INDICE
1)
Marco Travaglio, Scemi di guerra (2023, Paper
FIRST by il Fatto Quotidiano)
2)
Paolo Rumiz, La linea dei mirtilli (2022,
Bottega Errante Edizioni)
3)
Giulio Vignoli e
Achille Ragazzoni, Il pensiero di Nizza (2022, Edizioni
Settimo Sigillo)
4)
Prince Harry, SPARE
Il minore, (2023 Mondadori)
5)
Claudio Papini (a cura di…): G.H. Bousquet,
Vilfredo Pareto, La vita e l'opera (2022, De Ferrari Editore)
6) Giglio Reduzzi, Post
Scriptum (2022 Youcanprint)
“ “ Post
Scriptum 2(2023 Youcanprint)
“ “ I Tre
Cubi di Abu Dhabi (2023 Youcanprint)
“ “
La Teologia del Martello (aprile 2023)
7)
Paolo Possamai, Nettuno e Mercurio, il volto
di Trieste nell’800 tra miti e simboli (2022, Marsilio Editore)
Marco Travaglio
Marco
Travaglio è stato lanciato da Indro Montanelli ed è giunto a fondare un proprio
giornale Il fatto
quotidiano che ha il suo programma già nel titolo: ogni giorno c’è un fatto
che merita di essere messo in evidenza e scandagliato com’è compito del
giornalismo. Questo è il suo decimo libro e per presentarlo parto da una
frase-slogan dell’autore quando un anno fa avvenne l’invasione dell’Ucraina da
parte di Putin: “C’è un paese d’invasi, d’invasori e d’invasati”. Sulla base
del mantra “un aggredito e un aggressore” si è dimenticato tutto ciò che
avvenne in Donbass dopo il 2014 con lo sterminio di 17mila russi o filorussi da
parte degli ucraini. Rimando ad alcuni libri inclusi nella pagina “Guerra” del
mio sito www.marialuisabressani.it
che indagano a fondo questo antefatto.
I due libri che cito di
nuovo sono: In Donbass non si passa
di Alberto Fazolo che combatté sul campo e Ucraina la guerra e la storia dello
storico Franco Cardini e del generale Fabio Mini.
Travaglio ricorda che
fra le vittime c’è stato anche un giornalista italiano ucciso dall’esercito ucraino:
Andrea Rocchelli, un caso simile a quello di
Giulio Regni che però nessuno conosce.
E ricordo ancora una
volta quanto l’opinione della maggioranza degli italiani sia contro il continuo
nostro inviare armi all’Ucraina come esemplificato da una scritta che comparve
su un pilastro di Palazzo Ducale a Genova al momento dell’invasione: “La vostra guerra non è la nostra guerra”.
Ora più che scrivere
una recensione faccio un collage di alcune frasi di Marco Travaglio nell’“Introduzione”
a questo suo nuovo libro.
“Solo abolendo la storia si può
credere al presidente Sergio Mattarella quando ripete che l’Ucraina è la prima
guerra nel cuore dell’Europa nel dopoguerra”. Chiede Travaglio: “E Belgrado bombardata anche
dall’Italia nel 1999 quando il vice-premier del governo D’Alema, partecipe di
quel bombardamento, era appunto Mattarella?”
Non solo, quanto
all’economia – scrive Travaglio - nulla è più falso della previsione che la
Russia, causa le sanzioni, andasse in default dopo l’estate scorsa, mentre noi
siamo costretti ad acquistare gas da Paesi anche meno democratici dell’Ucraina
e chi ci guadagna è Biden che è riuscito a venderci il suo gas liquido scadente, inquinante e costosissimo.
E così a rimetterci siamo proprio noi.
Non solo, la propaganda
americana ha voluto farci credere che la Russia sia isolata mentre i Paesi che
non la sanzionano o se ne restano neutrali sono: quasi tutta l’Asia, L’Africa e
l’America latina cioè l’87% della popolazione mondiale.
Non solo quando perfino
quel fervente “putiniano” che è il Papa
(scrive con ironia Travaglio) è giunto a dire che “la Nato abbaia alle porte
della Russia”, abbiamo forse dimenticato che solo abolendo la storia si può
dire che “la Nato sia un’alleanza difensiva, dato che solo nell’ultimo quarto
di secolo ha attaccato la Serbia, l’Afghanistan, l’Iraq e la Libia che non ci
avevano fato un bel
nulla”.
Succede così che “chi
non pende dalle labbra di Biden, Zelensky e Stoltenberg, ma li critica se
sbagliano è un venduto a Putin”.
Di qui “liste di
proscrizione” di presunti putiniani: Barbara
Spinelli, Alessandro Orsini, Luciano Canfora, Carlo Revelli, Donatella Di
Cesare, Gustavo Zagrebelsky, Angelo d’Orsi, Lucio Caracciolo, Ugo Mattei,
Massimo Cacciari, Alessandro Barbero, Michele Santoro e perfino associazioni
come Anpi, Cgil, Pax Christi, Sant’Egidio e perfino i
generali Fabio Mini e Marco Bertolini. Ne deriva il sottotitolo de libro: “La tragedia
dell’Ucraina, la farsa dell’Italia”; “Un Paese pacifista preso in ostaggio dai NOPAX”.
Non solo, dato che
questo libro di quasi 500 pagine è un diario di guerra giorno per giorno degli
avvenimenti, ci viene ricordato che il 23 febbraio, vigilia una anno fa dell’invasione, mentre
Putin si diceva disponibile al dialogo, Biden chiuse le porte ad esso mettendo
in riga Francia e Germania che interruppero anch’esse ogni contatto con la
Russia mentre il Papa avvertiva: “La pace è minacciata da troppi interessi di
parte”.
Quanto a Zelensky, con
la sua barbetta sempre accuratissima (se la taglia da solo o se la fa
tagliare?) secondo un sondaggio del 14 febbraio (un anno fa) risulta così poco
seguito dai suoi che tre anni dopo le sue elezioni, solo il 23% degli ucraini
lo rivoterebbe e solo 3 su 10 auspicano che si ricandidi”. Ma tant’é… E lui certo che non mollerà con la sua villa a Forte dei
Marmi,ecc.
A tutti noi è capitato
di conoscere qualche ucraino e a me capitò di chiedere ad un’ucraina che vive
in Italia da molti anni, ma che resta innamorata della sua terra, al punto da mostrarmi splendide
foto del paese dove è nata, cosa ne pensasse dell’invasione: piangeva dato che
aveva una figlia e nipotini in Ucraina ai confini con la Romania e mi disse: “Zelensky doveva accordarsi prima…”
Intanto crescono le
vittime ma mentre il numero si stima già in centomila e più e circa lo stesso
da entrambe le parti in guerra a noi i media schierati fanno sapere che i russi
hanno tante perdite e gli ucraini poche. Sembra molto valido quel gelido
pensiero che gli ucraini abbiano speso quasi tutte le risorse umane mentre i
russi siano in un rapporto di uomini di cinque ad uno.
Torno al libro: 5 aprile 2022, Biden coglie al balzo i morti
di Bucha per seppellire i negoziati in Turchia ed
è la stesa cosa che sta facendo ora con la proposta di
pace in 12 punti avanzata dalla Cina per cui ha detto lapidariamente “Se piace
a Putin come può essere buona?”
Bucha: un gran mistero!
Ci fu quel filmato in cui si vedevano i morti che erano stesi per strada
quattro giorni dopo la partenza delle truppe russe e che prima non c’erano. Se
ne vedeva qualcuno che si alzava (morti viventi dunque…) e tutto veniva attribuito
a falsa propaganda russa.
Tornando all’oggi dato
che il lettore avrà modo di farsi la propria opinione lungo queste 457 pagine
del libro c’è qualcosa che mi turba come il giornalista
Bosco trattenuto in Ucraina dopo che gli hanno tolto i filmati e
revocato il permesso perché non appartiene alla stampa allineata; mi turba che
l’Ucraina sia tutt’altro che una democrazia dato che gli oppositori sono incarcerati.
Non solo, sempre nella
prefazione trovo un'autentica "chicca storica” a partire da una constatazione:
i media atlantisti, tutti allineati, ci hanno fatto credere che nei primi mesi
del conflitto mentre i russi avanzavano gli ucraini stessero invece
stravincendo. Quando a
settembre scorso partì la reale controffensiva ucraina con le prime sconfitte russe,
sorse spontanea la domanda su cosa ci
fosse di nuovo. Ecco “la chicca” di commento: nel 1935-36 durante il conflitto
coloniale di Mussolini in Africa Orientale ferveva la propaganda anti-italiana. Allora Leo Longanesi chiamò due giovani
collaboratori, Indro Montanelli e Arrigo Benedetti, e fece loro raccogliere
tutti i dispacci della France-Presse e della britannica Reuters con gli
annunciati disastri della campagna italiana contro il negus Hailé
Selassié, li pubblicò su Omnibus e
infine mise la conclusione: le truppe italiane
sono entrate in Addis Abeba.
Non solo, perché mai
non si parla più dei laboratori per armi biologiche di cui il figlio di Biden
era uno dei finanziatori in Ucraina? Al confronto di questi interessi privati
di un Presidente USA(infatti Biden non poteva non
sapere di suo figlio e magari l’appoggiava) in un Paese straniero diventa più
simpatico Clinton che si trastullava nello studio ovale senza coinvolgere
popoli.
Mi turba come ben ha
scritto Travaglio che molti di noi siano costretti dalla propaganda univoca a
diventare “scemi di guerra” senza un’opinione contrastante, mi turba che
Zelensky affermi (ma non potrebbe fare altrimenti) che la vittoria sarà sua e
del suo popolo e mi viene in mente un delizioso libro che recensii su un
cantastorie dal titolo “Tajadela di qua e di là dal
Po”. Questi mimava Mussolini mentre diceva “vincere” ma intanto indietreggiava
tanto che lo avevano soprannominato “culindré”.
Bravo Marco! E’ stato lungimirante Montanelli nell’individuare in te la
stoffa di voce fuori dal coro.
PAOLO
RUMIZ
Una volta come scrive Demetrio Volcic nella prefazione
al libro (conservata uguale nelle successive edizioni dopo il 1993 fino
all’attuale del 2022) esisteva un manipolo d’inviati di guerra detto affettuosamente
“il Circo” che si spostavano da una zona militarmente calda all’altra.
Tra gli specialisti dei Balcani ricorda Frane Barbieri,
Enzo Bettiza, Dino Frescobaldi e con un senso di rimpianto ma anche di
sofferenza scrive:
“Un po’ si è persa l’abitudine di calare i fatti del
giorno in una cornice storica, sociale e culturale più ampia…, mentre nella Linea dei mirtilli
l’attenzione per il dettaglio è sempre calata nel
mosaico storico e nel contesto generale.
“E’ un fatto che nei Balcani tutte le migrazioni
sono partite dalle montagne per la conquista delle pianure”.
Porta anche un paragone con il tifo calcistico:
“Che cosa accadrebbe se la polizia di uno stadio
spronasse a marciare contro la città della squadra avversaria?” Conclude che
purtroppo la colpa delle classe dirigenti nella ex
Jugoslavia consiste nel mobilitare i criminali e i tifosi, i disoccupati e i
disperati e nello spingerli ad assalire l’avversario, giustificando la
violenza, avvolgendola nella bandiera nazionale”.
“E’
accaduto che l’ultimo stadio del comunismo si è trasformato in nazionalismo”.
Parole severe e pesanti cui Rumiz non ha voluto rinunciare
come prefazione ritenendole più che giustificate. Nella sua Introduzione Rumiz riprende questo filo
affermando: “Come e forse di più di Vento di terra,
questi reportage scritti tra il ’92 e il ’96 in Cecoslovacchia, Ungheria e soprattutto
Jugoslavia, gettano un ponte fra il mio primo libro Danubio,
storie di una nuova Europa del 1990 sulla caduta della Cortina
di ferro, e Maschere per un massacro del
1997 dedicato agli squallidi retroscena del massacro in Bosnia, riletto come
disintegrazione concordata fra mafie anziché come conflitto etnico e
soprattutto come evento europeo e non semplicemente balcanico.
“Un cancro alle frontiere dell’Unione, che l’Europa,
pur di fare i suoi affari, ha fatto finta d’ignorare.” Conclude:
“Dopo l’euforia dell’89, in cui sembrava che i
popoli dell’Est marciassero insieme verso la libertà, la Cortina di ferro si è
riformata e altri muri sono sorti a dividere gli uomini in nome della purezza
etnica. Ed è stato soprattutto in Bosnia dove ho visto la Germania, il Vaticano
e il mio Paese schierarsi con Slovenia e Croazia, mentre la Francia e
l’Inghilterra stavano con la Serbia, secondo lo stesso schieramento della seconda guerra mondiale… Mai come a Serajevo
ho visto l’Europa inutilmente invocata e mai come a Serajevo
l’ho vista tradire se stessa”.
Cosa
significa il titolo del libro?
I Carpazi Bianchi con un’impercettibile linea di
alture segnano il confine tra la Slovacchia e il territorio ceco. (La Repubblica ceca
nacque il 1° gennaio 1993 ed ha per capitale Praga).
Quando l’Autore scrive queste pagine si era verso la
scissione della Cecoslovacchia che comprendeva appunto la Repubblica Federale
Ceca e Slovacca e commenta:
“La ‘linea dei mirtilli’ sui Carpazi Bianchi
potrebbe diventare una cortina di ferro tra due mondi, due economie, due
religioni, due culture, due regimi”. La Slovacchia è cattolica, la Boemia terra
di protestanti, ebrei ed anarchici ussiti. Ma il pregio grande del libro dato
che questa distinzione arriva solo a p. 61 a spiegarci il titolo, è l’arte del
narratore Rumiz che ci conquista. Non dimentica mai di far percepire la storia,
quella che è stata o quella che probabilmente verrà, attraverso storie umane.
Questo capitolo del titolo si apre con l’agricoltore
Vladimir di 44 anni che con la figlia Alzabeta passa
dalla Slovacchia in Moravia a piedi per raccogliere funghi. Quando ne hanno due
canestri pieni e sta imbrunendo risalgono verso la linea di cresta tra i
boschi. Due cacciatori li bloccano, quasi fossero guardie di confine: “Questi
sono funghi moravi, andate a raccoglierli in Slovacchia i vostri porcini” e
sequestrano i canestri.
Il bellissimo Velká Javorĩna il picco più alto dei Carpazi Bianchi.
Un’altra toccante storia è quella di Maša Abul che ha camminato tutta la notte con i suoi due
figli per sfuggire ai serbi. E’ musulmana e vive alla periferia ovest di Serajevo. Suo padre, il vecchio Emir, aveva offerto agli
occupanti cinquantamila marchi in cambio del rispetto della vita e della sua
proprietà.
I miliziani intascato il malloppo gli avevano
tagliato la gola confiscando il suo spaccio di alimentari. Maša alle prime
luci dell’alba crede di avercela fatta e di star per arrivare alle linee degli
alleati croati invece si trova davanti gli uomini dell’Hvo,
cioè delle truppe regolari agli ordini di Zagabria. Scopre così di non essere
una bosniaca ma una “fottuta islamica” e apprende di dover pagare mille marchi
solo per passare la frontiera e altri duemila per salire sull’autobus che la
porterà a Spalato. Realizza che tutto è finito e che la sua Bosnia non esiste
più proprio mentre suo marito, come altre decine migliaia di croati, sta
combattendo a Serajevo per l’utopia di una Bosnia
libera”.
Accanto a queste storie umane che ti entrano in
cuore, ve ne sono altre: quelle di chi si arricchisce con la guerra, la rovina
e l’umiliazione della gente.
Mentre a Serajevo si muore
di fame, manca perfino l’acqua per lavare le ferite negli ospedali, a Kiseljak dove voleva arrivare Maša
i negozi sono pieni perfino di caffè e frutta, talvolta vi arriva il pesce
dalla Dalmazia. E’ “una beffa grottesca” per i
soccorritori occidentali che rischiano la vita organizzando il ponte aereo.
Quei viveri in arrivo dal cielo disturbano il monopolio distributivo della
mafia locale. Sarebbe questa una delle spiegazioni dell’abbattimento dell’aereo
italiano, colpito sopra il lago di Jablanica mentre
portava aiuti umanitari? Questa pagina agghiacciante continua con una
constatazione: “In Croazia i reclutamenti fra i profughi musulmani sono una
pulizia etnica, senza sporcarsi le mani. In Istria e Dalmazia i profughi maschi
musulmani fra i diciotto e i sessant’anni sono rastrellati dalla polizia
militare, caricati su un camion e spediti al fronte. I musulmani di Bosnia
iniziano a scappare anche dalla Croazia perché chi parte per il fronte non
torna mai più.
Venendo all’oggi della guerra in Ucraina ho
conosciuto il marito di una colf ucraina che lavora in Italia scappato per non
essere arruolato da Zelensky, non solo c’è una pagina del libro dove si racconta
che Belgrado si sarebbe procurata dei carri-armati Leopard che richiedono
manutenzioni costosissime mentre osserva l’Autore “i serbi a quel tempo
non sapevano distinguere un trattore da una carro-armato”. Sono passati
trent’anni e oggi in Ucraina anche Zelensky aspetta Leopard e oggi
l’addestramento e la conoscenza del mezzo continua però a richiedere alcuni
mesi.
Nell’evolvere dei tempi viene ricordato come Tito
sia stato veloce a capire l’importanza del business e fin dagli anni Cinquanta
organizzava un massiccio inoltro di sigarette verso l’Italia.
“Bei tempi quelli” commenta l’Autore: “Allora ci si
limitava alle sigarette, ora (1992) c’è la morfina, ci sono i bazooka, il
contrabbando nucleare. La mafia è l’unica multinazionale in grado di portare a
termine la triangolazione droga-valuta-armi
in modo efficiente!”
Il fatto che dal momento della
stesura del libro siano ormai passati tanti anni, mi ha spinto ad una
rapida ricerca su Miroslav, figlio di Franjo Tudman,
che fu il primo presidente della Croazia indipendente. Uomo di scienze e
politico croato si era arricchito importando armi. E’
morto nel 2021 di covid come a dire che con la sorte o il destino c’è poco da
fare e talvolta è quasi un contrappasso.
Nel libro risaltano tanti traffici illeciti intorno
alla guerra nei balcani tanto che sembra quasi
impossibile che oggi tante città Jugoslave conoscano uno splendore di turisti e
una pace che era inimmaginabile. Penso a Mostar al bivio che porta a Medjugorje
(una piccola località che fa parte della Federazione di Bosnia ed Erzegovina)
dove sarebbe apparsa la Madonna a sei ragazzi il 24 giugno 1981 con
parole di pace e all’accorrere di
tantissimi pellegrini mossi dalla fede. L’ultimo messaggio è del 25 febbraio
2023. Però no sono riuscita a ritrovare cosa Rumiz
possa aver scritto di Medjougorje se nai l’ha fatto dato che si è anche addentrato in Africa
mettendo in risalto il significato della croce cristiana per tanti convertiti.
(Il bel volto della statua)
Di questo libro complesso come è stata la guerra dei
Balcani e molto documentato mi piace citare l’apertura del capitolo Metafora viennese: “Gli stessi governi che
hanno torturatori e assassini nella loro polizia sono qui a Vienna, al palazzo
dell’Onu, a parlare di diritti umani”. Sono parole di Pierre Sané segretario generale di Amnesty International che dalle
torri imbandierate dell’Austria Center, sta guardando “con un sorriso al
vetriolo i diecimila delegati, giornalisti e operatori che
Voglio concludere ricordando un vecchio proverbio dalmata,
citato nel libro. “Ama il mare ma tieniti stretto alla terra” con cui
l’Autore introduce un’altra delle sue storie di
uomini e donne inseriti nel contesto di guerra e paesaggio.
Il proverbio ha per così dire introdotto questa immagine : “L’Adriatico scintilla come le neve, le eliche si
lasciano dietro una scia curva di schiuma bianca dai riflessi azzurrini, gli
stessi dei ghiacciai”. E’ un’immagine di rara bellezza
che ci immette nel villaggio di Pago che “profuma di salvia e agnello allo
spiedo, rivendite di vino, rakija, pecorino, miele”.
Ma la guerra ha pesato anche qui come una cappa di piombo che significa milioni
di marchi perduti. Ivan Prtorić in tre anni ne
ha perduti trecentomila. La sua casa bianca con i
porticati alla greca, profumata di alberi di fico, fino a poco tempo addietro osptava numerose famiglie italiane e tedesche. Oggi non ne
è rimasto nessuno e Ivan sopravvive grazie alle ue cento
pecore e al formaggio che vende.
Paolo Rumiz inviato del Piccolo di Trieste è poi
diventato editorialista di Repubblica. Nel 2001 è stato inviato ad Islamabad e
poi a Kabul oper documentare l’attacco degli Stati
Uniti d’America all’Afghanistan talebano. Nei primi capitoli di questo libro
cita diversa volte l’Europa ma con profonda
disillusione anche se ha ricevuto inseguito diversi premi di carattere europeo
ed internazionale come il Chatwin – camminando per il mondo e il Lawrence per
il giornalismo. Ama la bicicletta come altri giornalisti d’antan e penso a
Giorgio Torelli, che con questo mezzo potevano meglio conoscere territorio e
persone. Raccontava pure il viaggio estivo di ogni estate con questo mezzo su Repubblica.
Nei suoi viaggi si è accompagnato con il vignettista Altan, Moni Ovaia, Marco
Paolini. Il so motto è “viaggiare per imparare a vivere”. Tanti i suoi
libri-reportage che ce lo presentano come profondamente amante della natura e
del suo mestiere di poterla raccontare e di raccontare le persone che incontra.
GIULIO
VIGNOLI e ACHILLE RAGAZZONI
La
raccolta completa 1995-2006 de Il pensiero di
Nizza (Bollettino semestrale di studi nizzardi e tendaschi), curata da due storici Achille Ragazzoni e
Giulio Vignoli è stata edita a fine 2022 da Settimo Sigillo. Lavoro di pregio
non solo per la perizia degli autori, ma anche perché vengono denunciate “tutte
le porcherie compiute per permettere l’annessione della città alla Francia”.
Ragazzoni porta un fatto storico incontestabile: “Quando Emanuele Filiberto, il
Duca detto Testa di Ferro, decise d’introdurre il volgare al posto del latino
nei suoi domini, per Nizza scelse l’italiano e ciò parve del tutto naturale
alla popolazione locale. Se Nizza fosse stata di lingua e cultura francese il
Duca avrebbe imposto il francese come aveva fatto per altri suoi territori,
come ad esempio la Savoia”. Sempre in questa sua illuminante prefazione Ragazzoni ci
ricorda che 35 anni dopo l’annessione, Parigi chiuse l’ultimo quotidiano in
lingua italiana e fa un parallelo con l’Alto Adige dove nell’italianizzazione
operata dal fascismo rimasero in vita due quotidiani di lingua tedesca. E conclude:
“E’ davvero grossa che la democratica Parigi debba prendere lezioni di
tolleranza nei confronti delle minoranze linguistiche dalla fascista Roma”.
Cita pure dalla biblioteca paterna un bollettino FERT,
che poi divenne rivista dell’Associazione
Oriundi Savoiardi e Nizzardi Italiani. Questa pubblicazione influì sul suo
immaginario di studente
e lo fece appassionare a quelle vicende. Se ne innamorò tanto da
essere considerato oggi il più documentato studioso di Nizza e del Nizzardo. E
con un altro limpido ricercatore di storia come Giulio Vignoli, conosciuto a
Savona già nel 1976 in occasione di un convegno su Piero Operti, organizzato
dal savonese Circolo Culturale Benedetto Croce, hanno deciso cento anni dopo la
chiusura de Il Pensiero di Nizza, ultimo quotidiano di lingua italiana,
di riproporre una selezione di quella pubblicazione diretta da Giuseppe André
(Nizza 1844-Torino 1939). Questi con la soppressione del giornale rimase disoccupato ma
poi, ironia della sorte, diresse L’Italie, periodico italiano in lingua francese.
Chi volesse approfondire come fu il giornale nizzardo ne troverà un’importante
selezione al seguente collegamento ipertestuale: https://gallica.bnf.fr/ark:12148/cb328349870/date)
Un
anno dopo la ripresa della pubblicazione troviamo un’altra illuminante
“prefazione” di Giulio Vignoli con titolo “Avviso alle
persone intelligenti (e non all’imbecillegente)”
e ciò in risposta al vespaio di critiche suscitate: revanscismo,sciovinismo,
irredentismo. Critiche fin al titolo perché rifà un giornale soppresso con atto
autoritario.
Commenta
Vignoli: “Anche in Francia esistono minoranze nazionali (Occitani, Bretoni,
Tedeschi, Fiamminghi, Catalani, Baschi, ecc.) meritevoli di rispetto, libertà,
protezione. Noi ci rivolgiamo, lo ripetiamo, agli italiani del Nizzardo, per
pochi o per molti che siano”.
La
risposta è venuta da membri di famiglie italiane di origine nizzarda che
riscoprivano le loro radici. Fecondo l’incontro con i discendenti, sparsi tra
Veneto, Trentino e Liguria, di Eugenio Cais di Pierlas, autore di opere che sono classici della storiografia di questa
terra che ci è stata strappata.
Per
capire l’utilità della pubblicazione basta scorrere alcuni titoli “Il Dialetto Nizzardo in veste italiana”, “Villafranca – 700
anni di una città”, “Così Briga e Tenda diventarono francesi, Una Questione
intrigante per Garibaldi”…(Da non
dimenticare che l’eroe dei due mondi nacque a Nizza).
Per
chi legge non è solo interessante ripercorre il territorio storico, anche vederlo
animato da persone di rilievo come Giuseppe Baudoin, medaglia d’oro (1896)
definito “un eroe nizzardo ad Adua”.
Risalta
“tra storia e leggenda” una donna: Caterina Segurana.
Si
narra che la mattina del 15 agosto 1543, sugli assedianti la città, guidati dal Pirata
Barbarossa (Khaireddin Pascià) piombò come una furia
una donna a capo di un pugno di temerari e li costrinsero alla ritirata. A
capeggiarli la Caterina conosciuta con il nomignolo di
Donna Malfatta (=Manufaccia). L’eroismo non bastò
perché pochi giorni dopo Nizza fu espugnata e orribilmente saccheggiata.
Questo
libro in elegante formato (30x21) riserverà molte piacevoli sorprese storiche e
approfondimenti, ma voglio inserire qui parole da una lettera inviatami dal
Vignoli nel gennaio del 2013 con argomento le nostre scelte di voto. Eravamo in
sintonia ed io votai la prima volta partito monarchico per gratitudine perché è
stata Casa Savoia che ha fatto l’Italia e poi votai liberale. Ma i miei “partiti
d’elezione” non appena li votavo presto scomparivano dall’arco parlamentare,
così mi venne da chiedermi per chi mai avrei votato in futuro e fin dove mi
sarei estesa.
Nella
lettera Vignoli mi raccontava che un giorno uscendo dall’Università di Bologna
dove insegnava aveva visto scritto sotto il portico. “Uccidere un fascista non
è un reato” e allora non sapeva nemmeno dove fosse la sede di questo partito.
La sua famiglia il 2 giugno del 1948 aveva votato compatta per la monarchia.
Ricordava
pure un viaggio a Cascais che suo padre gli regalò alla laurea e ne trascrivo
le parole.
“Partimmo
io e mia madre alla ventura, nel senso che non sapevamo nient’altro di quanto
scrivevano Oggi e Gente in allora rotocalchi seri e per
famiglie per bene. Trovai in albergo a Lisbona nell’elenco telefonico il
nominativo Condé de Sarre e telefonai alla segreteria di Villa Azzurra. Mi si
fissò un appuntamento chiedendomi solo come mi chiamavo e dove abitavo. Il Re
ricevette i due sconosciuti, appreso che non avevamo potuto vedere le stanze della
Regina Maria Pia perché in restauro telefonò perché ci venissero aperte. Mia
madre in gran confusione dimenticò la borsetta. Il Re ci raggiunse in giardino
per consegnargliela. Quante cose ci sarebbero da dire…”
Di
Vignoli tante le pubblicazioni dal 1995 con I
territori italofoni non appartenenti alla Repubblica italiana al 2015 con L’irredentismo italiano di Nizza e del
Nizzardo. Il caso Marcello Firpo. E sempre con sguardo ad ampio raggio
cercando le minoranze italiane dimenticate: L’olocausto
sconosciuto (con Giulia Boico) e Repubblica italiana, La cacciata degli
italiani di Corfù – 1944, Rapallo. Nell’Olocausto la tragedia dimenticata
degli italiani di Crimea riguarda il flusso migratorio a quella terra dalla
Puglia in epoca zarista. Nel 1942 Stalin ordinò la deportazione della comunità
italiana verso il Kazakistan. Circa 1300 persone e i bambini morirono quasi
tutti di stenti. Quante cose ci sarebbero da dire…
PRINCE HARRY, SPARE il minore
Nel libro vi sono solo
due foto: la prima è quella con la madre Diana e l’altra è con Megan ad inizio
della parte che li riguarda.
Il libro inizia con “una sorta di premessa”
quasi a voler spiegare il perché Harry secondogenito di Carlo e Diana ha voluto
scriverlo. Ci descrive l’incontro con il padre e il fratello maggiore di due
anni, Willy, dopo il funerale del nonno Filippo a Frogmore
Gardens presso l’antica rovina gotica. Nel prato vi sono sepolti Wallis
Simpson, duchi e duchesse, lord e lady un tempo importanti. Anche Harry
dovrebbe esser sepolto in quel luogo come aveva indicato al suo segretario che
glielo aveva chiesto quando partiva per la guerra. Lo aveva scelto perché gli
sembrava pieno di pace.
E quando arrivano per il colloquio che avevano
stabilito il padre Carlo e il fratello Willy, spalla a spalla con espressione cupa
e minacciosa, ora prova la stessa paura che lo aveva attanagliato quando aveva
camminato dietro il feretro di mamma, quando era andato in battaglia la prima
volta, quando aveva tenuto un discorso in pubblico nel pieno di un attacco di
panico. Altroché pace, padre e fratello sembrano pronti ad un duello.
Sono passati quindici mesi da quando lui
e la moglie sono fuggiti (gennaio 2020) temendo per la propria salute mentale e
sicurezza, poi la telefonata di Elisabetta che gli dice “il nonno è morto”. Ora
ricorda Filippo che era stato il più acceso sostenitore di Diana quando
il fidanzamento con Carlo era ancora segreto e lei era un’insegnante di scuola
materna. Il nonno aveva molte passioni: le gare equestri “di attacchi”, il
barbecue, la caccia, il cibo e la birra ma negli ultimi dialoghi con il nipote
confessava che sentiva soprattutto la mancanza
del lavoro perché “nell’assenza di quello crolla tutto”. In
comune nonno e Diana avevano il modo di abbracciare la vita.
Harry ora vorrebbe pace con i suoi
ricordando quanto sua madre vi anelasse: “aveva girato il mondo più volte, camminato
nei campi minati, stretto in un abbraccio i pazienti affetti da AIDS, consolato
orfani di guerra”. Mamma avrebbe voluto la pace anche tra i suoi figli, tra
loro e papà. Mamma era morta il 30 agosto 1997, Harry di soli 12 anni aveva
camminato dietro al feretro e ne aveva riportato un trauma che cercherà di
curare andando poi da una psicoterapeuta per consiglio della moglie Megan. Ma
Harry ha maturato dei principi anche se si definisce “ruota di scorta”, allora
terzo in successione dopo papà e Willy (poi con altre nascite scenderà nella
lista dato che in Inghilterra non vige la legge salica e le donne possono
salire al trono), Harry però sa questo: “rimanere
fermamente dietro le persone che ami non è forse la definizione o dell’onore, o
dell’amore”.
Prima di proseguire a raccontare
brevemente questo libro-confessione di ben 535 pagine, voglio dire che dopo il Via col vento della mia giovinezza o Il generale del Re di Daphne Du Maurier non mi è capito più di appassionarmi ad una storia
romanzata come questa. Sarà perché Harry ha affidato le sue confidenze perché
le scrivesse a J.R.Moehringer
già autore dell’autobiografia Open del tennista Andre Agassi (successo editoriale)
e di Phil Knight, fondatore di Nike. È stato Premio Pulitzer nel 2000, quindi
ottima scelta. Non solo, una parte importante dei proventi di vendita del libro
sono destinati in beneficenza a Sentebale l’organizzazione
che si occupa di bambini vulnerabili e giovani affetti da Hiv/Aids in Lesotho e
all’Ente no-profit Well Child di cui è patrono da 15
anni.
Il libro si può dividere in tre parti: l’adolescenza
e gli studi che ci mostrano un bimbo molto solo anche se suo padre Carlo è
presente talvolta e quindi Harry stabilisce con lui un profondo legame
affettivo per lui e quella sua mano che talvolta lo ha accompagnato. In questo
periodo stringe amicizia con Henners che vuole fare l’insegnante
e che muore in un incidente con l’auto contro un albero mentre con un compagno
nel mezzo di una festa stavano andando a prendere un lettore CD da un amico.
Harry parla del “muro altissimo che ha nella mente” e che s’interpone tra lui e
i ricordi della morte di mamma al punto che la immagina come stesse giocando a
nascondino con lui e crede sempre che prima o poi tornerà. Quel “muro” diventa
fisicamente l’orda di fotografi, il supplizio cui i reali devono sottoporsi,
anche se poi vorrà vedere le cartelle della morte di mamma, vorrà come il fratello
Willy percorrere quel tunnel fatale sotto il ponte dell’Alma a Parigi, così dritto
dove sembra impossibile poter avere un incidente. E della mamma ha sempre
ammirato “il soldato che era in lei”
anche quando fronteggiava papà Carlo.
Poi viene l’esperienza fondamentale
nella vita di Harry proprio il suo diventare soldato e l’amore per l’Africa,
per il Lesotho, epicentro dell’epidemia globale di Aids nel 2004. Prova anche il
senso vivo dell’amicizia, dell’esser unito ad altri intorno ad un falò notturno.
Entra nella Royal Military Academy di Sandhurst e intanto il padre ottiene dalla nonna (a
malincuore da parte di lei) l’autorizzazione a sposare Camilla e anche lorio
accettano, ma è moltlo interessante leggere quelle
due pagine 138/39 dedicate a quel fatto ed Harry in conclusione non ha dubbi
che quel matrimonio avrebbe allontanato il padre da loro. Diventa “soldato” in
Afghanistan, pilota di elicotteri Apache, uccide 25 talebani ma pensa per l’indottrinamento
militare avuto di non doverli considerare persone, ma solo in funzione dell’obiettivo
da raggiungere. Questo addestramento ricevuto ha pagine terrificanti come l’esser
vittima di un agguato terroristico dove la sua forza mentale viene messa a dura
prova e dove perfino un carceriere gli si presenta chiedendogli se sapesse che
sua madre Diana quando morì era incinta. Poi è richiamato a Londra perché la
sua identificazione da parte del nemico metteva a repentaglio non solo la sua
incolumità anche quella dei compagni.
Periodo di spaesamento ma l’incontro con
Megan con un amore a prima vista gli dà un nuovo scopo.
Belli questi due ragazzi specie quando
Harry abbraccia e si identifica nel “piano” di Megan che l’ha portata a girare
il mondo ad essere volto pubblico di alcune aziende, imprenditrice, attivista,
modella, attrice e che si riassume in queste
parole: “aiutare gli altri, fare del bene,
essere libera”. Belle le loro risate di giovani innamorati, la
loro fiducia e speranza nel futuro poi guastata dall’assedio dei fotografi a Londra
ma soprattutto dai dissidi familiari e alla base di ciò spesso c’è Camilla: “papà
e Camilla non volevano ad esempio che Willy e la moglie Kate attirassero tanta
pubblicità, non apprezzavano che la coppia distogliesse l’attenzione da loro e
dalle loro cause”.
Camilla è la fonte che ha fatto trapelare
il dissidio tra Kate e Megan per gli abiti delle damigelle al matrimonio.
L’addetta stampa di Carlo e Camilla
aveva dipinto un viaggio di caccia di Harry nel 2017 come fosse un barone secentesco
assetato di sangue a trofei ed era stato in pratica un baratto per non far comparire
articoli sul figlio di Camilla che andandosene per Londra aveva suscitato volgari
commenti con il suo comportamento dissoluto. Camilla aveva anche collaborato
con Geordie Greig caporedattore
del Daily Mail e il suo scopo era dare
una cattiva stampa su Willy e Harry per non distogliere l’attenzione da sé e
Carlo, per non farsi mettere in ombra da eredi più attraenti.
Non a caso questo giornale definì Meg
(Megan) un’arrampicatrice sociale passata dagli schiavi ai reali. Anzi Harry l’avrebbe
scelta perché le “straniere” come lei sono più facili delle ragazze della
giusta provenienza. Anzi nei post sui social media era definita “yacht girl,
escort, sgualdrina, stronza e puttana e negra”.
Per converso in questa terza parte del
libro oltre agli screzi familiari che fanno apparire i reali peggiori di una
qualsiasi ordinaria famiglia, mi ha colpito invece favorevolmente il periodo
dell’innamoramento di Harry e Megan, da parte di lui senz’altro amore a prima
vista, da parte di lei uno scatenarsi di pianti irrefrenabili per le cattiverie
della stampa, ma prima di tutto fra di loro tante, tante risate: due ragazzi
giovani, innamorati e felici nonostante tutto. Un loro piccolo paradiso che gli
altri, Camilla inclusa, non potevano penetrare o scalfire.
Preciso che non aprirò la Tv quando ci
sarà l’incoronazione del “borghese” Carlo e della sua consorte “strega” (ne ha
l’aspetto) e mi dispiace non essere tra coloro che li hanno gratificati con uova
marce. Sono faziosa, anzi faziosissima, ma non mi piacciono proprio, non hanno
nulla di regale e non mi commuove che il povero Harry sia sempre rimasto grato
al padre per la mano che lo ha accompagnato nel vuoto lasciato da Diana e che
lo descriva così dedito al suo lavoro che talvolta cadeva addormentato sul
tavolo mentre si occupava delle sue cause ambientaliste. Come futuro re avrei
voluto un interesse più vivo per i tanti problemi della sua gente più che per l’ambiente
in cui vivono o vivranno.
A cura di Claudio Papini
G.H.
BOUSQUET
Ad
agosto del 2023 sarà il centenario dalla morte di Vilfredo Pareto, scrittore,
economista, filosofo, fondatore della Sociologia, che è stato "criticato,
respinto, ingiuriato, aborrito persino” come scrive nella presentazione al libro che lo
riguarda il professor Claudio Papini.
Libro pubblicato da De Ferrari a fine 2022.
Pareto
ebbe il “riso raro e il parlar chiaro"
tipico dei genovesi: suo padre Raffaele, ingegnere, in quanto seguace del
repubblicano Giuseppe Mazzini, si era esiliato da Genova dove ebbe origine la
sua antica famiglia gentilizia e aveva sposato una francese. Vilfredo nacque a
Parigi, ma quando nel 1858 fu proclamata un’amnistia seguì i genitori in
Italia, dove fece solidi studi classici e poi entrò alla Scuola Politecnica di
Torino. La sua formazione intellettuale ebbe questa duplice influenza. L’umanesimo greco-latino e la scienza matematica. Diventò direttore generale delle Ferriere e
nel 1893 ebbe la cattedra di Economia Politica di Losanna
che prima era stata di Léon Walras. Dapprima non ne
era stato estimatore, ma grazie ai Principi di
Maffeo Pantaleoni, se ne entusiasmò, e scrive: “Avevo letto Walras;
avevo lasciato da parte l’oro per non vedervi che la ganga sterile dei
ragionamenti metafisici…ricominciai a studiarlo e questa volta potei trovarvi
l’oro, cioè il concetto di equilibrio economico”.
Come
nasce il libro di Papini? Vuol essere un contributo per il centenario
riprendendo il volume di G.H. Bousquet che è stato allievo di Pareto e che ne
pubblicò “vita e opera” nel 1928 presso l’Editrice francese Payot. Il Bousquet
scrive di aver adottato un procedimento sintetico
per descrive il pensiero di Pareto e ci ricorda: “La vita di S.
Paolo o quella di Sant’Agostino non si lasciano cogliere ‘sinteticamente’ e
ancor meno si comprende sinteticamente l'opera artistica di Bellini (Giovanni)
o di Turner, né si può avere un unico punto di vista sul pensiero economico di
Carey che, libero scambista, si convertì al protezionismo. ..
Ma - conclude Bousquet- il pensiero scientifico di Pareto si svolse con deboli variazioni per cui la sintesi è giustificata. La sua opera
si sviluppò regolarmente dal primo libro il Corso
d’Economia Politica fino al Trattato di
Sociologia”.
Pareto,
chiamato il Galileo delle Scienze Sociali, fu uno dei fondatori della
Sociologia, nata in ambito della scuola comtiana (ragion per cui non piaceva a Marx).
Si
vede come ci sia un forte filo che unisce queste persone di studio e acuta
intelligenza (Pantaleoni, Walras, Pareto, Bousquet,
Papini stesso): sull’opera dell’uno si costruisce quella del più giovane. Ma
poiché per voler leggere un libro ci vuole qualcosa che ci spinga a meglio
conoscere l’uomo che ne è protagonista mi soffermo sulla lunga nota 4 di p. 17 della biografia
che ci descrive villa Angora (dal nome dei felini amati da Pareto) a Céligny, dove si ritirò per i suoi studi e dove morì. La nota è un estratto di un articolo comparso
sulla Settimana Letteraria di
Ginevra l’8 settembre 2023. “Un laboratorio è stato sistemato al primo piano della veranda a vetri…
Due o tre gatti d’angora vanno e vengono nel silenzio di questa surriscaldata…
E arriva l’ora della cena. Le due credenze sono degli altari carichi di tutti i
frutti della stagione, di frutti esotici e canditi, di torte e di pasticcerie.
Su un tavolino di servizio ci sono dieci o quindici bottiglie che il maestro è andato a cercare egli
stesso nella cantina, sturandole di persona. Sono i vini più rinomati di
Francia, di Spagna e d’Italia, del Reno, del Vaud, del Valais
e dei cinque continenti… C’è nella casa una biblioteca enciclopedica al primo
piano e nel sottosuolo la più bella cantina del paese…Al dessert un grande
armadio è aperto e tutti i liquori della terra si offrono alla scelta degli
invitati. Parecchi tra loro sono stati fabbricai nella villa, così come le
acque minerali e parecchi farmaci, poiché il fondatore della Sociologia scientifica
non è soltanto economista, ingegnere e traduttore dell’Antologia,
è anche farmacista e chimico.
Dunque
una villa ed un’ospitalità da sogno, degna di un buon tempo antico, ma una
frase basta a farci entrare ancora di più nel cuore dell’uomo: "E' veramente
assurdo pretendere che l'uomo debba essere previdente in tutti gli atti della
sua vita, salvo in uno, quello, che è tuttavia dei più importanti, di dare la
vita ad un essere umano”. E ancora quando è l’economista a parlare un’altra
frase importante: “L’imprenditore trasforma il risparmio in capitale”. E vallo
a far capire agli operai
che nella lotta di classe sono stati fuorviati da questo cammino
di mutua cooperazione.
Voglio
anche ricordare una delle sue battaglie più dure, quella contro il protezionismo.
“Quali
sono stati i risultati della tariffa protezionistica del 1887?” Pareto
interroga le statistiche di alcuni anni dopo .
"Dimostrano che il totale del commercio estero è diminuito e in
particolare le esportazioni. I vini italiani, gli altri prodotti agricoli e i
prodotti industriali protetti hanno visto le loro esportazioni
considerevolmente ridotte. Tutta questa protezione è anti-democratica.
Essa ha aggravato la miseria degli operai. I diritti d’entrata sul grano e
altre imposte indirette hanno intralciato il miglioramento della loro
condizione.”
E’
questo un libro che non si può leggere velocemente né recensire a volo
d’uccello, ma da meditare per le tante verità che contiene e prima fra tutte
che uomini come Pareto sono stati giganti lungimiranti sul futuro e
sull’evoluzione delle classi sociali.
Intraprese
lo studio dei fenomeni di prezzo, produzione, consumo che non sono indipendenti
ma collegati perché esiste interdipendenza tra tutti gli elementi del mercato.
Non solo è stato il primo a dare la formulazione sulla “ripartizione
dei redditi” e la sua curva, vedi il suo Cours. La sua curva permette di
studiare il meccanismo della distribuzione della ricchezza perché la disuguaglianza diminuisce con il crescere del reddito medio
e l’aumento della ricchezza provocherebbe un accorciamento delle distanze.
GIGLIO REDUZZI
Non
si perde mai il vizio o la virtù di scrivere come è il caso di Giglio Reduzzi che dopo tanti saggi ci consegna questo agile Post Scriptum. Da subito ce ne spiega la
ragione: nato nel 1935, bergamasco di Ponte san Pietro, trasferito a Genova per
lavorare alla Piaggio aeronautica, confessa che non lascerà più questa città.
Qui ha figli e nipoti ed è ormai un innamorato di Nervi dove vive e che è stata
meta ottocentesca di tanti artisti e
scrittori. Però proprio nel finale di queste poco più di cento pagine riserva
un amarcord al Bar Piccardi che al tempo della
sua giovinezza era nella sua città natale punto di riferimento per le persone:
“Non c’è più la comunità che si raccoglieva in quel luogo, né il senso di
appartenenza che vi si respirava”. Anzi ora non vi si parlerebbe più il
bergamasco perché nessuno lo capirebbe e camminare per le sue strade è come essere a New York per l’incontro
con persone di ogni nazionalità comprese alcune che non disdegnano di usare gli
stessi abiti che metterebbero nel loro paese d’origine. “E’ l’effetto dei
‘porti aperti’ della politica italiana di Lamorgese”, commenta e che era
ministro quando scriveva queste pagine.
Nel
retro di copertina un omaggio del cuore al suo borgo natìo con una foto dove
emerge la torretta della sua casa d’origine.
Ma
oltre ai suoi temi
consueti, politica e religione (di cui
non bisogna parlare a tavola onde evitare fratture), la sorpresa del libro è in
un nuovo interesse dell’autore: l’astronomia. In quattro capitoli ci parla di
un costoso
passatempo da miliardari, rappresentato dalle imprese spaziali. I suoi quattro
lunghi post hanno come titolo: L’Enigma Terra,
Stelle che delusione, Come scelgono i ministri, Andiamo su Marte. La sua
tesi è che i soldi spesi in queste spedizioni sarebbero meglio utilizzati sulla
terra ad esempio per bonificare zone desertiche.
Ricorda la strada che negli Emirati Arabi Uniti porta dall’aeroporto ad Abu Dhabi e dove prima
c’era solo deserto ora svettano palme.
Questa
volta mi permetto però
di essere u n po’ in
disaccordo con Giglio perché dalla ricerca scientifica scaturiscono sempre cose
impensabili ed utili per la nostra quotidianità futura.
Giglio
cita con ammirazione
chi collaborò all’impresa dalla sonda spaziale Rosetta,
persone che lavorarono duramente per essere selezionate ma che ebbero belle
soddisfazioni paragonabili a quelle che provarono Neil Amstrong (quando mise
piede sulla Luna) o ad Howard Carter (quando entrò nella tomba di Tutankhamon).
E si chiede invece chi selezionò i vari ministri Toninelli, Bonafede, Azzolina
e lo stesso Giuseppe Conte? A loro proposito non può che provare tristezza (e torno ad andare
d’accordo con l’autore). Queste riflessioni gli sono state suscitate dal libro Il cacciatore di comete di Paolo Ferri.
I
primi due capitoli del Post Scriptum riguardano argomenti che l’autore ha già
trattato ma che è bene siano ricordati e divulgati come il significato della
frase Mamma li Turchi. Ci ricorda
infatti come i turchi (al tempo islamici fanatici) facessero davvero paura dato
che Maometto, fondatore dell’Islam, pensava che il suo movimento dovesse
espandersi con la spada e non con il perdono come predicato dal cristianesimo. Ci
ricorda pure Papa Leone
perché dopo che i saraceni invasero e saccheggiarono Roma per
difendere il Vaticano fece erigere mura di cinque km. con 44 torri. Una torre
la vedono anche i nerviesi nella loro passeggiata e quando
arrivano i turchi dovevano scappare sulle alture circostanti per potersi
salvare.
L’autore
entra anche nel vivo della questione religiosa e di Papa Bergoglio, per lui
troppo incline all’accoglienza. Dopo un incontro ad Abu Dhabi, il 15 novembre
dello stesso anno l’Imam fu ricevuto in Vaticano dove presentò al Papa una
planimetria per la prima struttura unitaria delle tre religioni abramitiche.
Gli entusiasti di questo “progresso” hanno ipotizzato la nascita di una nuova
religione il cui nome potrebbe diventare Chrislam,
acronimo di cristianesimo (detto all’inglese) ed Islam.
Però
c’è una parte del libro, quella finale, fatta di brevi capitoletti che spinge a tante,
tante riflessioni. In poche righe a pag. 90 è profetico del disastro odierno
(26 febbraio 2023) di Crotone con il naufragio della carretta del mare
proveniente dalla Turchia. Riferendosi
ai gommoni che vengono dal nord Africa scrive: “…partono sovraccarichi e con una scorta di carburante
insufficiente per l’intero percorso, per cui se la nave (Ong o Guardia
costiera) non arriva in tempo, e magari il mare è grosso, sono… cavoli amari”.
In
questi “Post assortiti” come li
intitola ricorda il rito della Messa celebrato all’antica e afferma di avene
trovato uno e non l’ha più mollato perché “tutta un’altra cosa…”, e però
conclude che gli
sembra di esser tornato al tempo delle catacombe.
Nel
finale del libro come per le cose che devono restare più impresse stila un promemoria
delle differenze nel rapporto fra datore di lavoro e dipendente in Usa e
qui da noi. Conclude che in Italia il datore di lavoro è obbligato dallo
Stato e dal Sindacato a trattare il lavoratore come un individuo incapace di
governarsi da solo e di conseguenza provvede a pagargli le tasse, gli accantona
i soldi delle ferie e gli fa pagare la quota dovuta all’ente pensionistico…
Capitolo
molto interessante è quello sull’Ucraina e sui regimi autoritari tipici
dell’America Latina e del mondo orientale con eccezione di Singapore, esempio
di modernità e anche di disciplina al punto che gli studenti vanno a scuola ancora in
divisa e le sfilate tipo “Gay Pride” sono proibite.
In
breve pur se le pagine sono appena un centinaio c’è molto
da poter condividere o magari criticare, ma soprattutto molto per riflettere.
Prima
di questo scritto potete vedere una foto di Giglio e della moglie Pierangela, insieme su una
panchina dopo tanti anni di matrimonio (sessanta?) e possiamo concludere che
sono bravi, belli e fortunati.
POST-SCRIPTUM
2
La
passione di scrivere di Giglio Reduzzi e di voler
esprimere le sue opinioni su due temi principali “Politica e Religione” ha dato
vita a questo suo Post Scriptum 2 in cui sentiva di dover aggiungere
qualche riflessione a quelle espresse nel precedente testo.
Inizia
con Proposte per una vera rivoluzione scolastica basata su due punti
essenziali:
1)togliere
valore legale ai diplomi di laurea in modo che un laureato in Bocconi senza
lode non possa esser equiparato ad un altro che si è laureato magna cum laude ma in un’università di minor prestigio;
2)
operare la selezione degli insegnanti su base regionale e non nazionale in modo
che i vincitori di cattedra non siano costretti a spostarsi per centinaia
chilometri da casa.
Tra
altre sue illuminanti riflessioni anche quella che nei Paesi civili le sei ore
quotidiane d’insegnamento vengono spalmate tra mattino e pomeriggio lasciando
nel mezzo un intervallo per lo sport. Ciò sarebbe in sincronia con gli orari di
lavoro dei genitori e conclude – un po’ sconsolato – che invece il nostro
discorso si focalizza solo sul fatto che i nostri insegnanti sono i meno pagati
d’Europa.
Segue
un capitoletto di una pagina sul mistero di Mediaset in cui si chiede perché Controcorrente
sia stata affidata a Veronica Gentili che sprizza anti-destrismo e anti-salvinismo da tutti i pori invitando nei suoi programmi tutti
i leader della vecchia sinistra da Pasquino (però sempre intelligente) e
Padellaro a Caprarica (sempre più antipatico). Nelle parentesi ho incluso pensieri
della mia insofferenza.
Non
posso soffrire Veronica che quando intervista sembra un cane da punta
come pure è stata Barbara d’Urso.
Non
sopporto il vezzo delle nostre giornaliste televisive di tenere sempre una
penna tra le dita anche se non devono scrivere né sottolineare, uso che risale
a Gianni Granzotto ma che nella loro scimmiottatura mi avvilisce come se non ci
fosse mai alcun progresso almeno nel sapere come tenere le mani quando si parla
in pubblico.
Altra
riflessione di Reduzzi riguarda i capannoni abbandonati
dalle aziende cui bisognerebbe imporre di abbatterli non solo di dismetterli in
quanto diventano sedi ideali per rave parties o per traffici illeciti.
Ci
vorrebbe così poco per usare un poco di lungimiranza governativa…
Succoso
anche il brevissimo capitoletto intitolato Una bella rivincita dove ci
ricorda che nel 2022 Rishi Sunak
è diventato primo ministro della Gran Bretagna. Di stirpe indiana (e fino al
1947 l’India era una colonia britannica), ora governa il Paese che fino ad
allora governava il suo.
Non
mancano le stoccate al Pd ma mi soffermo su La guerra in Ucraina per
capire meglio cosa ne pensa di questo problema che ci attanaglia tutti.
Giglio
fa notare che Putin non accetterà mai di soccombere per non perder lo status di
grande potenza che ostenta e se anche Zelensky dovesse prevalere si ritroverebbe
con un territorio ridotto in macerie. Non solo se l’avversario ha un seggio nel
consiglio ONU e possiede la bomba atomica la sua vittoria è abbastanza scontata.
Il
Post Scriptum 2 chiude con una ventina di pagine dedicate ad un saggio
su Berlusconi con la constatazione della sua ennesima assoluzione
in un processo, la 135esima assoluzione a fronte di
136 processi.
Evidente,
dunque, che Berlusconi più che un perseguito era un perseguitato e già nel 2010
Giglio aveva scritto un saggio in lingua inglese e stampato in America per spiegare
agli amici americani perché ci fosse tanto accanimento contro questo leader,
saggio ancora disponibile in versione digitale su Amazon.
A
questo punto m’inserisco io (cosa che chi commenta o recensisce non dovrebbe mai
fare e quindi chiedo scusa) con un parallelo tra personaggi tanto amati e
odiati in vita senza che tra loro ci sia alcuna affinità o possibilità di
equiparazione.
Napoleone che mise a ferro
e fuoco tutta l’Europa del suo tempo morì in esilio a Sant’Elena ma subito post
mortem uscì il 5 maggio del Manzoni:
“Ei
fu. Siccome immobile, / dato il mortal sospiro, /
stette la spoglia immemore/ orba di tanto spiro. / Così percossa, attonita/ la
terra al nunzio sta”.
John Kennedy: chi non
ricorda quel mesto passaggio del suo feretro verso Arlington con la gente
dolente schierata dovunque lungo le strade?
Berlusconi: lo stesso dolore
lungo le vie del passaggio da Arcore fino a piazza del Duomo a Milano
strapiena.
Non
si può fare alcun paragone tra questi uomini – lo ripeto – però voglio inserire
questo mio scritto da giornalista per testimoniare una volta di più l’odio che
perseguitò Berlusconi.
Brescia
11 maggio
A Brescia, nella piazza del PDL per Silvio
Berlusconi, c'ero: per difendere la sua libertà di perseguitato da vent’anni
dai processi, da quando scese in campo per difendere la nostra libertà dalla
gioiosa macchina da guerra della sinistra. Si vuole eliminarlo per via giudiziaria
in quanto "il politico che si è interposto tra potere e comunisti".
Quando nella piazza con 15mila persone (avvertite e
resesi disponibili in soli due giorni dalla condanna Mediaset) in molti si misero
a saltellare al "salti chi comunista non è", Berlusconi ammonì: <<Siamo
al governo con i comunisti, sosterremo con lealtà il governo>>. In
questa emergenza di lavoro e vite rinunciate da chi non ne può più, ora è di
nuovo come con Efialte nella Grecia di Pericle, culla
della democrazia: eliminava gli avversari politici con i processi giudiziari.
E un cartello denunciava: "Bocassini Basta
Balle. Basta Processi Infondati".
Un altro diceva: "Silvio non pensare ai
processi, la tua vita è tutta di successi". Avrei voluto lo vedesse un compagno
di liceo che invitai ad accompagnarmi a questa manifestazione per toccar con
mano la piazza della "voglia di cambiar pagina contro l'Italia della rabbia,
della violenza, dell'odio", come aveva detto Berlusconi a Roma, 23 marzo
prima manifestazione della mia vita. Il compagno in quanto Dc mi aveva dato i
contatti in Regione per il mio primo articolo sul Giornale (gennaio 1983) sull'equo canone. La moglie, sua compagna
di partito, mi aveva allora redarguito: "Montanelli invita a votare Dc
turandosi il naso e tu vuoi scrivere per quel Giornale da turarsi il naso?" Ora il compagno di liceo è
passato al Pd, cosa che gli sembra naturale (dalla Dc al Pd, stessi valori?).
Ad ogni elezione non manca d'ammaestrarci, noi compagni di liceo, per chi
votare: <<Vota Doria sindaco, vota il Pd>>. Mi ha risposto: <<A
Brescia, dal vecchio mal vissuto? Mai>>. In piazza qualcuno tra la gente
ricordava che Berlusconi dà il pane a 54mila famiglie, perché il lavoro gli
imprenditori lo creano, non come i politici, nuovi Santi che distribuiscono
posti statali (a loro nulla costarono), per averne ritorno di voto. Un altro
cartello diceva: "Qua qua qua,
Annunziata vieni qua, al Paese delle Meraviglie", (la piazza del PDL, non
quella dello scurrile Crozza).
La
cronaca. Dall'arrivo a Brescia con il pullman dalla
Provincia. Sull'altro da Genova c'erano: …, cui ho manifestato la stima per le
sue lettere alla redazione, la signora …, i … che avevano figli negli scout di
Nervi-Quinto con i miei.
(I puntini stanno per nomi e cognomi dato che per
persone potrebbero non gradire essere nominate e dovrei chieder loro).
All'uscita dal metrò, stazione Vittoria, vicina a
piazza Duomo della manifestazione, un cronista con telecamera chiede ad una
signora di Chiavari, bandiera PDL in mano: <<Vi hanno pagato?>>
Lei: <<Sei matto?>><<Da dove venite?>> <<Da
Genova>>. <<Non è rossa?>> <<Per far cambiare, siamo
qui>>.
Da giornalista sono qui per registrare gli umori
secondo l'insegnamento del primo caporedattore: <<Non scrivere con 'i sederi
di pietra' sulle sedie di redazione, andare di persona, ascoltare, vedere>>.
Ricordo un bravo critico di cinema al Giorno
che raccontò come da giovane si recasse, a spese proprie, ad ogni Festival di
cinema o a seguire grandi registi.
A Brescia, mangiai un panino alle tre del pomeriggio
(all'arrivo dopo esser partiti alle 11) con una signora … di Nervi, vedova,
madre di cinque figli, di cui uno carabiniere. Eravamo in piazza della Loggia
(contigua a quella del Duomo), dove sotto i portici una lapide ricorda la
strage del 28 maggio 1974. Vi era in corso la contromanifestazione dei Centri
sociali, Sel, Movimento Cinque Stelle. Lei andò a
cercarsi un ombrellino anche se le avevo suggerito di aspettare il
"miracolo del sole" di Berlusconi, che poi non ce l'ha fatto mancare.
Avvicinata da un energumeno che disse: <<Non ti vergogni?>>,
rispose: <<Vergognati tu, non ho paura>>. Quando passammo nella
piazza della nostra manifestazione, due ragazzi dell'Eco di Bergamo la intervistarono su cosa pensasse del Processo Ruby.
Rispose: <<Che strano un processo
con il colpevole dove manca la vittima che tale non si dichiara>>.
E che male c'è nella riforma della giustizia come l'ha
promessa Berlusconi? "Responsabilità civile dei magistrati (devono pagare
di tasca se hanno rovinato una vita come ha chiesto il Referendum
popolare disatteso ma il Popolo è o sarebbe sovrano), separazione delle
carriere, parità tra Pm e Difesa, riforma intercettazioni, ripristino vero
segreto istruttorio".
E su Tortora? Le figlie, giornaliste una a La7,
l'altra a Repubblica, soffrono con
evidenza della sindrome di Stoccolma (fascinazione della vittima per il
carnefice), ma Berlusconi lo ha chiamato in causa solo perché capofila più noto
delle vittime distrutte da errori giudiziari, solo per far sue le parole che
disse ai giudici: "Sono innocente e
spero, dal profondo del cuore, anche voi siate innocenti".
Dopo le 19 sfolliamo dalla piazza, tutto il discorso
di Berlusconi e la nostra concentrazione sono stati disturbati da grida e fischi
dei contro-manifestanti, esondati a fondo piazza. Nella via dritta al palco,
prima dell'arrivo di Berlusconi, era già stata bruciata una bandiera del PDL.
La risposta dei pidiellini è stata cantare Fratelli
d'Italia (fischiato dagli altri), gridare "Silvio, Silvio" per sovrastare
la caciara. Lui si fermava sorridendo: <<Avete capito che per l'età ho
bisogno di qualche pausa>>, però era commosso.
Sfollare significò passare davanti al cordone di
polizia con i manifestanti che li superavano con le braccia tese a pugno e insultavano:
<<Ladri, Vergogna, Buffoni!>> Qualcuno aveva maschere in volto,
tanti i piercing e pitture. Molti giovanissimi.
Mi rinacque uno spirito da vecchia professoressa
anche se non diedi mai meno di quattro perché umiliante. Mi dicevo: <<Bisogna rimandarli a scuola per
imparar rispetto>>. Ad alta voce ripetevo il mio voto per loro: <<Quattro?
No, due. No, zero. Anzi, zero assoluto>>, ora ne capivo il significato.
Nel girare l'angolo dei rivoltosi (mi era stata data una bandiera da una compagna
di viaggio), un ragazzo smilzo, ma atletico, e riccioluto, me la sfilò
dall'asta e, con un salto due metri in là, ne fece brandelli. Alzai l'asticella
per dargliela in testa come in piazza mi aveva detto d'aver fatto un'insegnante
al lancio del calco del Duomo contro Berlusconi. In testa ad uno dei compagni
di Tartaglia aveva sbattuto un ombrellino di quelli flessibili, da due euro. Un
pidiellino sconosciuto (un questore) mi fermò: <<Andiamo. C'è rischio
scatti il panico con fughe e gente calpestata>>. Pensai alla sua responsabilità
di questore. Dissi: <<Ignoranti e intolleranti!>>
A Genova, al ritorno dopo mezzanotte, ho cercato il
significato per "intollerante" sul grande Battaglia (Utet) seguendo
il consiglio di Cesare Marchi d'Impariamo
l'Italiano che consigliava di leggere il Dizionario. Ho trovato di Guido
Piovene: <<Un impulsivo, con
qualche irriducibile fissazione, che non ha leggi e perciò s'opprime di regole;
gretto, ristretto, finto, intollerante>>. E la dizione generale: <<Chi
non sa o non vuol esser contraddetto, chi non ammette in altri errori, chi è
negato a longanimità, indulgenza, comprensione>>. Amara
Italia!
di Maria Luisa Bressani
I TRE CUBI di ABU DHABI
di
Giglio Reduzzi
Come ho spiegato l’altra passione di Reduzzi, e da una vita, oltre alla Politica è la Religione.
Quindi potete immaginare quale sfregio abbia rappresentato per lui il
vedere i tre grandi templi a forma di cubo delle religioni monoteiste tutti
insieme ad Abu Dhabi.
La cronologia degli eventi da lui attentamente
considerati è questa:
1) 3 febbraio 2019
Papa Francesco si reca ad Abu Dhabi dove incontra l’Imam Ahmed Al-Tayyeb
2) 4 febbraio 2019 i
due personaggi firmano entrambi il Documento sulla Fratellanza Umana
3) 19 agosto 2019 a
Roma è costituito l’Alto Comitato e lanciata l’idea di dedicare un giorno dell’anno
(il 4 febbraio in onore dei due cofirmatari del documento) alla Fratellanza Umana
4) 15 novembre 2019
l’Imam presenta al Papa la planimetria della costruenda Abrahamic
Family House
5)4 febbraio 2021
il Segretario generale dell’ONU (Antonio Guterres) aderisce all’iniziativa di
istituire la Giornata della Fratellanza Umana
6) 16 febbraio 2023:
solenne inaugurazione ad Abu Dhabi dell’Abrahamic
Family House.
Seguono alcune belle immagini
di questi templi nel loro interno, una foto dell’Alto Comitato.
Una mia critica:
è vero che Dio è il sommo nelle tre Religioni monoteistiche quindi si potrebbe
o dovrebbe andare verso un ecumenismo senza più distinzioni, salvo che noi
cristiani abbiamo il perdono molto meno praticato nell’Islam e l’Ebraismo
sembra una Religione antica, superata nel tempo dal Cristianesimo pur se ne
rimane il Padre.
Da considerare pure che
noi europei ci sentiamo ancora al centro del mondo mentre questo Papa venuto da
lontano non può che avere una visione diversa e globalmente più allargata.
Queste sono solo alcune mie considerazioni.
Molto interessante mi è
sembrata l’Appendice che tocca due argomenti:
1) La prossima
elezione dell’UE con la speranza che ne esca una Commissione nuova, più allineata
con le posizioni italiane (governo Meloni) ma soprattutto più comprensiva dei
problemi dei Paesi mediterranei (Spagna, Italia, Grecia, Portogallo, Cipro e Malta).
Giglio osserva che a
Bruxelles la realtà dei flussi migratori è letta con occhi nordici e che l’Italia
è tuttora vista come luogo ideale per le vacanze ma non per abitarvi
stabilmente.
2) L’ONU che nacque con
lo scopo che i Paesi membri non ricorressero alla guerra per risolvere i loro
problemi.
Ma se uno dei due Paesi
in guerra (Russia ed Ucraina) possiede il diritto di
veto, l’ONU può esercitare le sue prerogative su tutti i Paesi salvo i cinque
(come la Russia) che hanno quel diritto.
Le cinque potenze, vincitrici
della Seconda guerra mondiale si sono attribuite da sole questo diritto e quando
scade questo loro privilegio? Non c’è
data.
Non solo questa prerogativa
concessa alla Russia e ad altri quattro Stati spetterebbe anche ad India,
Pakistan, Israele, Corea del Nord ecc., che a loro volta posseggono l’atomica
mentre ad esempio la Svizzera con il suo secolare pacifismo avrebbe più meriti
della Russia per far parte dei cinque.
Ritiene che l’ONU per
continuare a volgere egregiamente il suo compito dovrebbe prendere in
considerazione fattori come il PIL (prodotto Interno Lordo) dei singoli Stati e
non è possibile che dei sette Paesi più industrializzati del mondo (quelli del
G7) solo tre facciano parte del CdS (Consiglio di
Sicurezza) dell’ONU.
Conclude che l’India,
un miliardo e mezzo di persone, dovrebbe avere un seggio nel CdS e dovrebbe averne uno anche la Svizzera che in tanti
secoli non ha mai invaso nessuno.
Quindi molto ci sarebbe
da cambiare nell’ONU.
Diego Fusaro
La Teologia del martello
Saggio di Giglio
Reduzzi
Vengo all’ultimo scritto
di cui Giglio mi ha fatto dono pur se la copertina nell’originale è bianca
mentre a me da Pc è venuta azzurrina e non so fare di meglio.
Ho sempre ammirato l’intelligenza di Diego Fusaro
ogni qual volta mi è capitato di ascoltarlo in Tv.
Reduzzi
inizia scrivendo che ha appena finito di leggere il libro La fine del
Cristianesimo di Fusaro e che gli è costato fatica per le tante
citazioni anche in latino e greco per cui gli è sembrato di esser ritornato ai
tempi del liceo.
Dà subito un giudizio: <<Solide le basi e
solidi i ragionamenti dell’Autore, pur se con evidenti tracce della sua
formazione marxista ed anti-americana>>.
Il libro è incentrato sul confronto tra Benedetto XVI
e Papa Francesco. Il primo presentato come un bastian
contrario che si ostinava a mantener fede ad un mandato che il mondo riteneva
scaduto; il secondo come colui che ha portato a termine il processo per
adattare il cattolicesimo alle esigenze (edonistiche e mercantili) del mondo
laico sottraendogli la dimensione trascendentale.
Papa Giovanni II invece è descritto come un personaggio
a metà strada tra questi suoi due successori.
Tra i documenti citati da Fusaro un’intervista dell’agosto
del 2019 ad un giornalista della stampa. Alla domanda cosa temesse di più sul
pianeta, Bergoglio rispose: <<La scomparsa della biodiversità>>.
Giglio osserva che questa sensibilità green del Papa
si trova anche nell’enciclica Laudato si, dove teorizza l’esigenza
primaria di difendere i piccoli insetti necessari per la sopravvivenza dell’ecosistema.
Riguardo all’Amazzonia – commenta - si mostra più preoccupato
per il destino degli alberi che per l’avvenuto dimezzamento negli ultimi 50
anni del numero dei cristiani brasiliani.
Non solo Reduzzi osserva
che quando il Papa riemerse dal malore che lo colpì prima delle feste pasquali
disse:<< Me la sono vista brutta>>, mentre Giovanni Paolo II che capiva
di stare per morire affermò che stava tornando dal Padre.
Però osservo io: <<il mondo è cambiato, è
cambiata la sensibilità, Bergoglio usa un linguaggio terra a terra come a voler
farsi capire da una platea il più allargata possibile>>.
Conclude Fusaro: <<Il piccolo gregge dei
cattolici rimasti fedeli a Papa Ratzinger possa riportare il cattolicesimo ai
fasti di un tempo, purché continui a proporsi come religione “altra” dal mondo,
anziché come propaggine dello stesso>>.
Il titolo del libro di Fusaro si spiega come una
definizione dell’agire di Papa Bergoglio: una teologia volta più a demolire che
a costruire.
Segnalo
www.giglioreduzzi.com/blog dove
chi legge potrà approfondire vita e pensieri dell’Autore.
PAOLO
POSSAMAI
Elitaria Trieste come
in questa foto di
Palazzo della Borsa in piazza dell’Unità scelta da Public
Art per la mostra Trieste e
dintorni che si tenne a Genova al Museo di Villa Croce (di Arte
Contemporanea) con l’Accademia Ligustica il 28 maggio 2009.
Quanto mai
romantica e suggestiva la didascalia che parla di Musei ma anche Caffè storici
in cui rifugiarsi in un week end d’autunno. Tra i Musei senz’altro da visitare
quello ferroviario con le locomotive a vapore. Senza perder tempo appaiono
illuminanti queste parole del prefatore Giuseppe Pavanello: “Trieste moderna si
ammanta di antico… il suo rispecchiarsi negli dèi della classicità è un’operazione
condotta al fine di poter assumere, agli occhi di una parte d’Europa – questo
ormai il raggio d’azione – quarti di nobiltà legittimati da intraprendenza,
capacità lavorative, innovazione”. Pavanello con “raggio d’azione” fa riferimento
al momento che rappresentò la fortuna di Trieste quando un decreto di Carlo VI
d’Asburgo il 18 marzo 1719 la proclamò porto franco.
Però ciò ha come
precedente storico -e lo mette ben in evidenza l’autore Paolo Possamai- la
lungimiranza di Maria Teresa d’Austria (madre dell’infelice Maria Antonietta
che divenne regina consorte in Francia) che a metà Settecento volle Trieste
come porto dell’impero asburgico. Pareri autorevoli ritengono che Trieste con
l’irredentismo abbia perso la capacità che come sbocco dell’Impero
Asburgico la fece grande sui mari diventando una propaggine decentrata e
quindi anche un po’ dimenticata dell’Italia.
Tra gli dèi protettori del suo slancio in primis Nettuno, dio del mare e della navigazione,
e Mercurio dio dei commerci (come
affiancati qui sotto).
Per Mercurio si deve ricordare che oltre al sacchetto pieno di
denaro che tiene in mano spesso è accompagnato da un gallo o da una tartaruga e
spesso tiene in mano una cetra a sette corde. Fu infatti l’inventore di questo
strumento che secondo il mito costruì utilizzando appunto la corazza di una tartaruga. E cetra
significa musica e cosa è più universale della musica per il dio che oltre a
commerci e viaggi era anche considerato dio della comunicazione
Se è vero che la patente di nobiltà viene dagli dei ci sono uomini che hanno fatto la fortuna di Trieste e
quindi li inserisco ora.
Demetrio Carciotti (1816)
Pasquale Revoltella (1862)
In breve, notizie su questi protagonisti.
Demetrio Carciotti giunse a Trieste da Smirne nel 1771 o 1775.. Dapprima fu alle dipendenze di un ricco mercante e
già nel 1776 aveva i requisiti indispensabili per ottenere la cittadinanza
austriaca. Fu azionista e promotore di compagnie assicuratrici, armatore di bastimenti,
proprietario di quattro immobili nel borgo Teresiano, importatore e grossista di olio e cotone in balle.
Palazzo Carciotti fu commissionato all’architetto
Matteo Pertsch nato a Buchorn
cittadina sulle sponde del lago di Costanza e lui che operò quasi per tutta la
vita a Trieste vi portò la grande scuola d’architettura milanese seguendo la
lezione di Giuseppe Piermarini che negli anni settanta ottanta del secolo XVIII
per conto degli Asburgo aveva
operato una radicale riconfigurazione urbanistica della capitale lombarda. Ma Carciotti insieme a Pertsch aveva
convocato anche lo scultore vicentino Antonio Bosa, allora ventenne, nato a
Pove del Grappa. Questi esprimeva una libertà di forme e un gusto per panni
morbidi e svolazzanti che lo apparentano alle rotondità atmosferiche di Giambattista
Tiepolo. Il cantiere di palazzo Carciotti divenne
come una calamita per uno stuolo di giovani artisti. Le statue che ornano il
palazzo sono tutte descritte nella Iconologia
di Cesare Ripa, celebre manuale che spopolò nei due secoli dell’Ancien Régime.
Pasquale Revoltella
Anche lui è un self-made man: giunse a Trieste da Venezia povero e
orfano, con la madre e in cerca di fortuna. Divenne barone e nel 1868, l’anno
prima della morte, commissionò una composizione scultorea accompagnata da una
didascalia con scritto Onore, Riflessione,
Intraprendenza e Perseveranza. E quando
aveva replicato la propria residenza cittadina nell’Hotel de la Ville aveva voluto
anche far inserire una raffigurazione della Religione che va
segnalata in modo particolare per la sua anomalia rispetto al “laico catalogo tematico
triestino”.
Nel 1835 fondò una ditta per l’importazione di legnami e granaglie e
divenne uno dei primi azionisti delle Assicurazione Generali e consigliere
d’amministrazione del Lloyd Austriaco. S’impegnò per l’apertura del Canale di
Suez, ritenuto determinante per lo sviluppo economico di Trieste. Fu nominato barone
dall’imperatore Francesco Giuseppe. Il suo palazzo dal 1872 ospita il Museo che
porta il suo nome. Non solo lasciò la sua residenza estiva in campagna a
diposizione del primo cittadino di Trieste ed oggi è conosciuta come Villa
Revoltella.
Da notare in questi due grandi uomini l’importanza che entrambi
attribuirono all’Ingegno, cui è dedicata una
bellissima statua in palazzo Carciotti, con le
sembianze di un giovane arciere bene determinato a colpire il bersaglio che ha
individuato e che per Revoltella è simboleggiata dall’Intraprendenza, dote appunto necessaria per raggiungere il bersaglio.
In palazzo Revoltella nell’atrio principale c’è la fontana della Ninfa delle sorgenti di
Aurisina complesso marmoreo dello scultore milanese
Pietro Magni e la seconda commissione per lui fu di narrare in marmo il Taglio
dell’istmo di Suez.
Questi due uomini, Carciotti e Revoltella ci
fanno davvero sognare per la loro lungimiranza, la tenacia e la capacità di far
fortuna per sé e per Trieste.
Il libro è corredato da splendide foto dei palazzi, dal Tergesteo a quello delle Assicurazioni Generali a quello
del Lloyd e foto delle statue che li ornano e ci restituiscono quel clima
neoclassico e nordico che rendono Trieste città unica.
Nel mio cuore è poi davvero unica perché vi sono nata anche se vi ho
vissuto solo per due anni dal ritorno di mio padre capitano dalla prigionia in
Africa ad inizio della mia prima elementare: però la mia città in me ha messo
radici proprio nell’anima.
Vorrei chiudere con una pagina del libro dedicata al cimitero di
Sant’Anna che viene detto “secondo forse solo a quello di Staglieno di Genova” per la quantità e la qualità della statuaria cimiteriale. E per me
con i miei genitori è stata una tappa obbligata ogni volta che andavamo a
Trieste per pregare sulle tombe dei nostri cari.
Bellissimo cimitero molto inglese con i suoi viali ampi, dritti,
incorniciati da cipressi. Però l’ultima volta e parlo di anni addietro, credo
al termine della guerra dei Balcani vidi l’ingresso centrale del cimitero dove
erano accatastate molte urne cinerarie di defunti tutte ricoperte di fiori
finti. Era un caleidoscopio orientale di colori che però infrangeva la quiete,
la pace inglese di quel luogo deputato al raccoglimento interiore in austera
solitudine.