoto tra i bordi, m’intimorirono ché senza sorveglianza non finisse in acqua. Fudoli mi gridò: “Tranquilla, ci penso io”!

                      Maria Luisa Bressani

 

 

 

 

 

                                                                   Alberto Rosselli

                 La caduta dell’Impero Ottomano

 

 

              Risultato immagine per Alberto Rosselli. Dimensioni: 120 x 170. Fonte: www.ticinolive.ch Risultato immagine per alberto rosselliVisualizza immagine di origine 

                            (l’Autore,        che qui si rilassa e ride)

                              

 

(Ho voluto affiancare alla cover del libro anche la locandina di una recente presentazione ad Arenzano che la fa risaltare per la cornice  nei colori nero e rosso)

      

Alberto Rosselli,giornalista e saggista storico, è specializzato in Storia delle Religioni e Geopolitica mediorientale e anatolica. E' direttore responsabile  della rivista online 'Storia Verità' (www.storiaverita.org): “rivista politicamente scorretta" di studi storici o anche “per leggere la storia senza fanatismi", come gli piace avvertirci.

Ha all’attivo molte opere: Storie segrete della Prima Guerra Mondiale, Storie segrete della Seconda Guerra Mondiale, l’Olocausto Armeno, Sulla Turchia e l’Europa, Il Califfato Islamico, Il movimento panturanico, Breve storia della Guerra Civile Greca, La Guerra Civile in Cina 1927-1949, Islam-Nazismo-Fascismo. Tutti titoli che, se non esauriscono la sua vasta produzione, ci danno l’idea della sua competenza.

Soprattutto risalta un carattere del Professore: s’immedesima a tal punto nelle vicende che sembra dirci “questo è il mio popolo, questa è la mia terra, qui sono nato” pur se parla di turchi o abitanti dell'Anatolia.

Con La Caduta dell’Impero Ottomano-Le radici della politica di Erdogan Rosselli colma un vuoto che la maggior parte degli allievi si porta dietro dai banchi di scuola e che ci interessa assai dato che con Turchia e  Medio-Oriente condividiamo il Mediterraneo. Se Le guerre balcaniche o le così-dette Primavere arabe ci hanno aperto squarci su Paesi che dividono con noi questo mare, la sua indagine affronta un terreno sconosciuto ai più anche se i nostri “padri” hanno combattuto la Guerra di Crimea (1853/56) e una Guerra italo-turca (1911/1912) per conquistare le regioni nordafricane di Tripolitania e Cirenaica.

Per aiutare la comprensione, alla fine del libro troviamo una cronologia degli avvenimenti di venti pagine: Cronologia dell’Impero Ottomano (1804-1914); Cronologia 1914-1918 (per il 1919 c’è solo una riga:10 gennaio Fronte dell’Hegiaz, la guarnigione ottomana di Medina si arrende); Breve cronologia della Repubblica turca (1920-2016). Il primo evento citato è nel 1804 la Rivolta nazionalista serba contro il dominio ottomano, guidata da Gorge Petrovic (Karagjorgje), l’ultimo il 15 luglio del 2016 il fallito colpo di Stato militare con violenta reazione del Presidente Erdoğan.

Ci sono 42 foto e cinque piantine topografiche per delineare le zone d’azione.

Delle foto inserisco la seconda  che riguarda un momento di splendore dell’Impero nella sua corsa a superare diverse arretratezze e mettersi in pari con l’Occidente: è di Suleyman I, detto il Magnifico (dagli occidentali) o Kamuni dai turchi, ovvero il Legislatore.

 

                 

 

Ma prima di approfondire l’opera di ammodernamento dell’Impero riporto dal libro alcune notizie su come si formò.

Nel XIII secolo armate mongole arrivate dal cuore dell’Asia fecero frantumare l'Anatolia in diversi principati e nel XIV secolo vi furono numerose immigrazioni dall'Asia centrale, tra cui i terribili Unni. Però il principato retto da Osman nel 1326 aveva conquistato il centro commerciale di Bursa e ne aveva fatto la prima capitale dello stato ottomano che da lui aveva preso il nome e la sua dinastia si sviluppò in cinque secoli con 36 sovrani.

Il primo ottomano che ebbe il titolo di Imperatore fu Bayazid I, vincitore nel 1389 degli slavi e dei serbi a Kosovo Polie e soprannominato per le sue capacità militari e l’irruenza “Yildirim" cioè “la folgore”. Quando però conquistò la Bulgaria (1393) e tentò di espugnare Costantinopoli, la risposta dell’Occidente fu un’armata cristiana, definita infatti da alcuni “crociata”, sotto re Sigismondo D’Ungheria. Questa crociata nel 1396 partì da Budapest e affrontò i turchi sotto le mura di Nicopoli ma vinsero i turchi.

Nel 1402 un potente esercito asiatico con alla testa Tamerlano il Grande raggiunse l’Asia Minore, travolgendo l’esercito di Bayazid nella battaglia di Ankara e facendolo prigioniero.

Manometto I, uno dei figli del sultano, ristabilisce l’ordine e pianifica la riconquista di Costantinopoli che nel 1453 riuscirà a suo nipote Maometto II.

Segue poi il confronto dell’Impero con la Repubblica di Venezia, l’Impero Asburgico, il nascente Impero Russo.

Ed è la volta di Suleyman il Magnifico (1494-1566) che fa raggiungere il culmine all’Impero Ottomano esteso dai confini austro-ungheresi a quelli romeno-russi, all’Egitto occupato nel 1516, a Libia, Tunisia, Algeria, dal Caucaso fino alla Persia, alla Mesopotamia, alle coste arabe e yemenite del Mar Rosso.

Però tra il 1400 e il 1600 i grandi regni cristiani divennero sempre più potenti e tra il 1600 e il 1700 l’Impero Ottomano,  che nel 1599 aveva spinto l’esercito sotto le mura di Vienna e poi era stato sconfitto a Lepanto (1571) e di nuovo nel 1683 aveva assediato Vienna senza riuscire a vincerla, conosce una grave crisi. Benché sia ormai citato come Sacra o Sublime Porta, in riferimento al portale di Istanbul vicino a Palazzo di Topkapi che conduceva al quartiere generale del gran visir, dove il sultano teneva la cerimonia di benvenuto per gli ambasciatori stranieri, rivela tutta la sua debolezza per mancata modernizzazione.

Poi nel 1071 i turchi selgiuchidi si insediarono saldamente nel territorio sconfiggendo i bizantini a Mantzikert.

                                                                                                             

            (la Sacra Porta)

 

Dopo il 1909 inizia un processo di occidentalizzazione, ma l’illuminazione elettrica nella capitale arriva solo nel 1912, la riscossione delle tasse ancora nel 1914 era affidata a privati, nei trasporti la situazione era disastrosa e erano stati accolti finanziamenti tedeschi per potersi rammodernarsi.

Non solo erano ancora in vigore le così-dette “capitolazioni” accordi per cui gli europei mantenevano posizioni economicamente privilegiate e non sottostavano alle autorità ottomane. Per uscirne erano stati fatti accordi con la Germania e il Kaiser Guglielmo II.  Proliferavano già dal 1878 società segrete analoghe ai Giovani Turchi e che si ispiravano alla Carboneria italiana.

Nel 1914 il Partito dei Giovani Turchi conquista il potere.

Quanto scoppia la I Guerra Mondiale esiste un trattato segreto tra Turchia e Germania per una comune azione difensiva ed offensiva da attuarsi in collaborazione con l’Austria, ma per dar tempo alla macchina da guerra ottomana di attivarsi il governo di Costantinopoli ebbe facoltà di dichiararsi neutrale all’apertura delle ostilità. Il 14 novembre il Sultano di Costantinopoli, nella sua veste di Califfo, proclamò la guerra santa (Jihad)  contro tutti i Paesi ostili alla Turchia.

Il racconto dello storico prosegue come ho già indicato fino ai nostri giorni quindi non sembri una perdita d'interesse se mi sono fermata a ricordare le vicende della I Guerra Mondiale anzi il modo di narrare è così avvincente che sembra di leggere un giallo e non si smette finché non si è scoperto l’assassino.

M’interessa mettere in risalto i punti del libro che più mi hanno colpita. Senz’altro le vicende del popolo armeno (su cui il professore  Rosselli ha scritto un volume) e mi ha colpito che ad un certo punto li definisce come persone in genere ricche. Penso che pure in questo caso come è stato per gli ebrei la molla a volerli sopraffare sia stata la possibilità di impadronirsi dei loro beni e tra gli ebrei, ad esempio, ai tempi di Hitler c’erano banchieri e persone abbienti. Gli Armeni – cioè la popolazione cristiana abitante la regione montuosa a cavallo tra l’Anatolia e l'altopiano iranico - conoscono una lunga serie di persecuzioni e atrocità. Contesa per secoli tra Turchi e Persiani,  dal 1802 l’Armenia già passata sotto i re della Georgia entrava a fa parte con questa della Russia. Ne 1878 con il Trattato di Santo Stefano gli zar tentarono di assumerne la “protezione” per averla alleata contro Turchia e Persia, ma l'ostilità dell'Inghilterra fece sì che fosse affidata all’Europa. Il risultato fu che anche la Russia divenne persecutrice degli armeni, ritenuti uno strumento di resistenza all’espansione panrussa e l'Armenia si trovò divisa tra tre stati: Turchia, Russia e Persia.

Gli Armeni che vivevano sotto il dominio turco subirono continui massacri (1894, 1895, 1896, 1909) e una deportazione in massa all’inizio della prima guerra mondiale.

Degli Armeni in questo libro oltre al capitolo in cui parla delle persecuzioni turche contro di loro a partire dall’agosto 1915, c’è un episodio davvero sconvolgente. Il 26 maggio 1918 le divisioni ottomane investono la località di Karakilise facendo a pezzi una divisione armena di 10mila uomini di cui cinquemila soldati cristiani superstiti riuscirono a ritirarsi “raggiungendo, al termine di una terribile marcia, alcuni remoti passi del Caucaso centrale”. Questi scampati dichiararono il 28 maggio che mai avrebbero abbandonato quei luoghi che erano appartenuti molti secoli prima ai loro avi, ma dovettero vedersela anche con feroci minoranze mussulmane del Caucaso e le tribù tartare ed azere di Georgia ed Azerbaigian, che trucidarono a centinaia i nuovi arrivati.

Non bisogna dimenticare che Baku, attuale capitale dell’Azerbaigian,  tra il 1914 e il 1917 aveva i pozzi petroliferi più produttivi al mondo e questi avevano garantito alla Russia ma anche allo schieramento dell'Intesa 28.683.000 tonnellate di greggio, quantitativo ritenuto irrinunciabile da Londra e Parigi per sostenere l'enorme sforzo bellico dell'alleanza.

 

           

 

Altro episodio per cui il professore Rosselli si rivela un benemerito è l’aver colmato una lacuna perché è stata quasi passato sotto silenzio l’apporto degli italiani a fianco degli inglesi, prima a Salonicco nel 1916, poi dal 10 aprile 1917 in Sinai. I nostri bersaglieri dagli inglesi erano ironicamente chiamati  “soldati gallina” per via del piumaggio sui loro copricapo d’ordinanza.

 

                

Il bilancio in morti feriti e prigionieri della campagna di Mesopotamia (1917/18) fu per gli ottomani di185mila tra morti e feriti, lasciando al nemico 45mila prigionieri, 250 cannoni e un grosso quantitativo di munizioni e materiali L’Armata britannica  ebbe 14814 soldati uccisi sul campo, 12807 deceduti per malattie, 52mila feriti e 13494 tra prigionieri e dispersi, cifre che sommate insieme danno un risultato di circa centomila cioè non molto lontano dal bilancio degli avversari.

Per me uno degli aspetti più attraenti del libro sono le storie umane che vi compaiono in poche righe ma capaci di ravvivare il racconto e di penetrare in noi più profondamente. Ne cito alcune.

Durante la campagna di Macedonia (1916)  dato che i grandi campi e i depositi dell’Intesa erano protetti da batterie contraeree sbarramenti di palloni aerostatici carichi di esplosivi muore colpito da uno di questi ordigni volanti l’Aquila dell’Egeo come veniva chiamato il tenente Eschwege che aveva abbattuto 20 aerei inglesi e francesi.

Nel 1017 viene catturata in uno dei principali covi dei partigiani ebrei Sarah Aaronsohm sorella del capo del movimento sovversivo sionista. La torturano ma lei non dà alcuna informazione e si toglie la vita in cella.

L’undici dicembre 1917 il generale inglese Allenby entra a piedi in Gerusalemme evitando per segno di rispetto la parata trionfale a cavallo che vi aveva compiuto nel 1898 il kaiser Guglielmo durante le visita ai luoghi sacri.

Un episodio degno di un gourmet è quando Lawrence d’Arabia per festeggiare d’esser riuscito a polverizzare nell’ ottobre 1917 con le sue mine un treno di dieci carrozze, carico di soldati e di rifornimenti destinati a Medina, fa preparare per i “suoi guerrieri”  una cena a base di carne di cucciolo di cammello cotta nel latte della madre.

Lawrence “d’Arabia” titolo del film del 1962 del regista David Lean ed interpretato da Peter O’Toole (film della durata di quasi quattro ore e vincitore di sette Premi Oscar) era un cartografo dell’Ufficio Militare del Cairo che coinvolto nella guerra abbraccia la causa degli arabi sognandone una reale emancipazione nazionale e politica e da questo il suo appellativo nel noto film. Conoscitore di esplosivi fa il guastatore lungo la linea ferroviaria dell’Hegiaz. L’idea di costruire una ferrovia di collegamento tra Damasco e La Mecca per mettere in condizione i pellegrini mussulmani di raggiungere la città santa con un mezzo rapido e conveniente risale al 1864 però viene attuata solo ai primi del Novecento (primo settembre 1908 inaugurazione della prima ed unica tratta di 1300 chilometri). E’ realizzata da tecnici tedeschi e manodopera araba e per la manutenzione vennero poi disposti 5000 soldati dal genio ferroviario dell’esercito mussulmano.

          

Prima i pellegrini per la Mecca dovevano affidarsi ai carovanieri e pagavano 40 sterline per un viaggio a dorso di cammello di ben due mesi, con la ferrovia il biglietto costava solo 3,50 sterline.

Un episodio da epopea western riguarda un convoglio carico di feriti turchi e tedeschi reduci dai combattimenti ingaggiati con le truppe arabe di Lawrence. Dopo che un paio di battaglioni di cavalleria inglese avevano intercettato il treno per bloccarlo, questo accelerò al massimo la corsa lasciandosi indietro gli inseguitori ed entrando in Amman fischiando a più non posso tra le acclamazioni dell’intera guarnigione turca.

Per concludere un’immagine dell’ingresso trionfale delle truppe di Lawrence ad Aqaba. Epopea che poi Lawrence stesso illustrò ne I sette Pilastri della Saggezza. Quando Allenby gli propose di ricoprire l’incarico di consigliere aggiunto del principe Feisal che era stato suo alleato, rifiutò ma prima di congedarsi e partire per l’Inghilterra sfilò per le strade di Damasco con trecento cavalieri. Nel 1919 si dimise dalla carica di consigliere politico degli Affari Arabi giungendo a rifiutare la carica di viceré delle Indie e lasciando Giorgio V sovrano del Regno Unito che voleva consegnargli la Victoria Cross,  importante onorificenza con la “scatola in mano”. Continuò però in altre operazioni militari e  si arruolò anche nella RAF.

           

 

Il libro si chiude con in Appendice due approfondimenti.

 

                  (Kemal Atatürk)

 

Il primo su Kemal "Atatürk” (significa “Padre dei Turchi” e si guadagnò anche il titolo di “Eroe dei Dardanelli”). Già leader dei Giovani Turchi, nato a Salonicco (oggi in Grecia),  fondò la Repubblica turca e ne fu primo presidente dal 29 ottobre 1923. Nel 1922 dopo l’abbandono delle forze greche di Smirne,ultimo avamposto anatolico, si accordò per il trasferimento di 500mila mussulmani dalla Grecia in Turchia e di un milione e mezzo di ortodossi e greci dall’Anatolia alla Grecia: Uomini e famiglie spostati come formiche inscatolate.

Non solo, a dimostrare quanto sia complicato questo contesto medio orientale, nel 2023 nasce la questione cipriota per cui due terzi dell’isola furono demandati al governo greco mentre la parte nord, separata da un muro divenne d’influenza turca. Solo nel 2002 le due parti iniziarono a dialogare per una soluzione pacifica: “avvicinamento reso urgente dalla volontà  sia di Cipro sia della Turchia di entrare nell’Unione Europea”.

Abolì il califfato, istituì il suffragio universale, adottò l’alfabeto latino, riconobbe la parità dei sessi, proibì alle donne l'uso del velo islamico nei locali pubblici (legge abolita poi nel 2000 dal governo AKP) adottò l'alfabeto latino, il calendario gregoriano, il sistema metrico decimale, proibì l’uso del fez, mantenne l'Islam come religione di stato. Fu brillante generale, però durante la sua presidenza si registrarono pesanti repressioni contro i curdi che allora costituivano  il 20% della popolazione turca e che venivano definiti “turchi delle montagne” quasi fossero una sottospecie. Morì nel 1938 di cirrosi epatica, provocata da eccessi alcolici per una forte depressione psichica.

 

Il secondo approfondimento riguarda Erdoğan.

 

                  (Erdoğan)

 

Erdoğan è l’attuale presidente della Turchia dal 2014. Ha fondato  l'AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) nel 2001.

Fin da ragazzino per necessità ma anche per indole attiva essendo di famiglia modesta vendeva di tutto e il padre, islamico convinto, una volta che il ragazzo aveva detto una parolaccia lo aveva appeso con un gancio al soffitto. Ha anche giocato a calcio nella squadra ufficiale prima di essere eletto a sindaco di Istanbul.

Quando nel 1980 ci fu in Turchia un colpo di Stato militare Erdoğan dichiarò di essersi laureato proprio allora presso la Facoltà di Economia e Scienze Amministrative dell’Università di Marmara, cosa che gli fu contestata perché in Turchia per essere presidenti bisogna anche essere laureati. E quel colpo di Stato fu determinante in quanto per l’esercito il nemico divenne non più l’islamismo ma il comunismo.

Erdoğan nel 1977 (era nato nel 1954),  a 23 anni conosce Ermine una ventiduenne proveniente da una modesta famiglia araba e la sposa avendo da lei quattro figli, due maschi e due femmine. Al confronto di costumi occidentali molto disinvolti per cui l’uomo che ha potere passa da una donna all’altra questa è rimasta e con amore la sua unica famiglia.

Come presidente nel 2018 ottiene  il suo secondo mandato e in questo periodo per rafforzare il concetto di identità turco/mussulmana riprende le offensive contro i curdi (gruppo etnico iranico originario dell’Asia occidentale di religione islamico sunnita). Si stima che i curdi siano tra i 30 e i 45 milioni e costituiscano uno dei più grandi gruppi etnici privi di unità nazionale. Dopo la I Guerra Mondiale il Trattato di Sèvres del 1920 aveva previsto uno Stato Curdo disposizione che fu annullata tre anni dopo quando il Trattato di Losanna fissò i confini della moderna Turchia, lasciando i curdi allo status di minoranza nei rispettivi paesi. Ciò portò a numerose rivendicazioni sfociate anche in sistematici genocidi.

Oggi grazie all’amicizia con la Russia di Putin e con l’Oman (unico paese mussulmano ad aver avvallato la recente politica ‘coloniale’ di Erdoğan in Nord Africa, cioè in Libia), la Turchia prosegue in una politica di espansione per cui dovrebbe attestarsi come una Turchia egemonica ed imperialista su basi ideologiche panturaniche.

Il panturanismo è un Movimento sviluppatosi tra fine 19° secolo e inizio del 20° per valorizzare l’affinità culturale  tra le diverse popolazioni di lingua turca e stabilire solidarietà tra queste ed altre affini come i Mongoli e i Magiari. Tale ideologia era stata abbracciata proprio dai Giovani Turchi.

Su queste basi ideologiche s’innesta la politica attuale e vede nuovi accordi internazionali per grandi oleodotti di gas e oro nero (petrolio) dall’Asia centrale all’Anatolia.

Dal libro questa riflessione: “è noto come tra gli anni Settanta e gli anni Novanta del 1900 – in concomitanza con l’invasione sovietica dell’Afghanistan  e poi nel contesto  della rivolta antimoscovita cecena la CIA  abbia appoggiato i movimenti mussulmani panturanici e quelli jihadisti. E come successivamente la politica di Gorge Bush abbia contribuito a rafforzare i legami di amicizia tra Washington e le repubbliche centro-asiatiche, sia in funzione anti-russa che in funzione anti-fondamentalista islamica”.

La conclusione secondo storici preparati è che le leadership dei Paesi mussulmani si trovino per usare una metafora “tra l’incudine e il martello”. L’incudine è un Islam risorgente ed insorgente che ha accesso alle tecnologie del nuovo millennio ed è sostenuto dalle masse; il martello  è un processo di modernizzazione secolarizzante imposto dall’esterno, come nel “modello turco”. Il rischio è una serie di rivoluzioni fondamentaliste a catena.

Tra le foto del libro, tutte molto belle e significative, l’ultima è del Sultano Abdulmejid I, detto il Riorganizzatore (1823-1861), trentunesimo sultano dell’Impero Ottomano che per la sua opera di ammodernamento prese a modello la Francia.

Guardando lo splendore di questo giovane uomo, elegante e con molto aplomb, si può pensare che il passato possa essere stato civile e forse  migliore di tante degenerazioni attuali. Un passato permeato dal senso dell’onore che era ritenuto un valore.

 

                          (Sultano Abdulmejid I)

 

C’è ancora un legame importante da evidenziare e che nel libro è messo bene in risalto: "Dagli inizi del secolo XIX e i primi decenni del XX la storia dei rapporti fra l’Impero Ottomano e l’Europa non è che un capitolo del conflitto tra Russia e potenze europee occidentali”. Nel libro la parte che riguarda la rivoluzione russa è avvincente. Ci racconta con pathos del momento, 12 marzo 1917, in cui lo zar Nicola sta per lasciare la sede del Comando dell’esercito a Mongilev per rientrare a San Pietroburgo e 17mila soldati  appartenenti alla guarnigione della capitale  si uniscono alla folla che manifesta contro l’imperatore.

Per estrapolare alcune date da queste pagine intense, il 16 aprile 1917 Lenin, con l’appoggio del governo tedesco, arriva a San Pietroburgo e pronuncia il primo discorso auspicando una completa vittoria del soviet; il 24 aprile l’Ucraina proclama l’indipendenza dalla Russia. Non solo alla fine di aprile erano più di 2 milioni i soldati che avevano gettato le armi sulla linea del fronte orientale, per contro ai primi di maggio 50mila mutilati russi manifestano a favore della guerra. Loro che avevano pagato la guerra nella propria carne, non possono ammettere che il loro sacrificio sia stato inutile o che sia da considerarsi superato.

 

Nella pagina “Carissimi" del mio sito alla fine ho allegato alcune copertine dei libri del prof. Rosselli, tutte sempre molto belle perché non ritenevo di imbarcarmi a commentare un suo libro sapendo quanto i suoi testi siano dettagliati e profondi, insomma da far tremare le vene ai polsi. Però sono anche di avvincente lettura come gialli mozzafiato come è di per sé l'imprevedibilità della Storia. Così ho deciso di cimentarmi.

Ed ho deciso di cimentarmi nel testo successivo come omaggio a Gina(=Regina) De Benedetti, mia insegnante del ginnasio al Liceo D'Oria di Genova Le ho voluto così bene che pur amando moltissimo mia madre chiamai anche lei “mamma” ritenendo che mi avesse aperto alla vita dello spirito.

Gina, ebrea che si ritrovò con i capelli tutti bianchi da sera a mattina alla promulgazione delle leggi razziali, è stata umile, colta e con l'intelligenza della mente e del cuore. Cercava sempre di mettere in contatto tra loro i suoi allievi come fosse un proseguimento del suo compito educativo.

 

 

              La Religione dell’Antico Israele

               di Paolo Merlo

 

                

Al momento della creazione Yhwh Dio dell’antico Israele insuffla un alito di vita nell’uomo che ha plasmato, questo termine rȗah che si traduce “spirito" significa primariamente  il soffio, l'alito, il vento come manifestazione della forza vitale. Ma ciò che mi fa ricordare Gina De Benedetti, la mia illuminata insegnante del ginnasio al D’Oria di Genova  è che la rȗah non deriva da un merito dell’uomo ma è piuttosto “un dono" concesso dal Dio agli uomini. E’ questo il concetto che ci ha trasmesso l’insegnante Gina che “la vita è un dono" di cui perciò non possiamo disporre a piacimento nostro ma per realizzare il disegno divino che ce l’ha data. Questa concezione antica cozza contro pratiche che oggi si vogliono avvalorare come il suicidio (esser padroni di sé e di vita o morte di sé) o più ancora il suicidio assistito che è l'eutanasia. Ricordo pure una signora che ebbe molte grandi sofferenze e che sosteneva con umiltà cristiana che Dio non ci dà dolori che noi non possiamo sopportare.

Il libro di sole 121 pagine ma con una ricchissima bibliografia finale suddivisa per ciascuno degli otto capitoli inizia con una critica alla tradizione biblica. Questa ha sì un valore di testimonianza sul vissuto religioso degli antichi ebrei però il fenomeno storico-religioso di Israele e Giuda non può limitarsi alle credenze religiose. Inoltre nel Vicino Oriente antico non esisteva una “dimensione" religiosa separabile da quella profana o quotidiana perché la persona ne era tutta permeata. Non solo, esiste una grande difficoltà di datazione dei passi biblici e per di più alla luce dei più recenti studi storici e religiosi i regni di Israele e Giuda sono da inserirsi completamente nell’universo religioso dei contemporanei regni siro-palestinesi: Fenici, Aramei, Ammon, Moab, Edom. L'Autore si propone di dimostrare come la religione antica di Israele Giuda non sia del tutto estranea a quella del suo contesto culturale.

Un concetto su cui l’autore si sofferma da subito è quello del territorio. Il lettore non specialista – dice – pensa ad un popolo diviso in 12 tribù che occupò il territorio di Canaan dal II millennio a.C. ed ha avuto il suo periodo d’oro sotto Davide e Salomone. (Ecco la piantina dei luoghi di quegli antichi eventi e credenze).

                           

 

 

Ma Israele in epoca antica indicava solo il regno "del Nord", distinto da quello di Giuda (come da iscrizione di Mesha o da fonti annalistiche neo-assire e che finì di esistere nel 722/21 a.C. con la caduta di Samaria.Da allora fino al 1948 non è èpiù esistita una realtà territoriale-politica denominata Israele. Dopo Samaria rimase come realtà politica autonoma solo il Regno di Giuda e più a Nord la provincia di Samaria.

A partire dalla dominazione persiana iniziò ad indicare i fedeli di Yhwh (nome ebraico di Dio che compare nei papiri aramaici dei Giudei di Elefantina (isola sul Nilo poco dopo la prima cateratta di fronte ad Assuan).

In questo libro l'Autore distingue tra Israele o regno della tribù del Nord da Giuda. Il periodo temporale dello studio va dal 1200/1000 a.C. fino alla scomparsa del regno di Giuda con l'età persiana (539 a.C.) cioè all'età del Ferro. In Siria Palestina seguì da allora lo sviluppo di stati “etnici” non dissimili tra loro finché con l’Editto di Ciro (538 a.C.) inizia il periodo detto giudaismo antico.

Merlo puntualizza pure quale sarà il suo metodo d’indagine. Privilegia le fonti storiche primarie cioè contemporanee a quegli avvenimenti, tra cui documenti epigrafici e reperti archeologici o monumentali databili ai regni di Israele e Giuda.

Le distingue dalle fonti secondarie che di quegli eventi hanno solo una conoscenza indiretta. Religione. Già nei patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe c’erano forme monoteistiche, però dopo l’insediamento del popolo nella terra di Canaan si verificò una progressiva decadenza dei costumi religiosi per io contatto con popolazioni “straniere” già residenti in quel luogo.

Tempo. E’ nella prima metà del XII secolo a.C. che il popolo d’Israele s’insedia in Palestina e si verifica un ridimensionamento (poco documentato epigraficamente).

-Il nome d’Israele, la cui realtà etnica e geografica era già presente in Palestina, compare per la prima volta nella stele del faraone Merenptah (1207 a.C.). I progenitori dei regni di Israele e Giuda (così chiamati nel I millennio) sono gli orginari abitanti dell Palestina con latri gruppi sociali come pastori itineranti  che non appartenevano all’economia urbana del Tardo Bronzo.

-All’inizio del I millennio secondo la narrazione biblica Saul diventa re d’Israele per contrastare la minaccia filistea ed ammonita.

Però esistono tre diverse tradizioni sulla sua elezione che presuppongono una forte rielaborazione letteraria delle fonti.

La verifica dei toponimi fa ritenere che il suo governo si limitasse alle zone collinari centrali (esclusa sia la piana d’Israeel con le città di Megiddo e Beth-Shean sia la Giudea.

Dopo Saul, Davide diventa re di Giuda ed Hebron e solo dopo la morte dei figli di Saul anche re d’Israele.

La narrazione biblica gli attribuisce la costruzione di “un impero” esteso fino a Damasco.

Ma secondo le fonti archeologiche sembra che il suo regno si sia limitato alla zona giudaica.

Dopo una lotta di successione Salomone sale sul trono del padre Davide ma una nuova datazione della ceramica del temp che edificazioni attribuibili a lui e al suo saggio governo in realtà appartengano al IX secolo e viene meno ogni certezza sul suo grande regno.

Dopo Salomone si deve supporre uno sviluppo politico indipendente di due regni. Israele più rilevante del piccolo regno di Giuda.

Il primo re citato dalla Bibbia è Geroboamo I (931/909 a.C.) costruttore di due santuari regali a Bethel e a Dan.

Poi, dopo varie lotte, il comandante dell’esercito Omri (884/873 a.C.)  dà vita ad una dinastia più stabile e benché la Bibbia si soffermi sui suoi peccati, in realtà edificò la splendida capitale di Samaria, coltivò alleanze con i Fenici e il suo nome è ricordato negli annali assiri tra i vari re di Siria-Palestina.

Acab figlio di Omri continua la politica di espansione del padre. In questo periodo il regno di Giuda ha minor rilevanza.

Dopo la morte di Acab il re Mesha di Moab si liberò dal dominio di Israele e Hazael diventò re di Damasco e ruppe l’alleanza con Israele. Ma un generale dell’esercito Jehu assunse il potere in Israele: la sua rivolta è presentata dalla Bibbia come le rivincita dello yahwismo appoggiata dal movimento profetico di Eliseo contro il culto del dio Baal praticato dagli Omridi. Jehu si sottomise agli assiri per essere protetto contro Hazael ma questo non si verificò e Damasco s’impossessò di vari territori israeliti.

Dopo varie lotte molto ben dettagliate dall’Autore arriva il regno di Ezechia (726-697) che attuò una gtande riforma culturale sopprimendo i luoghi e i culti on conformi alle norme del Deuteronomio (quinto libo della Torah ebraica e della Bibbia cristiana).

Si schierò con l’Egitto contro il parere di Isaia ma fu costretto dall’assiro Sennacherib  a chiudersi in Gerusalemme “come un uccello in gabbia”.

Succede poi che l’esercito babilonese di Nabucodonosor nel 598 a.C. assedi Gerusalemme, la saccheggi, ne distrugga mura e tempio.

Con l’esilio babilonese il popolo giudaico si divise in due regioni: Babilonia e Giuda.

Nel 539 le truppe persiane di Ciro entrano in Babilonia. Ciro per la Bibbia è il liberatore inviato da Dio.; però pare ciò sia frutto della propaganda persiana e comunque si attua il ritorno degli ebrei dall’esilio babilonese.

Il culto.

Il culto di Yhawh proverrebbe da gruppi nomadi giunti nel XII secolo come si deduce dalla sele di Mosha. In una moneta tardo persiana troviamo l’iscrizione yhd <<Giuda>>.

 

                

 

Nella Bibbia troviamo attestazione del culto di una dea Asherah. Il suo nome vi è citato 40 volte ma può anche riferirsi ad un oggetto ligneo (un palo a forma di albero stilizzato) che la simboleggiava nei luoghi in cui la dea riceveva culto. El testo biblico vi è una forte polemica contro il culto di Asherah definito “straniero” o “cananeo”. E’ indubitabile che questi passi biblici attestino un culto regale in onore di Asherah almeno fino al VII secolo all’interno del tempio gerosolimitano e inoltre la dea era intesa come consorte di Yhwh come si vede anche da questa figura.

 

 

    

Al riguardo si noti anche l’allegria dei due dei e ciò mi fa ricordare come chi è stato in Israele parli dei suoi abitanti come di gente “allegra” pronta a festeggiare coralmente Un carattere che è insito nel loro Dna fin da questi tempi antichi.

          

Il profetismo

Tale parola non esiste in ebraico, deriva dal greco e profeta è colui che annuncia la parola divina all’uomo, cioè il “pro-clamatore”. E’ una pratica che appare correlata all’organizzazione di palazzo o al tempio: è una consultazione preventiva all’azione (ad esempio in guerra: “vai e conquista…”) ed è praticata anche in caso di malattia.

Nell’antico regno siriano del dio Addu di Aleppo si trova un oracolo profetico dal forte richiamo etico: “”Io io dio Addu non chiedo nulla da te ma quando un oppresso o una oppressa si appelleranno a te sii pronto  a giudicare il loro caso”.

La divinazione

Nelle vicine culture orientali antiche il vaticinio divinatorio, l’oracolo profetico, il sogno sono tutti modi leciti e sostanzialmente equivalenti per conoscere il volere divino. Esisteva pure l’osservazione delle viscere di un animale che nel caso di malattia dava la diagnosi e poi assimilandosi alla nostra medicina cercava la guarigione suggerendo il come fare.

Nell’Israele antico si evocavano anche i morti (necromantica) per chiedere un oracolo. La forza del rito magico era una forza religiosa. Per la “magia terapeutica” si possono citare le molteplici guarigioni e purificazioni compiute dai profeti Elia ed Eliseo…

La resurrezione del figlio della donna sunamita (cioè della città di Sunem)  compiuta da Eliseo avvicinando a tutto il suo corpo  il corpo del suo bambino che sembrava senza più vita, può essere considerata un’azione di magia terapeutica.

E per quanto siano simili i comportamenti dell’uomo nel tempo per associazione di idee mi viene in mente la pratica di  poggiare i neonato sul corpo della mamma quando questa ha appena partorito. In quel momento difficile del suo venire alla luce viene rinfrancato dal contatto con la sua mamma (pratica che però una volta non veniva compiuta preferendo accudire il neonato senza accostarlo alla mamma) ma ritengo che sia molto più umano il mettere mamma e neonato a contatto in trasmissione di calore.

Esistevano anche amuleti di protezione e  nella pratica religiosa orientata alla ricerca di protezione contro l’aborto esisteva un amuleto egiziano che raffigura la dea Isis seduta che sorregge Horus poppante.

Mi piace chiudere con questa immagine un libro che ci aiuta a riflettere sul nostro essere più profondo.